In Europa si chiama #HalfOfIt, in Italia è il Giusto mezzo: entrambi sono movimenti che cercano di consigliare e far ragionare i Governi su quanto sia fondamentale il ruolo delle donne per uscire dalla crisi causata dal Covid.
Due nomi diversi un solo obiettivo.
Il Giusto mezzo, rappresenta la “costola” italiana della campagna #HalfOfIt, lanciata dall’europarlamentare verde Alexandra Geese ed è composto da un gruppo di donne della società civile, attive nel mondo del lavoro in diversi settori e con competenze diversificate che durante la pandemia hanno portato avanti battaglie importanti per il futuro del nostro Paese, tra le quali: una maggiore presenza delle donne nei gruppi decisionali, un’attenzione reale verso i bambini e le bambine, la necessità di riportare le competenze femminili nel mercato del lavoro sia attraverso politiche fiscale, sia di servizi alla persona da zero anni alla terza età e soprattutto attraverso il rafforzamento e la realizzazione delle necessarie infrastrutture sociali.
E’ una mezza mela il logo scelto per la lettera aperta che una rappresentanza di associazioni e alcune donne della società civile hanno indirizzato al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al suo governo il due ottobre scorso.
L’invitante mela in questione sono i 209 miliardi di euro del piano per la ripresa Next Generation EU destinati all’Italia – in altre parole, il cosiddetto Recovery Found.
Il movimento è fortunatamente “poco teorico e molto pratico” chiede, infatti, che i fondi straordinari previsti dalla Commissione europea per contrastare gli effetti negativi della pandemia vengano destinati per il 50%, a progetti a sostegno delle donne: per promuoverne l’occupazione, visto che nel nostro paese, secondo gli ultimi dati Istat, l’occupazione femminile è del 52,5% contro il 71,7% di quella maschile, per rilanciare le imprese in nome della parità di genere ed ottenere la trasparenza retributiva in tutti i settori; per allargare e migliorare i servizi sulla cura della prima infanzia, visto che oggi, a farsi carico della cura dei figli, sono per il 70% le donne (in un paese in cui 75 bambini su 100, sempre in base agli ultimi dati Istat, non hanno un posto al nido).
Tutti progetti preziosi che non dovrebbero essere considerati un’utopia, bensì rappresentare l’ordine del giorno di ciascun governo.
In base ai dati forniti dall’istituto Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) l’Italia è ultima in Europa per occupazione femminile con 9.768.000 lavoratrici che rappresentano il 42,1% degli occupati complessivi e un tasso di attività femminile al 56,2%, lontanissimo dall’81,2% della Svezia, prima tra i Paesi europei.
Sette donne su dieci sono senza lavoro in Meridione.
Insomma siamo Noi, le donne, ad aver pagato il prezzo più alto della pandemia.
Con il Covid chiudono asili e scuole e il cosiddetto “lavoro di cura” ricade su chi, all’interno della coppia, ha un’occupazione più precaria e meno retribuita, ovvero le donne.
Non permettere alle donne di tornare sul mercato del lavoro significa agevolare la recessione, favorirle genera ricchezza: per una donna che inizia a lavorare si creano posti di lavoro: uno è il suo suo, gli altri sono quelli di coloro che si fanno carico dei “suoi lavori di cura”, lavori che non generavano ricchezza, e che in questo modo vengono retribuiti: producendo denaro, gettito fiscale e servizi.
Le donne sono numericamente più degli uomini, studiano di più e spesso hanno risultati scolastici migliori dei loro coetanei, tanto da costituire oggi una fetta importante del capitale intellettuale del paese; ma lavorano di meno e, soprattutto, sono meno valorizzate sul posto di lavoro: il loro talento è dunque scoraggiato, con conseguenze che pesano sul vissuto delle singole donne, ma soprattutto sull’intera società, che si trova a dover fare a meno di risorse preziose.
Sono necessarie ed urgenti politiche strutturali ed integrate, dunque, pensate con il contributo delle donne e degli uomini che lavorano insieme nei luoghi delle elaborazioni e delle decisioni per contribuire alla prosperità comune, e futura.

Roberta Cazzulo