Giorgio Laguzzi (Membro della Assemblea Nazionale del Partito Democratico)
E` notizia fresca di questi giorni l’approvazione della riforma che prevede la riduzione del numero di parlamentari. Anche se non è sicuramente molto popolare affermarlo, credo che le misure che vadano in questo senso rappresentino esattamente quel lato negativo del populismo, contrariamente ad altri lati positivi sui quali ho detto in altri contesti.
Forse parte del popolo potrebbe oggi esultare. Ma un giorno credo ci si renderà conto che la riduzione dei parlamentari, o meglio l’idea che sta dietro questo principio in termini generali, porterà a perdere maggiormente, esattamente quelle “periferie dell’impero”, piccoli e medi comuni, che vedranno ancor più ridursi la rappresentanza parlamentare, aumentando così ancor più quella distanza tra vincenti e perdenti della globalizzazione. L’idea di “ridurre i costi della democrazia” è essa stessa pericolosa e fuorviante. Oggi essere veramente dalla parte del popolo vuol dire potenziare la democrazia per combattere le distorsioni della globalizzazione attraverso la partecipazione attiva alla politica, non ridurla ulteriormente.
Sia chiaro che con quanto affermo non intendo dare spazio a dichiarazioni e posizioni catastrofiche sull’onda di “attentato alla democrazia” o similari. Anche perché, ad onor del vero, andando più o meno a memoria mi par di ricordare che quasi tutte le recenti riforme costituzionali prevedessero un ridimensionamento del numero dei membri delle due Camere, seppur in modalità diverse di volta in volta.
Semplicemente il mio ragionamento si inserisce ad un livello più generale, se vogliamo dirla così, che richiama ancora una volta le categorie economico-politiche riprese da Dani Rodrik, nel suo trilemma, sempre proficuo e fertile per molte riflessioni: globalizzazione, democrazia, nazione. Tralasciando l’ultima delle tre (non per mancanza di importanza, ma semplicemente perché non riveste un ruolo essenziale in questo ragionamento), negli ultimi anni l’elettorato ha chiaramente espresso un forte senso di insofferenza verso il processo di globalizzazione. Da qui, ogni processo che sia volto ad una riduzione dello spazio di rappresentatività democratica è a mio avviso da considerarsi come negativo, poiché rischia di accentuare lo squilibrio già ampio creatosi in questi anni.
Detto ciò, vi è anche un altro ragionamento che porrei soprattutto agli alleati del Movimento 5 Stelle e al loro guru. Possiamo anche essere d’accordo che la democrazia rappresentativa nelle forme conosciute nel XX° secolo vada aggiornata rispetto alle nuove forme tecnologiche di partecipazione e comunicazione e che forse un nuovo bilanciamento tra democrazia rappresentativa e forme di democrazia diretta vadano trovate.
Ma attenzione, perché queste nuove forme e questa versione di rappresentatività per il XXI° secolo dovranno comunque avere come fulcro l’obiettivo di aumentare la partecipazione, soprattutto attiva alla politica, e la coscienza dell’individuo come cittadino e parte di un collettivo, di una comunità.
Perché oltre al pericolo di nazional-liberismo autoritario in stile Trump, Bolsonaro, Orban, esiste un altro pericolo di deriva anti-democratica, rispetto al quale il Movimento 5 Stelle e il loro Guru Grillo devono fare chiarezza, ovvero quello che si potrebbe definire tecno-populismo, che sotto certi aspetti rappresenta il volto politico della pericolosa deriva economica dalla quale anche Mariana Mazzucato[1] mette in guardia in un suo recente articolo, riferendosi ad un “neo-feudalesimo digitale”.
Il pericolo a cui stiamo assistendo, infatti, è che un sistema economico, il quale ormai ha creato una forte atomizzazione della società e un tipo di cittadino ormai assuefatto dalla dimensione di homo oeconomicus, vada anche nell’ambito politico assumendo sempre più le sembianze di un elettore-consumatore, il quale non partecipa realmente attivamente al processo politico di evoluzione della società, sviluppando una giusta dose di “coscienza di cittadinanza”, ma al contrario rischia di subire derive negative e passive, di utile beota che insegua le preferenze già pre-confezionate ed elaborate dai potenti algoritmi che “gestiscono” il pantagruelico ammontare di dati che forniamo ogni giorno sotto forma di like, condivisioni, ricerche su google e quant’altro.
La figura del giullare introdotta all’interno dello scenario politico ormai da diversi anni da alcuni guru, cammina dunque al confine tra due possibilità: una prima positiva, con la quale il fenomeno giullare, con la sua ebbrezza possa smuovere le coscienze e stimolarle verso un positivo attivismo politico, sociale e intellettuale, che smuova insomma la sete di conoscenza e un sano spirito “rivoluzionario”; una seconda, pericolosa e fortemente negativa, con la quale il fenomeno del giullare, attraverso il suo spettacolo e le sue parole, possa incantare il proprio pubblico e rendere simile ad una pletora di individui ipnotizzati dallo spettacolo, e soddisfacenti a pieno il loro unico compito previsto dal neo-feudalesimo digitale di utili beoti e famelici consumatori (Niklas Olsen)[2].
Andrebbe che il giullare pentastellato più brillante oggi presente sul palcoscenico italiano fugasse ogni dubbio. Io credo che la possibilità o meno di costruzione di una alleanza tra Dem e 5stelle dipenda molto da questa risposta, forse più di ogni altra cosa.
Giorgio Laguzzi
[1] https://ilponte.home.blog/2019/10/13/mariana-mazzucato-impedire-che-si-realizzi-un-feudalismo-digitale-facebook-google-ecc/
[2] https://ilponte.home.blog/2019/05/02/jacobin-usa-niklas-olsen-in-che-modo-il-neoliberismo-reinvento-la-democrazia/