I due fratelli ungheresi Balantonyi, Laszlo e András, oltre che possedere un piccolo podere nelle vicinanze di Sopron, avevano ereditato dal padre Tamás la carcassa semi arrugginita di un vecchio camion da trasporto usato dall’esercito tedesco nel corso della seconda guerra mondiale. Il mezzo pesante, un Tamiya ribaltabile, fu abbandonato dalla Whermacht in fuga nell’inverno del 45 a pochi passi dall’abitazione dei Balamtonyi. Sperando di ricavarne l’equivalente in ferro, Tamás lo ricoverò sotto il portico e lì rimase nascosto coperto da cumuli di paglia per circa sei anni.
Passato a miglior vita l’anziano padre, András, il figlio più giovane, che aveva fin da piccolo il bernoccolo della meccanica, impiegò sei mesi di duro lavoro per rimetterlo in funzione. Tuttavia, lo sforzo non fu vano, poiché quel ferrovecchio, riverniciato e con un motore perfettamente ricondizionato, integrò il magro reddito ricavato dal lavoro agricolo della rimanente famiglia. I due fratelli si offrirono per pochi fiorini a fornire un servizio alla minuta comunità di Pereszteg, il loro villaggio natio. Ciò consisteva nell’eseguire piccoli trasporti di prodotti agricoli, traslochi e persino un occasionale servizio taxi fino alla vicina città capoluogo. Inoltre, il possesso del camion consentiva loro di trasportare la propria produzione di cavoli e finocchi nel vicino magazzino statale di Sopron, ricavandone un immediato e sicuro profitto, scongiurando il noto disservizio dei trasportatori della Cooperativa per colpa dei quali i piccoli produttori correvano il malaugurato rischio che parte del loro raccolto, rimanendo accatastato nel magazzino o all’aperto, diventasse marcescente e quindi non più oggetto di compravendita.
Quando al calar del sole di un giorno verso la metà di un settembre insolitamente tiepido si presentò alla porta della famiglia Balantonyi un funzionario della Magyar Állami Vízügyi Kormányzás, (l’Ente di Stato per il Governo delle Acque Ungherese), essi temettero che costui fosse stato inviato dalle autorità locali per sequestrare loro il camion. In paese c’erano alcuni che non vedevano di buon occhio lo scorrazzare di un ex veicolo nazista. Non fu questa la motivazione che spinse Zoltan Presits, così si chiamava il cinquantenne funzionario statale, a recarsi dai due fratelli. Egli era invece intenzionato proporre loro una interessante opportunità di guadagno suppletivo.
I tre si sedettero intorno al tavolo della spoglia cucina dei Balantonyi. L’anziana madre dei due fratelli, vestita con un lacera tunica bianca, si cullava su una vecchia sedia a dondolo. Zoltan approcciò un gesto di saluto verso la vecchia, ma questa non rispose, pareva che fosse indifferente nei confronti dell’ospite. Il suo sguardo assente gli dava l’impressione che avesse qualche deficit mentale o che non fosse più in sé, come rapita da un magico sortilegio. András, intuendo il pensiero di Zoltan, con un gesto eloquente puntò il dito indice verso la sua tempia facendogli capire che la vecchia era caduta in una spirale buia da cui non ne sarebbe mai uscita. Così come la gestualità di András non lasciava trasparire dubbi, allo stesso modo l’apertura della madia da parte di Laszlo non poteva essere altro che interpretata come l’offerta di una bevuta di Pálinka, la famosa grappa di pere ungherese. Bevettero in un fiato il primo giro di bicchieri. Senza molte formalità Zoltan spiegò le ragioni della sua presenza.
“Così avete pensato a noi per aiutarvi a trasportare la terra dal lago?” disse Laszlo versando il liquore per la seconda volta nel bicchiere dell’ospite.
“Voi siete a conoscenza dei lavori che stiamo facendo nello Neusiedler?” ribatté il funzionario della MAVK con una domanda all’interrogazione di Laszlo.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata, poi il più giovane rispose che di questi tempi meno cose si sanno meglio è per tutti. Zoltan sorrise e subito dopo ingollò il liquore.
“Stiamo costruendo un canale che dallo Neusiedler si snodi fino alla città di Sopron, così da rendere irrigabili tutti i terreni circostanti. Lo Stato e il partito desiderano che i piccoli produttori possano godere i frutti della terra con minor sforzo possibile”.
La seconda affermazione lasciò indifferente i due padroni di casa, il cosiddetto “partito” fino a ora non aveva ancora influito positivamente sullo stato di miseria che li circondava, anzi quel poco che erano riusciti a guadagnare lo dovevano all’utilizzo del loro camion e non certo né da parte dello Stato magiaro né tantomeno dal partito. Nondimeno, le loro espressioni facciali rimasero immutate, nessun segno mimico di compiacenza o di avversione alle parole pronunciate da Zoltan. Il quale, sorvolando sulla scarso entusiasmo manifestato dai suoi interlocutori nei confronti di una causa comune, chiese loro se conoscessero bene la zona della Fehér erdei (la foresta bianca), la piccola lingua di terreno che si allunga sul lago in prossimità del confine austriaco.
“Certo” rispose Laszlo “prima della guerra si andava a far legna laggiù, ora non è più possibile se ti avvicini il minimo che ti possa succedere è quello di prenderti una pallottola in corpo da parte della polizia di frontiera.”
Zoltan sorrise e subito dopo aggiunse “ovviamente, quello è il confine della nostra patria, al di là del quale ci sono i nemici, voi capite che la sicurezza deve essere sempre una priorità”.
Né la parola “nemici” intesi gli austriaci, né il riferimento alla patriottica sicurezza scaldò gli animi dei due fratelli, essi rimasero immobili a fissare il luccichio dei bicchieri. Zoltan alzò lo sguardo e si rivolse al più giovane dei due:
“ho saputo che hai lavorato per qualche tempo come gruista presso la Cooperative Edile di Sopron?”
András si passò la mano sulla fronte riportando il ciuffo biondo dei suoi capelli sulla nuca e annuì.
“Ma dopo la terza volta che ti trovarono ubriaco mentre stavi lavorando ti licenziarono, non è vero?” aggiunse Zoltan.
“Fu una congiura” ribatté furente András “volevano sostituirmi con un certo Imre che era il figlio del capo e…”.
“Si capisco” lo interruppe il funzionario governativo “fu una congiura….meglio dire “una congiura alcoolica”, tuttavia non m’interessa scavare nel tuo passato. Ripeto sono venuto qui per dirvi che oltre a camion ci servite anche come gruisti, sarà necessario asportare molto terreno dalla penisola, a patto che András lasci a casa la bottiglia di Pálinka”.
“Come sarebbe a dire” intervenne Laszlo “ci manda a lavorare in quell’inferno sotto il tiro dei soldati?”.
La sua espressione si era fatta minacciosa. Zoltan, per nulla intimidito dal comportamento aggressivo di Laszlo batté un pugno sul tavolo facendo oscillare i bicchieri, il colpo fu talmente forte che venne udito persino dalla vecchia a causa del quale si risvegliò dal suo torpore:
“non ti permettere di minacciare un funzionario dello Stato” urlò ad alta voce Zoltan: “se vi mando nella Fehér erdei è perché so quello che faccio”, poi l’uomo si calmò e con voce quasi suadente disse: “se decidete di accettare la mia proposta nessuno vi torcerà un capello, lavorerete per lo Stato così come faccio io e gli agenti di confine.”
Ci fu un attimo di silenzio. András, dei due fratelli il più coraggioso, ruppe il ghiaccio “signore dovete capire che per noi il camion è quasi l’unica fonte di guadagno che abbiamo. Il nostro podere è poca cosa e qualora decidessimo di lavorare per voi, ebbene che almeno ci venga riconosciuto un buon salario così da….”.
Zoltan lo interruppe nuovamente: “non ho bisogno una presenza continuativa sul posto, basterebbe che voi lavoraste due giorni alla settimana, il resto lo potete dedicare ai vostri impegni e al vostro miserevole contrabbando”. Laszlo, rincuorato dalla risposta, fece scivolare il dito indice lungo la curva del suo setto nasale leggermente ad aquilino fino alla punta come se volesse riflettere sulle affermazioni di Zoltan, e poi con un tono, questa volta collaborativo, disse:
“che dobbiamo fare in pratica?”.
A sentire quelle parole i muscoli facciali dell’ufficiale pubblico si contrassero delineando quel sorriso tipico di chi nei confronti degli interlocutori ha ottenuto partita vinta sfoggiando il potere derivante dal suo ruolo. Con ciò ritenendosi quindi compiaciuto dalla disponibilità di Laszlo estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette di pregio offrendole ai due fratelli, i quali non si fecero scrupolo nell’accettarne qualcuna, così con un solo fiammifero Zoltan ne accese tre contemporaneamente.
“Come ho già detto in precedenza, vi sarà data una gru mobile provvista di ragno per raccogliere dal terreno il fasciame accumulato in precedenza, liberando in questo modo la costa del lago per le operazioni successive. Il legname ed eventuali altri detriti dovranno essere caricati sul camion e trasportati in un luogo che in seguito vi dirò. Tutto qui, nulla di strano e di altamente complicato”.
Il fumo stava riempiendo la piccola stanza e la vecchia incominciò a tossire. András si alzò dirigendosi verso la finestra l’aprì facendo penetrare all’interno dell’abitazione un refolo d’aria fresca e umida. Stava facendo buio e così venne acceso il lume centrale. La fioca luce proiettava le ombre delle tre figure intorno al tavolo sulle pareti sudicie. Nel quarto d’ora successivo la tonalità delle voci e il dinamismo delle ombre la fecero da padrone. Alla fine si giunse a un accordo, Zoltan avrebbe pagato 350 fiorini alla settimana per il lavoro dei due fratelli. Il patto fu sancito da una terza bevuta.
“Vi aspetto lunedì prossimo alle 10 nella sala degli archi nel municipio di Sopron per firmare l’impegno” disse il funzionario rivolgendosi ai due fratelli mentre si tastava le tasche del suo giubbotto in cerca delle sigarette. Sul tavolo rimasero i tre bicchieri e una bottiglia semivuota.
Quando Zoltan uscì da quella catapecchia ai bordi del paese di Pereszteg erano quasi le otto di sera. Aveva ottenuto il suo scopo. Come responsabile del MAVK non avrebbe potuto affidare un compito come quello a pochi metri dal confine austriaco a chicchessia. Sarebbe stato facile per chiunque intenzionato a varcarlo percorrere pochi passi per rifugiarsi in Austria. Questo era un rischio che non poteva addossarsi. I fratelli Balantonyi, per converso, non avrebbero mai abbandonato la loro scarna terra, non sarebbero mai stati attratti dal luccicante paradiso occidentale, in fondo per loro il borgo in cui erano nati era tutto il loro mondo, consapevolmente vissuto nella semplicità contadina tra il cavare cipolle, il vendere cavoli e finocchi.
Elizeus Horváth (88), Somogy (HU), written in British English