Nouriel Roubini
“Dr. Doomsayer” in questo modo lo appellarono sprezzantemente il “lupi di Wall Street” – lemma equivalente al nostro “menagramo” – qualche mese prima del default delle Dot-com nel 2000. Nouriel Roubini sconta la stessa punizione che Apollo inflisse a Cassandra, la sacerdotessa troiana del tempio di Atena, ovvero quella di non essere mai creduto. Tuttavia, l’autorevole accademico naturalizzato americano, d’origine medio-orientale, laureatosi in Italia, esperto in finanza internazionale, a partire da quella fatidica data in là non ne sbagliò una: previde con largo anticipo il crash del 2008 e l’anno scorso mise in guardia gli “ottimisti” del “new normal” che nel 2020 si sarebbe profilata una forte recessione.
Si, forse dal post traspare un eccesso di pessimismo. Sennonché, a prescindere da questa personale disposizione di spirito dell’autore, il passaggio più importante riguarda il suo scetticismo sulla capacità delle élite di governo, le cui mentalità sono state assuefatte per anni dalle virtù taumaturgiche del mercato, di dispiegare politiche rapide ed efficienti per contenere ciò che si annuncia come una Grande Depressione. Questo sarà il vero problema del dopo.
A Greater Depression?
Mar 24, 2020 NOURIEL ROUBINI
With the COVID-19 pandemic still spiralling out of control, the best economic outcome that anyone can hope for is a recession deeper than that following the 2008 financial crisis. But given the flailing policy response so far, the chances of a far worse outcome are increasing by the day.
NEW YORK – Lo shock per l’economia globale di COVID-19 è stato più veloce e più grave della crisi finanziaria globale del 2008, in seguito (GFC) e persino della Grande Depressione. In quei due episodi precedenti, i mercati azionari crollarono del 50% o anche più, i mercati del credito si congelarono, seguirono ingenti fallimenti, i tassi di disoccupazione salirono al di sopra del 10% e il PIL si contrasse a un tasso annualizzato del 10% o anche più. Ma tutto ciò richiese circa tre anni. Nell’attuale crisi, in tre settimane si sono concretizzati risultati macroeconomici e finanziari altrettanto disastrosi.
All’inizio di questo mese, ci sono voluti solo 15 giorni prima che il mercato azionario statunitense precipitasse verso il basso (un calo del 20% dal suo picco): il declino più veloce da sempre. Ora, i mercati sono scesi del 35%, quelli del credito si sono bloccati e gli spread del credito (come quelli delle obbligazioni spazzatura[junk bond]) sono saliti ai livelli del 2008. Anche le principali società finanziarie come Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley prevedono che il PIL degli Stati Uniti diminuirà del 6% nel primo trimestre e dal 24% al 30% nel secondo. Il segretario al Tesoro americano Steve Mnuchin ha avvertito che il tasso di disoccupazione potrebbe salire alle stelle al di sopra del 20% (il doppio del livello di picco durante la GFC).
In altre parole, ogni componente della domanda aggregata – consumi, spese in conto capitale, esportazioni – è in caduta libera senza precedenti. Mentre la maggior parte dei commentatori accomodanti e autoreferenziali hanno anticipato una recessione a forma di V – con una produzione in forte calo per un trimestre e poi in rapido recupero nel successivo – ora, per costoro, dovrebbe essere chiaro che la crisi COVID-19 è qualcos’altro. La contrazione attualmente in atto sembra non essere né a V né a U né a L (una forte recessione seguita da un ristagno). Piuttosto, sembra assumere la forma della I: una linea verticale che rappresenta [la caduta] dei mercati finanziari e il crollo dell’economia reale.
Neanche durante la Grande Depressione e nemmeno nel corso della Seconda Guerra Mondiale la maggior parte delle attività economiche fu letteralmente chiusa, come è successo oggi in Cina, negli Stati Uniti e in Europa. Lo scenario migliore traccerebbe una recessione più grave della GFC (in termini di riduzione della produzione globale cumulativa) ma di breve durata, che consentirebbe un ritorno alla crescita positiva entro il quarto trimestre di quest’anno. In tal caso, i mercati inizierebbero a riprendersi all’apparirsi della luce alla fine del tunnel.
Ma lo scenario migliore presuppone diverse condizioni. In primo luogo, gli Stati Uniti, l’Europa e altre economie fortemente colpite avrebbero bisogno di dispiegare a tutto campo i test sul COVID-19 con misure di rintracciabilità e di trattamento, quarantene forzate e un blocco su vasta scala pari a quelle che furono fatte in Cina. E, poiché potrebbero essere necessari 18 mesi per lo sviluppo e la produzione di un vaccino su larga scala, gli antivirali e le altre terapie dovranno essere impiegati su vasta scala.
In secondo luogo, i responsabili delle politiche monetarie – che hanno già fatto in meno di un mese quello che ci sono voluti tre anni dopo la GFC – devono continuare a intervenire con misure non convenzionali generalizzate per affrontare la crisi. Ciò significa tassi di interesse pari a zero o negativi; incremento della “forward guidance”; Quantative Easing; alleggerimento del credito (acquisto di beni privati); fino a creare reti di protezione per banche, istituzioni finanziarie non bancarie, fondi del mercato monetario e persino per le grandi società (commercial paper e linee di obbligazioni corporate). La Federal Reserve americana ha ampliato le sue linee di swap transfrontaliere per far fronte alla grave carenza di liquidità in dollari nei mercati globali, ma ora abbiamo bisogno di più strumenti per incoraggiare le banche a prestare denaro alle piccole e medie imprese illiquide che sono ancora in buono stato di salute.
In terzo luogo, i governi devono distribuire massicci stimoli fiscali, anche attraverso “l’uso degli elicotteri”, ossia: erogazioni dirette di denaro alle famiglie. Data l’entità dello shock economico, i deficit fiscali nelle economie avanzate dovranno aumentare dal 2-3% del PIL a circa il 10% o più. Solo i governi centrali dispongono di bilanci ampi e sufficientemente forti da impedire il collasso del settore privato.
Nondimeno questi interventi finanziati con deficit devono essere pienamente monetizzati. Se fossero finanziati attraverso le procedure standard del debito pubblico, i tassi di interesse aumenterebbero drasticamente e la ripresa sarebbe soffocata nella sua culla. Date le circostanze, gli interventi a lungo proposti dalla sinistra [americana], che fanno capo alla scuola della MMT (Moderna Teoria Monetaria), compreso il “denaro dall’elicottero”, sono diventati il mainstream.
Sfortunatamente nella migliore delle ipotesi, la risposta della sanità pubblica nelle economie avanzate è stata molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario per contenere la pandemia, e il pacchetto di politiche fiscali attualmente in discussione non è né ampio né abbastanza rapido da creare le condizioni per un recupero tempestivo. Come tale, il rischio di una nuova Grande Depressione, peggiore dell’originale – una Grande Depressione – sta aumentando di giorno in giorno.
A meno che la pandemia non venga fermata, le economie e i mercati di tutto il mondo continueranno la loro caduta libera. Ma anche se la pandemia sarà più o meno contenuta, la crescita complessiva potrebbe ancora non tornare entro la fine del 2020. Dopotutto, è probabile che un’altra stagione virale inizi con nuove mutazioni; gli interventi terapeutici su cui molti contano possono rivelarsi meno efficaci di quanto sperato. Quindi, le economie si contrarranno di nuovo e i mercati seguiranno nel crollo.
Inoltre, la risposta fiscale potrebbe raggiungere un punto al di là del quale nessun progresso può essere fatto qualora la monetizzazione di enormi disavanzi inizi a produrre un’inflazione elevata, soprattutto se una serie di shock negativi dell’offerta correlati al virus riducono la crescita potenziale. E molti paesi semplicemente non possono prendere tali prestiti nella propria valuta. Chi salverà governi, società, banche e famiglie nei mercati emergenti?
In ogni caso, anche se la pandemia e la ricaduta economica fossero sotto controllo, l’economia globale potrebbe ancora essere soggetta a una serie di rischi di “coda” da “cigno bianco”. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali statunitensi, la crisi COVID-19 lascerà il posto a nuovi conflitti tra Occidente e almeno quattro potenze revisioniste: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, che stanno già utilizzando una guerra informatica asimmetrica per minare gli Stati Uniti dall’interno. Gli inevitabili attacchi informatici al processo elettorale degli Stati Uniti possono portare a un risultato finale contestato, con accuse di “manipolazione” e la possibilità di violenza e disordini civili.
Allo stesso modo, come ho già sostenuto, i mercati stanno ampiamente sottovalutando il rischio di una guerra tra Stati Uniti e Iran quest’anno; il deterioramento delle relazioni sino-americane sta accelerando allorché ciascuna parte incolpa l’altra per la portata della pandemia di COVID-19. È probabile che l’attuale crisi acceleri la balcanizzazione e il disfacimento dell’economia globale nei prossimi mesi e anni.
Questa tripletta di rischi – pandemie non contenute, arsenali di politica economica insufficienti e cigni bianchi geopolitici – basterà a spingere l’economia globale in una depressione persistente e una fuga da un mercato finanziario in caduta libera. Dopo l’incidente del 2008, una risposta forte (sebbene ritardata) riportò l’economia globale dall’abisso. Questa volta potremmo non essere così fortunati.
Nouriel Roubini, Professor of Economics at New York University’s Stern School of Business and Chairman of Roubini Macro Associates, was Senior Economist for International Affairs in the White House’s Council of Economic Advisers during the Clinton Administration. He has worked for the International Monetary Fund, the US Federal Reserve, and the World Bank. His website is NourielRoubini.com.