I festeggiamenti color verde padano per una legge “non totalmente incostituzionale” sono simili alle esultanze di chi è felice di perdere 5 a 1, ma non 5 a 0.
Credo che non debba esserci alcuno stupore per questa pronuncia: a chi si è adoperato per raccogliere le firme per abrogare il Ddl Calderoli, per documentarsi, per sostenere confronti pubblici era chiaro quali fossero i punti su cui la legge, da un punto di vista di legittimità costituzionale, scricchiola.
La Corte costituzionale mi obbliga, e lo faccio con piacere, a rivedere il mio capitolo di riflessioni sulla contorta faccenda dell’autonomia differenziata.
Per ricordare: il Consiglio comunale di Alessandria ha discusso e approvato un Ordine del giorno, a mia prima firma, l’inverno scorso, proprio su questo argomento, in cui erano sottoposte ai Colleghi alcune preoccupazioni sulla marginalizzazione del ruolo del Parlamento e sull’iniquità della distribuzione delle risorse, nonché sulla spaventosa continuità politica tra le riforme costituzionali promosse dall’attuale maggioranza di governo, che potenzialmente sono in grado di delineare uno Stato diverso, sicuramente, ma non l’Italia. Successivamente, sempre in Consiglio comunale, è stato depositato dalla Lega alessandrina un altro documento, successivo alla promulgazione della legge sull’autonomia differenziata così come approvata dalle Camere, in cui si propone di sostenere l’inizio del percorso verso l’autonomia. Si parla di un documento non ancora discusso e in contrasto con quello precedentemente approvato. Ricostruisco questa vicenda per dovere di cronaca e di completezza, ma non per altra utilità, se non quella di suggerire ai proponenti di ritirarlo.
Volendo sintetizzare per argomenti generali i punti che la Consulta, in modo preciso, ha censurato, è necessario farsi largo tra nozioni tecniche, questioni controverse ed intrecciate tra di loro.
Intanto, è utile ribadire con forza che secondo la Corte costituzionale la definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) non può avvenire attraverso un atto avente forza di legge emanato dal Governo, in nessuna forma. Attraverso i LEP si dovrebbe garantire il livello minimo di tutela e di espressione dei diritti sociali e civili dei cittadini: per questo, com’è noto, è fondamentale dare loro una definizione, ma non attraverso un decreto legge, decreto legislativo o dpcm.
La Corte ritiene centrale il ruolo del Parlamento nelle scelte e nelle emanazioni legislative, sia relativamente alla definizione dei LEP, sia nella dinamica relazionale Stato – Regione, sia nella revisione di quelle parti della legge sull’autonomia differenziata che, con la sentenza in oggetto, vengono censurate. Nel comunicato stampa della Corte costituzionale del 14 novembre si legge: “Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.”
Dallo stesso comunicato si legge, infine, che il finanziamento delle funzioni amministrative attribuite alla Regione non possono essere stabilite sulla base della spesa storica (criterio tale per cui lo Stato eroga fondi in funzione della spesa sostenuta dall’ente nell’anno precedente a prescindere dal loro utilizzo ndr), “bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso”.
La Corte costituzionale ha, riassumendo ancora, indicato alla Repubblica che quelle disposizioni normative non rispettano i princìpi di uguaglianza, sussidiarietà e unità del Paese.
Secondo la Costituzione italiana non è possibile che alcuni territori vengano meno agli obblighi di contribuzione secondo princìpi equi e di solidarietà nazionale; secondo la Costituzione non è possibile estromettere il Parlamento dalle decisioni legislative; secondo la Costituzione non può essere a discrezione del Governo, dello Stato o della Regione, la decisione dei livelli essenziali delle prestazioni attraverso cui sono tutelati i diritti sociali e civili dei cittadini.
Ha censurato esattamente i punti che chi ha partecipato alla mobilitazione dei mesi scorsi aveva già evidenziato come ingiusti, iniqui, pericolosi: ebbene, sono anche illegittimi, inevitabilmente.
Osservo con preoccupazione una sola vicenda: nella guerra intrapresa contro la Magistratura, dopo ogni pronuncia è in discussione il giudice: modalità orrendamente pericolosa di vivere la democrazia.
La Magistratura esercita, secondo la Costituzione, il potere giudiziario: ma questo principio antico e fondamentale nello stato di diritto deve essere sostenuto anche dal profondo convincimento del popolo che vive secondo quella Costituzione; sia una battaglia del centrosinistra, giacché su questa come su molte altre battaglie di legalità non vi è nessuna unanimità nel Paese, fuori dalla retorica, pertanto una presa di posizione netta per un Partito democratico è dovere.
Da un punto di vista politico, invece, una delle tre grandi riforme (autonomia differenziata – premierato – riforma della giustizia) volute delle tre forze politiche di destra-centro, che sostengono il Governo Meloni, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nelle sue parti più “importanti”. Si apre il dibattito in merito alla credibilità dell’alleato della Premier, della sua stabilità interna e di governo; ma soprattutto, come se si mettesse un punto a un discorso che dura da decenni, questa vicenda mostra al popolo italiano che la tesi fondamentale di un intero movimento politico, nella sua applicazione, è contrario a ciò che fonda l’Italia stessa: declinato alla maniera della destra, l’autonomia è incompatibile con l’Italia.
Vorrei fosse vissuto come l’inizio di un riscatto per tutti coloro che sono stati chiamati “terroni” e “clandestini”: non esistono clandestini sotto lo stesso cielo, né esiste per l’Italia qualcuno che deve essere lasciato indietro.