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Ricevo e diffondo la vicenda di un cittadino, della sua famiglia e delle persone direttamente e indirettamente coinvolte per ragionare pubblicamente su un sistema di prevenzione che lascia molto a desiderare, prima ancora dei noti ritardi con i quali vengono effettuati e processati i tamponi.  (G.A.)

“Breve (vera) traccia assurda:

  • Sabato notte mi sveglio con febbre, prendo una tachipirina e la febbre scende;

  • Domenica mattina la febbre risale e chiamo l’Usca e il Pronto soccorso: entrambi mi dicono che se proprio non sto morendo (nel senso che ho respiro corto) devo contattare il medico di famiglia;

  • Lunedì mattina chiamo il medico di famiglia e racconto tutto. La dottoressa dice che sarebbe meglio aspettare un giorno in quanto per gli adulti è consigliabile iniziare il protocollo dopo tre giorni di sintomi. Faccio presente che voglio entrare subito nel programma perché anche mia moglie ha sintomi e che alcuni professori di mia figlia sono stati messi in isolamento in quanto insegnano in un’altra classe in cui ci sarebbero dei ragazzi positivi. Così veniamo tutti messi in isolamento fiduciario per 10 gg in attesa di tampone. Faccio presente che nel weekend ho incontrato gente  e che sarebbe il caso di comunicare anche a loro la mia situazione.  Niente, il sistema si attiva solo in caso di positività. Io da bravo cittadino avviso le perone;

  • Martedì mattina ci viene comunicato che saremmo stati tamponati giovedì mattina e che la risposta sarebbe arrivata nei due /tre giorni successivi. La domanda sorge spontanea: ma a che serve? Nel frattempo è facile desumere che se, malauguratamente, avessimo infettato qualcuno il virus si starebbe espandendo in progressione geometrica;

  • Mercoledì mattina non sentiamo più i gusti. Facciamo arrivare l’informazione al SISP ma non ci viene richiesto alcun nominato delle persone con cui siamo entrati in contatto.”

In questa storia, verificabile, ci sono almeno sette giorni buttati via, nei quali nulla è stato fatto e si sta facendo per limitare il possibile focolaio. Un sistema di tracciamento del genere è il vero responsabile della diffusione del virus. C’entra poco la vita sociale perché se le persone potenzialmente positive (da sintomatologia) si trattassero secondo i protocolli Covid di isolamento fiduciario allora non ci sarebbe bisogno di coprifuoco e il virus avrebbe meno occasioni per viaggiare. Si sente un gran parlare di MES sì MES no, con tutta la dignità che questa discussione ha, ma, probabilmente, ciò di cui avremmo bisogno è la riorganizzazione dei servizi sanitari e della medicina territoriale nonché degli strumenti di tutela per i lavoratori che non possono permettersi smart working o lavoro agile che dir si voglia. Le caratteristiche di diffusione e manifestazione del virus devono interrogarci e imporci di agire sull’organizzazione sociale in relazione alle strutture sanitarie, ospedaliere territoriali e alle caratteristiche del nostro sistema di welfare.

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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