- Il Labour è stato troppo massimalista di sinistra?
Se così fosse la proposta Labour di Corbyn sarebbe stata rigettata già nel 2017. Molti dei commentatori che oggi si scagliano, a mio avviso strumentalmente, contro la presunta radicalità indigesta del manifesto Labour di Corbyn dimenticano, o omettono volutamente, che la stessa proposta elettorale ebbe un risultato ottimo nel 2017, che permise di invertire una rotta negativa iniziata dal 2010 in poi. Ripassando i dati infatti troviamo un Gordon Brown al 29% con 258 seggi nel 2010, Ed Milliband con il 30% e 232 seggi nel 2015, e poi appunto l’inversione di tendenza del Labour guidato da Corbyn nel 2017 con il 40% e 262 seggi vinti. La presunta radicalità può forse aver inciso in parte, ma relativamente nel perdere qualche “voto al centro”, ma certamente ha permesso di trattenerne altrettanti (anzi forse ancor più) nelle fasce più popolari, e soprattutto giovanili. Peraltro la proposta economica, seppur viziata da alcuni eccessi (tuttavia abbastanza accettabili in un programma elettorale), si presenta come una forma modello “neo-socialista” o se vogliamo di “capitalismo progressista” più che richiamare i modelli novecenteschi (Green New Deal, aumento del Minimum Wage, investimenti pubblici nel settore della ricerca avanzata, eliminazione delle concessioni private in corrispondenza di monopoli naturali, riequilibrio dell’estrazione fiscale a esclusivo carico del 10% ricco della popolazione, un piano ardito di “rigenerazione” scolastica, il rifinanziamento dell’assistenza sanitaria e di tutela per gli anziani i diversamente abili e l’infanzia nel suo complesso). In ogni caso, leggere l’esito come una necessità di tornare alla “Terza Via” blairiana sarebbe un errore non di poco conto. Il dato più lampante, quello che salta più all’occhio è rappresentato dai voti assoluti ottenuti da Jeremy Corbyn. Infatti, il Labour Party è stato votato da 10.292.054 persone. Quando Tony Blair divenne premier per la terza volta ottenne 9.552.436 voti. Praticamente 750mila in meno di quelli raccolti da Jeremy Corbyn nel 2019. Va inoltre sottolineato come il messaggio socialista di Jeremy Corbyn abbia avuto ottimo seguito tra le fasce giovani della popolazione, e in controtendenza con altri partiti socialdemocratici continentali, il Labour è un partito che attrae il voto giovanile, fattore molto positivo in prospettiva. Poi sui limiti della leadership di Corbyn si può discutere, non senza qualche ragione, e rimandiamo all’ultimo punto per approfondire ciò. - Il non essersi schierato su Brexit in maniera più netta ha inciso?
Forse in parte, ma a mio avviso non significativamente direi. Al contrario molti dei seggi persi sono avvenuti in realtà cosiddette Labour-Leave (ovvero dove aveva vinto il Labour nel 2017 e il Leave nel referendum su Brexit). Inoltre i Lib-Dem non sembrano aver risucchiato voti al Lab con la loro proposta Remain, (la scozzese Jo Swinson il loro leader – fatto eccezionale nella storia secolare elettorale in inglese – non venne eletta ai Comuni nel suo seggio “natale”) – dunque difficile pensare che tale fattore abbia inciso in maniera sostanziale, anche se sicuramente ha giocato qualche punto percentuale e forse una quindicina di seggi in alcuni punti, facendone però perdere altri appunto nel nord. Ma la sconfitta pareva destinata a materializzarsi comunque.
- Ma allora quale è il motivo della sconfitta?
La forza del messaggio sulla Brexit di Johnson. Notare che ciò apparentemente in contraddizione con 2), non lo è ad una analisi più attenta. Infatti la questione Leave-Remain è destinata per sua natura a spaccare maggiormente l’elettorato Labourista rispetto a quello Tories. Questo perché l’opzione Leave, essendo di natura identitaria funziona da centro gravitazionale, ed è destinata a compattare un campo, mentre quella Remain è destinata a creare tensioni, poiché viviamo una fase di “backlash” della globalizzazione. In questo dunque il Lab ha patito maggiormente. Anzi la differenza col 2017 è stata proprio dovuta al fatto che Johnson ha concentrato tutta la sua campagna su Brexit. Corbyn ha cercato di spostare l’asse del confronto sui temi economici, sul conflitto sociale come nel 2017, ma questa volta il tentativo è fallito. - Perché?
Direi principalmente per il fatto che mentre nel 2017 l’assenza di una posizione netta e forte di May sul tema Brexit (lei stessa una remainer) aveva permesso a Corbyn di giocare una partita sull’asse classico sinistra-destra, labouristi-conservatori. Il messaggio “socialista” a mio avviso allora permise la tenuta di diversi seggi Leaver nel nord, Grimsby, Workington (seggi poi invece persi a questa tornata).
Con Johnson si è assistito invece ad uno scontro anomalo, che si potrebbe definire socialismo vs. Brexit. Ovvero Corbyn ha tentato di giocare la partita con gli stessi messaggi del 2017, (e anzi forse con una posizione Remainer più netta) ma contro un avversario fortemente Leaver e che ha concentrato tutto su ciò. L’esisto è stato una netta sconfitta. - Motivi pricipali?
Il messaggio socialista, in chiave “economicista” di Corbyn è complesso da declinare anche con una comunicazione “populista”. Funziona quando il tuo avversario non ha un messaggio più diretto da veicolare. Il messaggio su Brexit, come tutti i messaggi identitari nazionalisti, oggi sono i più diretti e si potrebbe dire addirittura con alcuni tratti “pre-politici”. Con questo non dobbiamo però pensare che il problema sia meramente comunicativo. Al contrario, ciò evidenzia una scala di priorità dell’elettorato su cui riflettere. Il messaggio forse più preoccupante ci arriva dal seguente fatto: fino ad ora le posizioni identitarie avevano sconfitto principalmente le posizioni “globaliste”. Il voto di ieri ci dà una tendenza che anche un programma e un messaggio fortemente “socialista” e a favore dei ceto medi-popolari fatica ad arrivare nelle “periferie” (intese anche come aree interne), poiché fatica anch’esso contro il messaggio identitario (anche il voto all’SNP non a caso è un voto fortemente identitario).
Questo è un tema sul quale urge una riflessione, forse la riflessione più importante.
- Forse Jeremy Corbyn non ha convinto fino in fondo la working-class periferica del West e dell’East Midlands?
Questa ultima riflessione è emersa da uno scambio molto proficuo con l’amico Franco Gavio e alcune riflessioni condivise sulla figura di Jeremy Corbyn e del suo passato politico.
C’è una parte di quel voto Labour del Nord molto legato alla cultura operaia e mineraria britannica (circoscrizioni come Grimsby, Workington). Si direbbe un patriottismo-proletario che sostanzialmente disprezza la raffinata “aristocrazia” internazionalista di sinistra. Un Labour che paradossalmente “legittima” il comportamento posh (la boria del ricco stravagante etonian) di BoJo in quanto parte della sfera antropologica britannica ma contemporaneamente detesta coloro che tendono ad avere un pensiero meno vincolato ai modelli domestici, benché sia orientato a sinistra. Insomma, l’internazionalismo nel Labour storicamente ha sempre avuto vita grama (il nostro Nenni nei primi anni 30 s’infuriò per questa mancanza d’empatia). La carriera politica di Jeremy Corbyn non si è mai conformata alle linee principali del partito. Non entrando nei particolari, Corbyn è l’erede di una piccola ma battagliera minoranza del Labour (Tony Benn, il socialismo dal “basso”) internazionalista, pacifista, d’ispirazione cartista, e per certi versi nipote della vena utopista di Robert Owen, strutturalmente legata alla ferrea difesa dei diritti umani, civili e delle autodeterminazioni dei popoli (wilsoniana, Woodrow). E qui includiamo la lotta dei cattolici irlandesi nell’Ulster e dei palestinesi nel M.O. Ora, finché Corbyn rappresentava un pugno di seguaci all’interno della grande confederazione Labour, ciò non costituiva uno scandalo, ma quando, inaspettatamente, ne divenne il leader politico il suo passato cominciò a diventare un problema tanto per gli amici (Unions), quanto per gli avversari. Da qui, le accuse strumentali di antisemita e persino di “terrorista”. Corbyn la scampò nel 2017, perché si pensò che sarebbe caduto a seguito di una sconfitta. Ma ciò non accadde, anzi egli fece un risultato tanto clamoroso da sorprendere tutti. Nei due anni successivi le tensioni nei confronti della mancata Brexit nelle aree più dimenticate del regno si fecero più pregnanti e parimenti crebbe un larvato e stizzoso sentimento xenofobico (anti-immigrati). BoJo fiutò la debolezza di Corbyn e con il suo “get the Brexit done” portò il Labour al confronto. Il resto è storia di ieri. Come dire più prosaicamente: “i giovani sono giustificati dal non sapere, ma i vecchi ricordano”.