
Per un lettore che da più di 30 anni è abbonato al The Economist è sorprendente constatare che un paese come il nostro riceva dal periodico di St. James Street un pubblico plauso di gradimento, per di più inserito nella sua prestigiosa sezione Leader – lo spazio d’apertura del magazine – ove, questa settimana, la parola Italia si accosta ad aggettivi i cui significati esprimono soddisfazione e compiacimento.
In questo spaccato tipografico o digitale la politica dello stivale era assente sin dal 28 Aprile del 2001, allorché Bill Emmott – il direttore della testata a quel tempo – mise in copertina la fotografia di Silvio Berlusconi accompagnandola con un titolo che fece molto scalpore per la sua brutalità: “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy” (Perché Silvio Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia).
Fu una dichiarazione che il magnate milanese, oltre a ritenere oltraggiosa nei confronti della sua persona, avrebbe, a parer suo, anche leso l’onore di un paese democratico e civile come l’Italia. Sappiamo come andò a finire: Berlusconi protestò in modo veemente, nonostante ciò il The Economist, non solo non ritrattò, ma addirittura inasprì la sua dose acida negli articoli che seguirono la vicenda politica del Cavaliere per tutta la durata dei suoi governi.
Era comprensibile il disappunto del PdC italiano: la sua immagine “sfregiata” da un organo d’informazione politico-economico che passa internazionalmente per essere considerato “la bibbia del pensiero classico liberale”, le cui vendite settimanali si aggirano intorno al 1,2 milioni di copie in tutto il mondo, con centinaia di migliaia di abbonati cartacei o digitali che includono cancellerie di governo, note istituzioni finanziarie, prestigiose università, fino agli anonimi e semplici lettori.
Per dirla con altre parole: è assai improbabile che personaggi come Jody Powell (il Chairman della FED) e Xi Jinping (il presidente della RPC) nella lettura della loro stampa quotidiana non si soffermino a leggere l’opinione del The Economist.
Ora, la celebrazione dell’Italia può essere intesa dalla “perfida Albione” come l’apprezzamento della stabilità politica e dell’efficacia proattiva del governo Draghi, della sua determinatezza ed efficienza dimostrata nella lotta nei confronti della pandemia a dispetto dei più esitanti colossi internazionali come gli USA, la stessa GB, la Cina e la Germania.
Sennonché, a parere di taluni, gli inglesi rendono merito politico all’Italia solo ed esclusivamente allorché sul nostro suolo nazionale albeggino figure forti, per altro inespresse dalla volontà popolare, (Garibaldi, Mussolini negli anni 20, e perché no, anche il Mario Draghi del terzo millennio (nel caso specifico come guardiano dell’attuale politica ortodossa di mercato). Ciò farebbe presupporre che la supponente élite anglosassone consideri il nostro paese come una sorta di astruso guazzabuglio, litigioso, pseudo democratico, incapace di inalberare la bandiera per una “seria” politica di governo, se non con il richiamo del Cincinnato di turno.
In effetti, la tradizione liberale inglese ritenne sempre spurio il presunto “liberalismo” italiano, con poche eccezioni: Cavour, Einaudi. Tuttavia, il giudizio del The Economist non conosce frontiere nazionali. Le sue puntuali analisi economiche-finanziarie spaziano da un capo all’altro del pianeta. I suoi appunti critici sono rivolti a tutti coloro che divergono, seppur venialmente, dall’ideologia ortodossa liberale, entro cui la libertà di scambio, il libero flusso di circolazione dei capitali, l’eliminazione di tutte quelle incrostazioni che frenano la libera concorrenza ne rappresentano i dogmi principali. Una versione “morbida” dell’attuale imperante fondamentalismo di mercato monopolista, mitigata dalla tutela dei diritti civili e delle libertà personali, ma che nella realtà, nonostante il vessillo dell’uguaglianza formale, ha concorso anch’essa a creare una sempre più evidente disuguaglianza sostanziale tra i ceti e le nazioni. Una sorta di ara votiva dedicata alla venerazione della cosiddetta “democratica” società di mercato.
Si pensi che la figura di J. M. Keynes con i suoi “rivoluzionari” seguaci, in odore di socialismo, è sempre stata maldigerita dalla testata londinese. All’illustre maestro di Cambridge si preferisce la “creative destruction” di Schumpeter, maggiormente incline al “sano” dinamismo capitalista.
Si potrebbe affermare senza ombra di dubbio che gli strali lanciati nei confronti di Boris Johnson e Joe Biden, per opposte motivazioni, spesse volte sono pungenti, pari agli stessi rivolti a Narendra Modi (India) e non mancano mai di essere latori di una severa critica verso coloro i quali tendono a giudicare con minore intransigenza la teorica economica eterodossa (politica di bilancio), il supposto populismo o una certa fascinazione autocratica. Tutto ciò indifferentemente dalla comunità o etnia in cui i leader governano; contro Putin e i cinesi è stata istituita una vera “war press room” facendo palesare che tra Ucraina e Taiwan il vento di guerra non è solo una variante metereologica, bensì un’ipotesi non tanto remota.
Questo è il The Economist: libertà civili, una stretta osservanza al pragmatismo politico, alla strenua difesa dei valori democratici, ma il tutto nel quadro di un perimetro sociale ove regni incontrastata l’ortodossia economica neoclassica.
Questa volta l’elogio all’Italia non lo traduciamo.
Which is The Economist’s country of the year for 2021?
In a gloomy year, a few stars shone (in un anno triste, poche stelle brillarono)
“…That honour goes to Italy. Not for the prowess of its footballers, who won Europe’s big trophy, nor its pop stars, who won the Eurovision song contest, but for its politics. The Economist has often criticised Italy for picking leaders, such as Silvio Berlusconi, who could usefully have followed the Eurovision-winning song’s admonition to “shut up and behave”. Because of weak governance, Italians were poorer in 2019 than they had been in 2000. Yet this year, Italy changed.
In Mario Draghi, it acquired a competent, internationally respected prime minister. For once, a broad majority of its politicians buried their differences to back a programme of thoroughgoing reform that should mean Italy gets the funds to which it is entitled under the EU’s post-pandemic recovery plan. Italy’s covid vaccination rate is among the highest in Europe. And after a difficult 2020, its economy is recovering more speedily than those of France or Germany. There is a danger that this unaccustomed burst of sensible governance could be reversed. Mr Draghi wants to be president, a more ceremonial job, and may be succeeded by a less competent prime minister. But it is hard to deny that the Italy of today is a better place than it was in December 2020. For that, it is our country of the year. Auguroni!”
https://www.economist.com/leaders/2021/12/18/which-is-the-economists-country-of-the-year-for-2021