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Per coloro a cui piace leggere…
Oggi l’accogliente quartiere viennese di Kaisermühlen ospita aree di balneazione lungo le rive del lago Alte Donau (Vecchio Danubio), compresa l’ampia e rigogliosa isola di Gänsehäufel, con spiagge, piscine con onde, aree giochi e strutture sportive. Ma un tempo, assai prima che smobilitassero le truppe d’occupazione sovietiche Kaisermühlen era un ritrovo di gaglioffi contrabbandieri. Clan organizzati austro-ungheresi ricettatori che intrattenevano affari con la soldataglia russa. Semplici militari di leva non graduati che provenivano dalle regioni agricole più povere dell’URSS o dalle periferie più degradate delle grandi città, accomunati dall’avidità di acquisire tutto ciò che corrispondesse in valuta occidentale per poi rivenderla in patria al mercato nero.
Il “bazar” di Kaisermühlen puzzava di sudore esalato dalle divise sdrucite indossate dai soldati appartenenti alla 100° divisione fucilieri del compagno Stalin. Mani nodose facevano scivolare nella tasca destra dei contrabbandieri austriaci piccole gemme, oggetti d’oro rapinati nel corso della campagna in Ucraina o in Bessarabia da chiese e monasteri abbandonati, se non dalla spogliatura dei corpi senza vita appena fucilati come supposti traditori nazi-trozkisti. Con le stesse mani prelevavano dalla tasca sinistra il corrispettivo pattuito. Un gioco svolto nel silenzio assoluto e nella calma indifferenza tra le parti. Nessuna parola veniva profferita nel corso del mercanteggiamento, bastava il linguaggio dei segni: il roteare dell’indice; due pugni chiusi; due pollici incrociati significavano una offerta specifica da parte del postulante, la cui domanda di assenso veniva confermata con il ripetersi del simbolo mostrato dall’acquirente. Da quando in una nebbiosa mattina tre cadaveri austriaci vennero trovati riversi sulla spiaggia dell’isola con due fori di proiettile sul cranio – si disse, uno spiacevole incidente – cessarono le tentate truffe. Nella evidente illegalità, ci si comportava da persone degne di specchiata onestà.
Il Konrad Spitzler, nel ’55, quasi quarantenne, era un uomo alto ossuto con un collo taurino, fronte alta, zigomi pronunciati, occhi castani. I suoi movimenti rapidi e nervosi gli ondulavano la lunga chioma, disordinata, biondo ramata, lo stesso colore di quella barba incolta che gli solcava il viso. La sua possanza, unita allo sguardo arcigno, incuteva ancor oggi a tutti quanti un certo timore reverenziale. Al tempo, sul finire del ’44, si trovava acquartierato con il suo plotone del 5° reggimento esploratori della Wehrmacht, a Gyòr in Ungheria. Egli, anziché unirsi con le forze in ritirata, per non cadere nelle mani dei rossi, disertò cavalcando sulla sua Zundapp KS 750 d’ordinanza, in direzione Vienna, raggiungendola dopo dodici ore di viaggio ininterrotto. Dismessa la divisa, sopravvisse per sei mesi nascosto nella capitale austriaca tra furti, rapine e qualche violenza. Quando a maggio del ’45 le truppe tedesche si arresero agli Alleati, Konrad decise di non far ritorno a Bremen, la sua città natale. La vecchia madre trapassò nel ’42, qualche mese dopo morì anche suo fratello maggiore Helmut nel deserto libico. Non gli rimaneva più nessuno, della Germania l’unica cosa che possedesse era la sua lingua tedesca.
Un giorno bighellonando lungo il tratto del Donau aveva adocchiato un cabinato semi abbandonato sul greto dell’isola di Gänsehäufel. Decise all’istante di farne la sua dimora. In seguito seppe che la barca appartenne in passato a una famiglia ebrea viennese. Konrad pensò che quelle anime “corressero già da tempo nel vento” e non avrebbero mai potuto rivendicarne la proprietà, quindi la requisì come sua.
Senonché, non basta liberarsi di una divisa per diventare un uomo civile e pacifico, la pelle crudele e violenta della guerra non te la puoi scarnificare. Gli umani non sono come quei serpenti che mutano il loro rivestimento esterno, la cute dei bipedi s’indurisce nel tempo e li accompagna fino all’ultimo rantolo di respiro. In quei tremendi anni del dopoguerra la sopravvivenza di Konrad la affidava esclusivamente alla sua Luger 9 parabellum che teneva ben nascosta tra l’addome e i genitali. Il senso del giusto e dell’ingiusto, del bene del male, ciò che i benpensanti chiamano in modo altisonante “morale” non adombrava più nel suo pensiero, esisteva solo il nulla.
Cinico e intelligente Konrad imparò in quei primi anni del dopoguerra a Vienna il mestiere del delinquente. Sì è vero, nella sua giovinezza a Bremen fu una testa calda, un bullo di periferia, “lavorava” in proprio, piccoli furti qua e là, ma non gli passò mai per la testa l’ambizione di assurgere al ruolo di un gangster spregiudicato e spavaldo, capo di una banda di ricettatori e tagliagole così come lo diventò in poco tempo a Kaisermühlen. Qualcuno potrebbe pensare che il suo comportamento criminale nascesse dalla dispotica culla del nazismo, ma non fu così. Non ebbe mai legami con lo NSDAP, anzi da ragazzino gli davano assai fastidio quelle parate di fantocci in camicia bruna delle SA a passo dell’oca, inquadrati militarmente, che inneggiavano alla grandezza della nazione teutonica. Classe 1917, non conobbe mai suo padre, morto nel gennaio del ’18 in quel carnaio della Somme, lasciando sua madre con due figli maschi Helmut di 3 anni e lui appena di 12 mesi in uno stato di semi povertà. Indigenza che ella superò fiaccandosi la schiena nelle cucine della potente famiglia ebrea tedesca dei Bauer. Anzi, le leggi epurative hitleriane del ’34 che consentirono agli ebrei benestanti, dietro un lauto pagamento, di poter lasciare la Germania furono vissute dalla piccola famiglia Spiztler come una tragedia; la madre rimase per un anno senza lavoro.
Quando ormai diciasettenne, impiegato come aiuto magazziniere in un deposito di lubrificanti, il padrone gli comunicò affranto che Rhom e le sue SA furono assassinate (la notte dei lunghi coltelli), egli provò dentro di sé un moto di grande soddisfazione; gioia che si guardò ben bene dall’esternare. Fu rimproverato più volte dal padrone di casa, fiero e fanatico nazista, per il suo scarso interesse nel partecipare all’organizzazione d’orientamento ideologica giovanile, la cosiddetta Kraft durch Freude (La forza attraverso la Gioia). E’ altresì vero che odiò svisceratamente i Bauer, non perché fossero ebrei, ma solo perché erano straricchi, mentre lui possedeva qualche manciata di pfennig per poter campare. Durante il servizio militare, benché fosse stato decorato con una croce di ferro per il suo ardimento, ebbe qualche problema, prima con la GESTAPO in Francia, poi con un capitano delle SS a Danzica. Si salvo, poiché quell’ufficiale il giorno dopo perse la vita in un attentato compiuto dai partigiani polacchi.
Gli bastarono solo sette anni per diventare uno dei più rispettati mafiosi di Vienna, capo clan di una delle più spietate bande di malaffare. La “grana” la fece fin quando i russi rimasero a presidiare una parte della città: contrabbando, ricettazione, prostituzione, strozzinaggio e qualche regolamento di conti conclusosi con la soppressione della vittima. Quando il 15 maggio del ‘55 l’Austria firmò il trattato di pace con l’URSS, che portò alla smobilitazione della sua occupazione militare, Konrad era già proprietario di un ristorante, due bordelli, un albergo vicino al Prater, una linea di navigazione fluviale sul Danau e una decina tra negozi e appartamenti nel centro commerciale di Vienna, non molto distanti dalla Cattedrale di Santo Stefano.
Senonché, gran parte della sua fortuna la dovette al rapporto che istaurò fin dal ’48 con colui che in seguito divenne il suo socio in affari: l’ex sergente dell’Armata Rossa Fëdor Pablevich. Classe 1908, di ben nove anni più anziano del tedesco. Il militare russo fu il collettore delle offerte che provenivano dalla truppa. Egli, non solo si conquistò l’arbitrato del malaffare, ma ricoprì anche quella funzione che è da considerarsi la più delicata in una economia malavitosa, ossia di essere il garante per conto di Konrad dei pagamenti nei confronti dei suoi commilitoni. Nel ’52, poco prima che morisse il suo mito al Cremlino, Fëdor si “pensionò” dall’Armata Rossa con 2Kg d’oro stipati nello zaino e una quota rilevante nella gestione dei due bordelli viennesi gestiti dal clan di Konrad.
Cadeva di sabato l’8 ottobre del ’55 e quasi sempre Konrad soleva, come ogni fine settimana, recarsi a pranzo nel lussuoso ristorante Roter Hahn in Laubeplatz, di cui egli era surrettiziamente il proprietario. Un luogo d’incontro ben conosciuto dagli intellettuali viennesi tra le due guerre, con i suoi tavolini all’aperto disposti a semicerchio, protetti da un veranda in stile art déco posizionata proprio al cospetto del grande parco. Il tedesco dopo aver deliziato il suo palato con un’appetitosa crostata alle prugne, attendendo il caffè, si accese un sigaro avana. Nel mentre che stava sbirciando i titoli del Die Welt si presentò davanti a lui un signore piuttosto mingherlino vestito con un completo di color crema, la cui giacca presentava delle bordature di pelle marrone sull’estremo lato delle asole e sui risvolti delle tasche. Portava con sé sottobraccio una busta in cuoio nera. Quell’omino di medio-bassa statura si levò il panama in segno di rispetto e si rivolse a lui con un sorriso invitante. “Mi scusi lei è Herr Spiztler?” chiese con un tono suadente.
Konrad alzo lo sguardo e vide una testa rotonda semicalva, una piccola bocca dalle labbra sottili e due occhi che lo fissavano dietro lenti spesse. L’omino riprese a parlare: “mi dispiace disturbala, le chiedo cortesemente se posso sedermi al suo tavolo Herr Spiztler?” Konrad colto di sorpresa da quella sconosciuta figura fece un gesto con la mano indicandogli la sedia accanto alla sua. L’ospite ringraziò e si accomodò, posò il cappello sul tavolino e apri la cerniera della borsa di cuoio da cui estrasse una busta chiusa che porse al tedesco. “Prego la apra”. Konrad, sempre più incuriosito da ciò che stava accadendo, l’afferrò e ne stracciò la linguetta. La busta conteneva la foto di suo fratello Helmut con due suoi commilitoni e un ufficiale delle SS seduti sul piano di un Panzer dell’Africa Korps. Konrad fissò l’uomo davanti a lui, ci fu un momento in cui l’imbarazzo e lo sconcerto paressero coesistere. “Ecco, pensavo…” ma Konrad lo interruppe. “Lei chi sarebbe?”. L’omino in crème rispose con una voce quasi strozzata: “io sono Paco Diego de Rivera…e…” Non poté finire la frase che Konrad lo interruppe nuovamente, ma questa volta in modo brutale. Si alzò di scatto facendo curvare il suo vigoroso torso in modo minaccioso sulla figura del malcapitato, poi gli pose la foto a pochi centimetri dal naso e con un fare intimidatorio gli urlò : “quindi lei sarebbe quel Paco…vatte la pesca…che parla un tedesco con accento bavarese e che è qui presente in foto con il mio povero fratello?”.
L’omino in crème prese coraggio e si alzò in piedi: “Herr Spiztler, mi ascolti le devo fare una proposta”. “Che genere di proposta?” ribatté in tono canzonatorio Konrad, “vuole che m’impegni a venderle la sua vecchia divisa da testa di morto al mercato delle pulci?” Ma il suo interlocutore non desistette: “Herr Spiztler ascolti ciò che starò per dirle…la pagherò a peso d’oro”. Da tempo Konrad aveva seppellito tutto ciò che gli ricordasse il Reich ma nell’arco di pochi minuti quell’omino insignificante attuò in lui un processo d’istantanea riesumazione. Innervosito e contrariato fece per andarsene, ma l’occhialuto in crème lo trattenne: “ascolti…lei possiede un cantiere nautico a Aschach an der Donau?” “Sì” rispose Konrad “…e con ciò?” L’omino incalzò: “…sarebbe disponibile ad affittare una delle sue chiatte alla Repubblica del Paraguay per sei mesi?”
Il tedesco spinse dietro il busto palesando il tipico atteggiamento di stupore. Poi ripeté “…una pénica alla Repubblica del Paraguay, qui in Austria?!” Fece qualche passo avanti, poi girandosi di scatto gli disse: “lei deve essere proprio matto…una pénica alla Repubblica del Paraguay…in Austria” e si mise a ridere fragorosamente, scrollando la testa “…pazzi da legare…”. Ma un fulmine lo colse e l’ilarità scomparve immediatamente. Si volse verso l’omino impettito in piedi con la sua cartella sotto braccio, ripercorse i venti metri che l’avevano separato da lui e puntandogli il dito disse:”…ho capito vi siete rifugiati tutti là brutti corvacci neri…in Paraguay”. Il supposto Paco non fece un passo indietro e con una voce dal tono metallico e marziale gli urlo: “sergeant Konrad Heinz Spiztler faremo in modo d’informare il tribunale militare di Amburgo che lei è stato un disertore” A sentire quelle parole, se Konrad avesse avuto con lui in quel preciso istante la Luger 9 parabellum gli avrebbe scaricato l’intero caricatore, ma per fortuna non era più il Konrad del ’48, oggi era un borghese sposato con un figlio e in attesa del secondo.
“Va bene…caro Adolf… a che cosa ti serve?” L’omino in crème rispose stizzito “non mi chiamo Adolf, il mio nome è Paco…carichiamo a Aschach e scarichiamo a Hainburg” Konrad fece una espressione di stupore “…Hainburg ?…a due passi dai confini Ceco e Magiaro”. Poi, aggiunse: “…ma…Adolf, confessa…che cosa portate laggiù nel Burgenland ? ”L’occhialuto semicalvo rispose ancora più risentito “mi chiamo Paco…e portiamo medicinali”. “Medicinali!!” esclamò il tedesco a cui fece seguito una scrosciante risata. “Medicinali…supposte, preservativi…analgesici…”. L’omino in crème rimase impassibile, solo un piccolo tick nervoso gli faceva baluginare la palpebra sinistra. “Non voglio avere grane con i comunisti” sentenziò Konrad. “Vedo che tutto ciò la diverte Herr Spiztler…tuttavia per renderla ancora più contento le faccio una offerta di 2.500 $ al mese per l’affitto della chiatta”. “Facciamo 5.000” ribatté Konrad “e…anticipati per sei mesi”. L’indomani presso l’Ambasciata del Paraguay a Vienna i due contraenti firmarono il contratto e Kurt intascò 30.000 dollari in stirati biglietti da 100.
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Con quella consistente somma di denaro Konrad acquistò un area edificabile alla periferia nord di Vienna e da lì in poi divenne un abile speculatore edilizio. Alla sua morte, nel gennaio del ’98, lasciò in eredità ai due figli Carl e Angela un patrimonio che superava i 500 milioni di $ in proprietà immobiliari e quote di maggioranza in banche assicurazioni. Nel 2022 una nota agenzia d’affari tedesca stimò il patrimonio della famiglia Spiztler intorno ai 2 miliardi di €. Il tutto inizio al tramonto del ’44 con una Zundapp KS 750. La moto originale con cui Konrad raggiunse Vienna nel ’44 (oggi con targa austriaca) è stata conservata dagli eredi e posta come simulacro nel salone centrale della Wiener Discountbank, in bella mostra, lucidata come nuova.
Per Paco, alias Wolfang Grause, criminale nazista, ex comandante delle SS con il grado di Orbest a Krakau (Cracovia), il destino fu meno roseo, lo trovarono impiccato in un albergo di Neuchâtel, in Svizzera. In quel modo il KGB saldò il conto.
Thorsten Vibor, Aarhus, Jutland, Denmark
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