Le drammatiche notizie sul conflitto israelo-palestinese e il massacro di Gaza che ci accompagnano quotidianamente da mesi a seguito dell’esecrabile attacco del 7 ottobre 2023 effettuato da parte di Hamas nei confronti della popolazione israeliana inerme nel sud del Paese, hanno riproposto prepotentemente all’attenzione internazionale uno scenario altrimenti marginalizzato se non accantonato.
Gaza e il suo portato tragico di morte e distruzione ha riproposto agli occhi del mondo non solo il conflitto tra due popoli, ma apre, attraverso l’uso così manifesto e indecente della violenza, anche la necessità di una discussione pubblica assai più ampia, estesa e ragionata sulla Storia, sul suo uso pubblico, sui diritti e sulla giustizia in un contesto di ordine globale.
Enzo Traverso, storico di primissima fascia e protagonista del dibattito culturale internazionale[1], non si è sottratto alla chiamata e si è cimentato un saggio breve, ma assai denso, ( Gaza davanti alla storia – Laterza, 2024 ) con cui tenta di dare risposte e chiavi interpretative di una realtà in pieno svolgimento, dove gli orrori stravolgono, giorno dopo giorno, la realtà delle cose e a cui l’intera umanità non riesce a porre freno.
Non è ovviamente un testo di storia – Traverso lo esplicita sin da subito – ma è una riflessione di cui l’autore evidenzia l’urgenza e la necessità, non solo individuale ma collettiva, attraverso la quale si affrontano le principali contraddizioni che caratterizzano il conflitto in atto da tempo tra quella piccola parte di mondo che chiamiamo Occidente, di cui noi europei siamo parte attiva e integrante, e quella assai più rilevante numericamente che geograficamente che è nota comunemente come Sud globale. Sono evidenti i presupposti culturali che guidano le modalità di approccio nella lettura delle dinamiche sociopolitiche; modalità che hanno le loro radici in una interpretazione colonialista di tali dinamiche basata su una ideologia di supremazia razziale e, per alcuni versi, religiosa. Si rileva, citando e mettendo in sequenza una serie di fatti e avvenimenti storicamente collocati e contestualizzati, come nel racconto pubblico e nella sua narrazione le ragioni, le istanze, i desideri dei popoli non siano oggetto di una contrattazione equa, ma figlie di evidenti ragioni di forza e peso, politico e militare, arrivando sino alla loro negazione peraltro sostenuta e propagandata quale verità assoluta, inevitabile e incontestabile. Apre una profonda riflessione sul concetto di genocidio, sulla genesi giuridica dello stesso e sulla sua applicabilità nel contesto in atto; sulla evidente contraddizione e sulle altrettanto evidenti difficoltà di applicare tale concetto a quanto sta accadendo a Gaza per mano di Israele, lo Stato nato nel secondo dopoguerra per volontà dell’Occidente globale a titolo risarcitorio verso il popolo ebraico per le vicende correlate alla Shoah e per le proprie responsabilità dell’essersi voltati dall’altra parte mentre ciò accadeva. Si evidenzia come quel “presupposto vittimario” che ha profondamente condizionato la cultura occidentale nei confronti di quella categoria storico-politica chiamata orientalismo, stia alla base della connivenza intergovernativa e della corresponsabilità politica, dello spregio che il governo di Israele ha avuto nei confronti di una serie nutrita e notevole di pronunciamenti, risoluzioni, sentenze di tutti gli organismi giuridico-istituzionali internazionali (ONU, Corte internazionale di Giustizia, Convenzione delle Nazioni Unite) che nei fatti lo hanno messo in mora.
Si ragiona sulle motivazioni politiche e sociali che hanno indotto il popolo palestinese a intraprendere, non da oggi peraltro, una radicale e asimmetrica lotta di opposizione allo Stato israeliano – e ai suoi insediamenti coloniali illegali – che con differenti e alterni momenti si è manifestata e sempre più capillarmente radicalizzata; ragioni e motivazioni che non appare corretto storicamente liquidare con l’epiteto di “terrorismo fondamentalista” incasellandolo così nella categoria del nemico internazionale per l’Occidente del XXI secolo.
Tutta la sua riflessione mette in evidenza anche come i ragionamenti sopra espressi, supportati e sostenuti da documentazione fattuale e realtà incontrovertibili, vengano peraltro mistificati e negati dal circo mediatico convenzionale e mainstream, accodato in un sostegno embedded, acritico e accondiscendente nei confronti delle linee politiche governative dell’Occidente omologato, arrivando a sostenerle anche con la creazione di narrazioni fasulle, non sostenute da fatti o documenti, costruendo una sorta di “crisi epistemica ovvero una confusione tra vero e falso, dicibilità di tutto e del suo contrario” – parole non mie ma di Ida Dominijanni – in cui siamo tutti precipitati in questo mondo globale e iperconnesso.
Un breve, denso saggio opportuno e necessario, che cerca di squarciare il velo di ipocrisia collettiva e generalizzata e autoassolutoria che pervade il pensiero mainstream occidentale. Una riflessione paradigmatica che, senza avere la pretesa della verità assoluta – chi la possiede peraltro? -, nello spirito critico che costituisce da secoli il nerbo del pensiero europeo e occidentale, nella sua migliore accezione in questo caso, prova a metterci di fronte alle nostre responsabilità e ad assumercele, nel non girarci dall’altra parte di fronte al massacro di popolazioni civili inermi.
Una riflessione peraltro che traduce una sempre crescente forma di dissenso trasversale, profonda e radicale che pervade ampi strati della società globale internazionale, siano questi istituzionali che di popolo, attraverso forme di opposizione, critica e conflitto che si manifestano con evidenza e rumore, che il pensiero dominante fatica sempre più a silenziare .
Un testo militante, di parte e “fuori dal coro” come Traverso stesso dichiara inizialmente senza alcuna ipocrisia. A supporto di ciò egli richiama nelle prime pagine del suo saggio un breve aneddoto che vide coinvolti Martin Heidegger e Herbert Marcuse: a fronte delle sofferenze inflitte alla popolazione civile tedesca al termine della Seconda guerra mondiale, Heidegger evocò queste per ribaltare la situazione e presentare la Germania come vittima di persecuzioni, Marcuse a fronte di ciò decise di interrompere il loro carteggio. Adottando queste posizioni, scrisse Marcuse, Heidegger si poneva “fuori dal Logos”, “ fuori dalla dimensione in cui è ancora possibile un dialogo tra esseri umani”[2].
Ecco il non voler essere “fuori dal Logos” è una delle ragioni che credo abbiano descritto l’urgenza per cui Enzo Traverso ha ritenuto di scrivere questo lavoro.
PS: Casuali e fortuite ragioni di natura logistica e temporale hanno fatto sì che Enzo Traverso sarà, in via del tutto eccezionale, protagonista di un incontro per discutere del suo libro, qui malamente raccontato, mercoledì 24 luglio alle ore 21 presso la Biblioteca Civica di Novi Ligure. Per chi potesse o volesse una bella occasione!
[1] Enzo Traverso (1957) nato a Gavi (AL) e formatosi in Italia, è uno dei più autorevoli storici del nostro tempo. Dopo aver insegnato lungamente in Francia presso l’Università della Piccardia di Amiens e l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi dal 2013 insegna alla Cornell University di Ithaca, New York. Il campo di ricerca sono gli studi sui totalitarismi, sulla violenza, sulla Shoah e sul significato di Auschwitz nella critica sociale. Innumerevoli i sui testi pubblicati e tradotti in svariate lingue nel mondo; i più recenti “Rivoluzione. 1789-1989 Un’altra storia” (2021), “Gaza davanti alla storia” (2024).
[2] Lettera di H. Marcuse a M. Heidegger, 12/05/1948.