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Cazzullo RobertaPer comprendere lo stato di salute e di civiltà di un paese, il termometro è la qualità della vita di bambine, bambini, adolescenti e donne le categorie più a rischio povertà e diritti umani.

Per il quinto anno consecutivo il rapporto WeWorld Index intitolato “Bambine, bambini, adolescenti e donne: educazione e conflitti”, presentato a Roma lo scorso 9 aprile, misura il grado della loro “inclusione” in 171 Paesi.

È promosso da WeWorld-Gvc Onlus, organizzazione italiana indipendente che lavora in 29 Paesi, compresa l’Italia, per promuovere progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.

Gli indicatori derivano da fonti accreditate a livello internazionale (WHO, Unesco, World Bank, UNICEF, UNDP etc.) oppure sono indici sintetici largamente utilizzati, come il Gender Gap Index (introdotto dal World Economic Forum nel 2006, fornisce un quadro che mostra l’ampiezza e la portata del divario di genere in tutto il mondo) o il Global Peace Index (L’Indice della Pace GlobaleGPI –  è un tentativo di classificare gli stati e le regioni in base a fattori che ne determinino lo stato di pacificità, o meglio l’attitudine di un determinato paese a essere considerato pacifico).

La metodologia usata nel WeWorld Index 2019 è la stessa delle edizioni precedenti: sono stati considerati tutti i paesi con una popolazione superiore a 200.000 abitanti e dato che vi sono carenze nella rilevazione statistica mondiale, i paesi con un numero di indicatori non disponibili superiore a 4 per categoria o a 9 complessivamente sono stati eliminati nella classifica finale del WeWorld Index, ma non in quelle relative ai singoli indicatori.

In totale i paesi considerati sono 176 ed i paesi in classifica 171.

Sono stati esclusi per carenza di dati: Micronesia, Somalia, Vanuatu e Isole Salomone.

Il rapporto WeWorld Index è un INDICE SINTETICO composto da 34 INDICATORI raggruppabili in 17 DIMENSIONI (2 indicatori per dimensione). Ogni dimensione fa riferimento ad un aspetto della vita considerato determinante per l’inclusione di bambine/i, adolescenti e donne.

Poiché l’inclusione è un concetto multidimensionale che non riguarda solo la sfera economica,

sono considerate varie dimensioni raggruppate in 3 CATEGORIE:

1) CONTESTO

DIMENSIONI:

  1. 1. Ambiente,
  2. Abitazione,
  3. Conflitti e guerre,
  4. Potere e democrazia,
  5. Sicurezza e protezione,
  6. Accesso all’informazione,
  7. Genere.

INDICATORI:

  1. Livelli di PM2.5 per paese (2016),
  2. Aree marine e terrestri protette (2017),
  3. Percentuale della popolazione con accesso ad acqua potabile (2017),
  4. Percentuale della popolazione con accesso ai servizi igienico-sanitari (2017),
  5. Global Peace Index (2018),
  6. Percentuale di rifugiati per paese d’origine (2017),
  7. Global Democracy Index (2017),
  8. Corruption Perception Index (2017),
  9. Tasso di omicidi (2017),
  10. Numero di persone colpite da disastri naturali e tecnologici (2018),
  11. Percentuale della popolazione con accesso all’elettricità (2016),
  12. Numero di persone che usano internet (2017),
  13. Gender Gap Index (2018),
  14. Gender Inequality Index (2017).

2) BAMBINE/I E ADOLESCENTI

DIMENSIONI:

  1. Salute,
  2. Educazione,
  3. Capitale umano,
  4. Capitale economico,
  5. Violenza sui minori.

INDICATORI:

  1. Tasso di mortalità infantile entro i primi 5 anni di vita (2017),
  2. Percentuale di bambine/i sotto i 5 anni sottopeso (2017),
  3. Tasso di iscrizione alla scuola pre-primaria (2017),
  4. Tasso di iscrizione alla scuola primaria (2017),
  5. Tasso di alfabetizzazione degli adulti (2017),
  6. Spesa pubblica in istruzione (2018),
  7. Tasso di disoccupazione della popolazione adulta (2018),
  8. PIL pro capite (2017),
  9. Percentuale di bambini (5-14 anni) coinvolti nel lavoro minorile (2017),
  10. Tasso di maternità precoce (2016).

3) DONNE 

DIMENSIONI:

  1. Salute,
  2. Educazione,
  3. Opportunità economiche,
  4. Partecipazione politica,
  5. Violenze di genere.

INDICATORI:

  1. Tasso di mortalità materna (2015),
  2. Aspettativa di vita delle donne (alla nascita) (2016),
  3. Tasso di alfabetizzazione delle donne (2017),
  4. Percentuale di donne laureate (2017),
  5. Tasso di disoccupazione femminile (2018),
  6. Reddito percepito dalle donne (in rapporto a quello maschile) (2018),
  7. Percentuale di seggi parlamentari ricoperti da donne (2018),
  8. Percentuale di donne in posizioni ministeriali (2017),
  9. Percentuale di donne che hanno subito violenza dal partner (2013 – 2014),
  10. Percentuale di donne che hanno subito una violenza da uno sconosciuto (2013).

Il rapporto utilizza 34 indicatori, non solo economici ma anche sociali, 14 dei quali riguardano il contesto in cui vivono i bambini: ambiente, accesso all’acqua, presenza o meno di conflitti, democrazia.

Ci sono poi circa 20 indicatori che riguardano gli ambiti sociali specifici degli under18 e delle donne.

L’inclusione è intesa in un’accezione innovativa, nella prospettiva degli obiettivi di sviluppo Sostenibile: riguarda non solo la sfera economica, ma tutte le dimensioni del sociale: educativa, economica, sanitaria, culturale, politica, ambientale.

Il focus tematico dell’edizione 2019 mette al centro i conflitti come barriera all’educazione. «Nel mondo, oltre 100 milioni di bambini e bambine che non vanno a scuola vivono in contesti di crisi create da conflitti e guerre», dichiara Marco Chiesara, Presidente di WeWorld-Gvc Onlus. «Le scuole sono sotto attacco e non possiamo aspettare la fine delle crisi per sostenere l’istruzione. Non può esserci, infatti, progresso senza pace e stabilità. È quindi necessario avviare programmi di educazione in emergenza prima possibile, per creare un ambiente scolastico ed educativo pulito, sano e sicuro (specie per le bambine). Oltre un terzo dei nostri programmi nel mondo, 40 su 120, riguardano contesti di emergenza, in cui l’aiuto ai bambini, alle bambine e agli insegnanti è per WeWorld-Gvc una priorità».

Comparando fattori come salute, istruzione, opportunità economiche e presenza o meno dei conflitti, il rapporto WeWorld Index analizza 171 paesi, stilando poi una classifica che vede in vetta per inclusione di bambini/e, adolescenti e donne i Paesi del Nord Europa.

Il primo Paese in classifica è la Norvegia, seguita da Islanda, Svezia e Danimarca, Svizzera e Finlandia. Seguono il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia.

Questi Paesi rappresentano le aree con le migliori condizioni di vita per bambine/i, adolescenti e donne. Buona inclusione anche in Francia, Germania e Gran Bretagna, mentre solo sufficiente l’inclusione negli Stati Uniti (appena un punto in più dell’Italia).

L’ultimo Paese in classifica è la Repubblica Centrafricana (171°), che si conferma per il quinto anno consecutivo il peggior Paese al mondo per l’inclusione di bambini/e e donne. Rispetto al (2018) il divario tra il primo paese in classifica e l’ultimo è peggiorato di 6 punti, perché il paese africano continua ad allontanarsi dalla media mondiale.

Uno degli elementi più significativi dell’edizione 2019 dell’index è il progresso indiano: grazie all’ingresso dell’India nella categoria dei Paesi con insufficiente inclusione diminuisce di circa 1,4 miliardi la popolazione dei Paesi con gravi forme di esclusione di bambine/i adolescenti e donne.

Tuttavia va tenuto conto che, in diversi stati indiani, le diseguaglianze sociali ed economiche interne sono notevoli, con difficili condizioni di vita, per bambini, adolescenti e donne.

Nelle due categorie della grave o gravissima esclusione ci sono solo Paesi africani oltre a alcuni Paesi del Medio Oriente, dell’Asia e del Pacifico: Yemen (165°), Afghanistan (162°), Siria (153°), Pakistan (145°), Papua Nuova Guinea (141°), Haiti (134°), Bangladesh (131°), Iraq (129°), Timor Est (125°). In fondo alla classifica si confermano i Paesi dell’Africa subsahariana.

Un fattore che accomuna quasi tutti i Paesi che si sono posizionati in fondo alla classifica è la presenza di conflitti interni o internazionali o un alto grado di insicurezza (Repubblica Centrafricana, Ciad, Mali, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Niger, Yemen, Afghanistan, Burkina Faso Siria, Burundi). Il cambiamento climatico è un altro fattore di crisi che colpisce vari Paesi che si sono posizionati tra gli ultimi.

Un fattore accomuna quasi tutti Paesi in fondo alla classifica ed è la presenza di guerre, conflitti non risolti o una grave situazione d’instabilità ed insicurezza.  Il cambiamento climatico è un altro elemento di crisi che colpisce vari Paesi tra i meno virtuosi. Siccità, alluvioni, cicloni, desertificazione, perdita di patrimonio forestale e della fertilità del terreno, innalzamento del livello del mare, aumento della salinità nell’acqua dolce, temperature anomale e stagioni imprevedibili hanno gravi effetti sulla produzione alimentare e sulle condizioni di vita delle categorie più deboli.

WeWorld nel rapporto 2019 dedica una particolare attenzione ai conflitti che costituiscono una delle principali barriere all’accesso all’educazione in diversi paesi del mondo.

Oltre la metà dei bambini che non va a scuola vive in contesti d’emergenza, con uccisioni di studenti e insegnanti, distruzione di edifici, stupri, arruolamento di bambini soldato, minori sfollati e rifugiati.

Un ragazzo su 5 tra i 15 e i 17 anni non è mai stato a scuola e 2 su 5 non hanno completato la scuola primaria.

Sono 350 milioni i bambini colpiti da conflitti armati; 104 milioni di bambini in aree colpite da disastri naturali e conflitti non vanno a scuola. Nel mondo si contano 250.000 bambini soldato. E anche se il fenomeno delle spose bambine sta diminuendo a livello globale, i numeri restano alti nei Paesi interessati da conflitti. Ad esempio più del 70% delle bambine in Niger viene data in sposa entro i 18 anni, e quasi il 30% entro i 15 anni.

L’Italia, dal 2015, prima edizione del WeWorld Index, ha continuato a perdere posizioni in classifica e anche il suo punteggio si è abbassato: dalla 18esima posizione nel 2015 con 66 punti è passata alla 27esima posizione del 2019 con 57 punti.

La sua performance è classificata come solo “sufficiente” rispetto alla “buona inclusione” della maggior parte dei Paesi europei.

I motivi per cui l’Italia ha perso 9 posizioni sono diversi: in primo luogo si deve tenere conto dell’avanzamento di altri Paesi.

L’Italia è scesa in classifica perché altri Paesi (Bulgaria, Portogallo, Repubblica Ceca) l’hanno superata.

Continua a beneficiare di una discreta rendita di posizione costituita nei decenni precedenti per le dimensioni relative a salute, capitale umano ed economico (indicatori relativi alla salute, accesso all’istruzione, ricchezza prodotta); non altrettanto si può dire per dimensioni ambientali, l’inclusione economica delle donne, la partecipazione, e l’accesso alle cariche politiche delle donne e l’inserimento lavorativo dei giovani.

Rimane anche nel 2019 la povertà educativa, esaminata nel rapporto del (2018) come una delle 5 barriere che impediscono l’accesso a un’educazione di qualità e inclusiva, dal momento che l’impoverimento sociale legato alla dimensione educativa continua. Non migliorano neanche gli indicatori relativi alla violenza di genere e sui bambini.

In 5 anni peggiorano gli indicatori sulla sicurezza ambientale e non migliorano gli indicatori relativi alla violenza di genere e sui bambini

L’Italia, 27° con 57 punti, fa peggio delle principali democrazie europee (Francia 12°, Germania 14°, Gran Bretagna 16°, ma anche di Bulgaria 24°, Repubblica Ceca 19° e Portogallo 20°, che negli anni passati erano più indietro in classifica.

ww 2019

Solo puntando sulla promozione di politiche sociali indirizzate a favorire l’inclusione economica e politica delle donne, il mantenimento nei percorsi di istruzione dei giovani, l’abbassamento del tasso di disoccupazione e maggior attenzione alla sostenibilità ambientale, in particolar modo in zone periferiche e svantaggiate, l’Italia può sperare di tornare ai livelli delle principali democrazie europee.

Resta anche nel 2019 la barriera della povertà educativa: l’impoverimento sociale legato alla dimensione educativa continua.

Solo per fare un esempio, il livello di spesa per studente è inferiore alle media dei Paesi più industrializzati calcolata dall’Ocse. E solo il 24% dei bimbi da 0 a 3 anni frequenta l’asilo nido contro il 35% della media Ocse.

Promuovere e difendere i diritti dei bambini insieme a quelli delle donne è importante perché si tratta delle categorie più a rischio di povertà, esclusione e violazioni di diritti umani: per migliorare la vita di un bambino è necessario cambiare quella della madre.

Inoltre, accanto all’iniziativa politica per promuovere i diritti dell’infanzia, dell’adolescenza e delle donne, in Italia è necessaria l’attivazione di pratiche inclusive, che valorizzino il capitale umano ed economico tuttora esistenti nei contesti di vita di bambine, bambini e donne, perché le radici profonde della loro esclusione sono – prima ancora che politiche – sociali, ambientali, economiche e culturali.

Una medaglia ha sempre due facce.

Sulla prima c’è la discriminazione, tanto nei Paesi del nord quanto in quelli del sud del mondo. Sull’altra faccia c’è l’inclusione sociale. La cui definizione è sempre in bilico tra povertà e diritti negati.

La parola “inclusione” indica, letteralmente, l’atto di includere un elemento all’interno di un gruppo o di un insieme.

La discriminazione può avere luogo in ambito lavorativo (decisione di licenziare/non assumere), politico (s’impedisce a un gruppo di persone si essere adeguatamente rappresentate nelle sedi istituzionali), sociale (i diritti fondamentali e i servizi necessari non sono riconosciuti a tutti per ragioni discriminatorie).

In sostanza, l’inclusione sociale ha l’obiettivo di eliminare qualunque forma di discriminazione all’interno di una società, ma sempre nel rispetto della diversità.

L’esclusione sociale non è un problema lontano, riguarda tutti.

Impegnarsi per favorire l’inclusione sociale significa fare qualcosa di concreto per combattere la fame e la povertà. L’Onu lo sa bene.

Non a caso, l’undicesimo degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabilisce la necessità di rendere le città più vivibili, sicure e soprattutto inclusive. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono da raggiungere entro il 2030.

 E tutti noi possiamo, volendo, dare il nostro contributo.

 

 

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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