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Mariani Silvio

Nella politica odierna, per quanto non manchino le divergenze basate sui differenti apparati ideologici sui quali sono fondati i partiti, esiste, nell’ambito della gestione del patrimonio statale, una visione comune ad entrambe le fazioni, ed è quella relativa allo smantellamento di tale patrimonio.

Questa strategia prende il nome di privatizzazione, ed è stata applicata in tutto il mondo. A questo “modello” di gestione del patrimonio pubblico, che sta assumendo i contorni di una svendita, si contrappone ideologicamente la nozione di bene comune. L’idea che esistano delle porzioni sensibili del nostro mondo le quali debbano essere accessibili a tutta l’umanità è circolata tra gli esseri umani fin dalle prime comunità riunitesi, ed è stata poi confermata anche quando queste comunità si sono organizzate in imperi, come quello romano.

Il diritto romano contemplava infatti la categoria delle “res communis omnium” (le cose comuni a ciascuno di noi), tra le quali erano comprese l’aria, l’acqua e gli oggetti necessari per le cerimonie religiose.

Questa idea è poi stata confermata nell’età moderna da celebri giuristi, fra i quali annoveriamo Ugo Grozio.

Negli ultimi anni poi, essa è stata parzialmente rielaborata e ammodernata dall’economista norvegese Elinor Ostrom. Per le sue teorie, la Ostrom è stata insignita del premio Nobel per l’economia nel 2009. La Ostrom, nel 1990 ha scritto un libro intitolato “Governing the Commons” dove descriveva alcuni capisaldi della sua teoria, e definiva i beni comuni delle “common poole resources”, ovvero delle risorse di proprietà comune, gestite da una comunità di persone e dalle quali è impossibile impedire l’accesso a chi intenda utilizzare la risorsa, a meno che tramite quell’utilizzo non sia intaccata l’integrità della risorsa stessa.

In Italia la riflessione sui beni comuni si è particolarmente intensificata negli ultimi vent’anni, ma è presente nel dibattito giuridico da tempi risalenti, perlomeno fin da quando Paolo Grossi ha descritto nei suoi lavori alcune teorie di giuristi italiani che avevano studiato il fenomeno dei beni comuni con riferimento alle comunità contadine e montanare.

Stefano Rodotà è stato un fermo sostenitore della nozione di bene comune, considerata dal giurista cosentino di una tale importanza da essere uno dei punti cardine del suo testo per una riforma del codice civile, presentato nel 2007.

L’idea era quella di dare vita a una nuova disciplina della proprietà che riconoscesse e valorizzasse quei beni da sottrarre al mercato per il diritto universale al loro godimento da parte del cittadino.

Questa disciplina è fondamentale per due cruciali finalità, ovvero, da un lato garantire che questi beni, tra i quali annoveriamo gran parte delle risorse naturali, restino a disposizione delle generazioni future, affinché possano vivere in un ambiente salubre all’interno del quale abbiano la possibilità di poter usufruire di mari, foreste e di un’aria pulita.

Dall’altro lato, la necessità di mantenere biblioteche, musei, siti culturali e archeologici liberi all’accesso, affinché le generazioni future possano accedere gratuitamente a ciò che è strettamente necessario per il proprio sviluppo umano e culturale.

Purtroppo, il testo della riforma proposto da Rodotà e dalla Commissione da lui presieduta non è mai stato discusso in una seduta plenaria del parlamento.

Il Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, fondato nel 2018 da Ugo Mattei, docente universitario a Torino e stretto collaboratore di Rodotà, si propone di presentare un disegno di legge di iniziativa popolare che riproponga integralmente il testo della riforma elaborata dalla Commissione, volto a inserire nel codice civile la nozione di bene comune.

L’intenzione non è solo quella di proseguire il disegno politico di Stefano Rodotà, ma è di proporre un’alternativa solida alla dicotomia pubblico-privato, per salvare quei beni necessari al miglioramento della comunità, in un periodo storico nel quale l’inquinamento e la sistematica distruzione degli spazi culturali necessari allo sviluppo della persona continuano incessantemente a mettere a repentaglio il pianeta terra stesso e la coesione socio-politica delle democrazie mondiali.

Silvio Mariani

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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