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Introduzione di Giorgio Abonante

Il The Economist in un suo recente articolo mette i piedi nel piatto di una disputa elettorale che non sembra concentrata sui problemi politici più pregnanti, almeno secondo il nostro punto di vista. Vale anche per la campagna per le regionali che continua a non occuparsi del modello di sviluppo che si vuole indirizzare nel nostro Piemonte.

Il Ponte propone la traduzione dell’articolo “The politics of suburbia” per continuare un confronto che questo blog alimenta da tempo. Sul termine “periferia”, rispetto all’articolo di cui trovate di seguito la traduzione, proponiamo una lettura più ampia concordando sull’idea che tale concetto identifichi qualcosa di prezioso. Ci serve anche per contestualizzare i molti articoli che abbiamo proposto sulla questione Fondazione Cral[1], sul Salone del Libro[2] e Fondazioni annesse, sulla questione trasporti ferroviari mentre oggi viene ignorata la carenza di investimenti nel triangolo a rischio desertificazione: Biella, Asti, Alessandria.

Il meccanismo è tipico del capitalismo cognitivo o dell’economia della conoscenza: nella catena del valore la creazione di ricchezza passa dalla concentrazione di creativi, capitali e infrastrutture; dove la densità di questi fattori viene meno, se non si investe si affonda e dinamiche redistributive non se ne vedono.

Peccato che questa non sia vera e propria creazione di ricchezza, ma estrazione di ricchezza a vantaggio di pochi e spesso ottenuta a danno delle periferie urbane, rurali, dei territori che erano fertili crocevia e che si stanno trasformando in margini e produttori di marginalità.

Non decolla in Piemonte, per esempio, un dibattito serio su come riconnettere Asti e Alessandria, nei quadranti dello sviluppo urbano torinese, milanese e dell’asse Genova Savona, ai corridoi territoriali che contano. Perché quel che interessa davvero è che continuino a sopravvivere i centri di potere autoreferenziali, che ingrassano pochi eletti, e questo succede ovunque purtroppo.

Anche se poi il dibattito pubblico si articola sempre e solo sui bilanci degli enti locali, che contano poco da molti anni, purtroppo. Non si capisce che lo sviluppo può e deve passare da un’equa distribuzione delle risorse fra centri e periferie. La strada di uno sviluppo sostenibile economicamente e socialmente passa oggi più che mai per le città. L’innovazione, infatti, avviene soprattutto nei contesti urbani più “fertili”, dotati di infrastrutture per l’accessibilità e la mobilità, che proteggono il lavoro e curano la salute della comunità, che promuovono il sistema della formazione e della ricerca a sostegno delle vocazioni territoriali proprie e che creano occasioni e stimoli per l’interazione tra saperi, conoscenze, capacità progettuali e idee originali.

Altri Paesi lo hanno capito già da tempo e hanno messo in campo politiche mirate per la riqualificazione delle città in questo senso. In Italia abbiamo numerose politiche locali, ma manchiamo di una strategia complessiva per risolvere i problemi delle aree urbane che ha consentito a livello internazionale le più riuscite esperienze di rilancio e riqualificazione urbana (dalla Barcellona e Lione degli anni ’90 alle Friburgo, Stoccolma, Cracovia, nel nuovo millennio).

Occorre coltivare una visione unitaria, con una strategia tarata sui caratteri specifici dei centri urbani puntando alla competitività dell’intero Paese, non solo di alcune sue parti, interpretando e valorizzando vocazioni proprie di ciascun territorio piuttosto che ricercare un modello unico di sviluppo”, parole del Sindaco di Sassari, Coordinatore delle Città medie di ANCI. Si riferisce a tutte le aree urbane, non solo a quelle metropolitane. Ha ragione ma qualcuno deve farsi carico di evitare che le parole, pur buone, rimangano parole.

[1] https://ilponte.home.blog/2019/04/15/giorgio-abonante-fondazioni-a-confronto/

[2] https://ilponte.home.blog/2019/05/09/giorgio-abonante-il-salotto-piemontese-del-libro/

The politics of suburbia in Europe

And how it will affect the European Parliament elections

May 9th 2019

Dal 23 al 26 maggio, gli elettori della UE eleggeranno un nuovo Parlamento europeo. Ma qual è attualmente il leader di riferimento? Che tipo di luogo, in un continente [così] vasto e diversificato, rivela il suo complessivo stato d’animo? La divisione cruciale si stagliava tra sinistra e destra. Le aree con tradizioni economiche cooperative o [con presenza] della classe operaia (l’Emilia Romagna in Italia o la Ruhr in Germania) tendevano a sinistra. I caposaldi del centralismo politico: (Castiglia in Spagna), le prospere zone di frontiera (Skane in Svezia) o le regioni con uno spiccato spirito di autosufficienza (Baviera in Germania) propendevano verso destra. Gli indicatori [di un risultato] si trovavano in luoghi che mescolavano quelle tendenze: la Bassa Sassonia in Germania, per esempio, o l’Aragona in Spagna.

Queste vecchie distinzioni di sinistra-destra stanno svanendo man mano che le identità di classe si disgregano. I grandi partiti di massa, i socialdemocratici e i cristiano-democratici, saranno probabilmente coloro che subiranno la sconfitta più cocente nelle prossime elezioni e potrebbero perdere la loro maggioranza congiunta nel Parlamento europeo, la quale [andrebbe] a vantaggio di una serie di partiti con un messaggio più determinato, direzionato verso un nuovo modo di misurare le differenze in politica.

Fu un commentatore politico britannico, David Goodhart, l’inventore di questa nuova scala, che va dai villaggi, tipicamente rurali o dalle piccole città “da qualche parte”, alla cosmopolita grande città, “in qualsiasi parte“. Le contrapposizioni di sinistra versus destra come nella Bassa Sassonia – dove il vecchio duopolio rimane forte ma antiquato – ora sembrano vestigia politiche. Molti competizioni cruciali si sono svolte in regioni il cui [esito] elettorale era stato dato per scontato, come in Andalusia congenitamente di sinistra, una coalizione di destra sostenuta da Vox, un partito di estrema destra, salì al potere a gennaio.

Le guerre culturali si sono impadronite della politica europea e hanno eclissato la vecchia distinzione tra sinistra e destra. Due sottogeneri sono emersi nella discussione inerenti le recenti elezioni nazionali. Da un lato [vi sono] le tristi testimonianze dalle roccaforti rurali o postindustriali di gente del posto risentita nei confronti delle grandi città e paurosa verso i migranti. Dall’altro, le beffardi voci di una reazione europeista provenienti da snob barbuti che si frequentano tra loro, cavalcando biciclette nei centri storici, e sorseggiando vino bianco. Potrebbe avere più senso guardare le periferie, i luoghi che stanno nel mezzo.

Questi sono spesso trascurati in Europa. Il sogno di [vivere] in periferia permea le culture americana e australiana, che spesso o le mettono su di un piedistallo o le sovvertono. Gli europei continentali, è vero, hanno anch’essi costruito sobborghi a partire dal dopoguerra e continuano a farlo, ma non hanno mai abbracciato gli ideali dello spazio personale e l’indipendenza portata dall’uso dell’automobile nella stessa misura che [avvince] gli anglo-sassoni. Gli europei della classe media hanno più probabilità di vivere in appartamenti, mentre i ricchi europei hanno a lungo preferito i centri cittadini, scegliendo musei e teatri d’opera al posto di piscine e campi da golf.

Nella misura in cui giocano un ruolo nella cultura europea, le periferie delineano un’immagine mista. Ci sono gli alti palazzoni del dopoguerra attorno a città come Marsiglia e Rotterdam, tipiche periferie ghetto, [la cui nascita] in genere fu dipesa da re-localizzazioni, da parte di idealisti pianificatori. In Francia, in particolare, si presentano come luoghi di criminalità ed esclusione [sociale, lo si nota] in romanzi come “Kiffe Kiffe Demain” e film come “La Haine”. Un’altra modalità suburbana che gli europei comprendono è quella di un falsa socialità americana. “Vorstadtweiber”, (“Le mogli dei sobborghi”), che delizia il pubblico televisivo di lingua tedesca con la sua satira sulla vita a Döbling, una ricca periferia di Vienna.

Molto spesso, le periferie europee non sono altro che tele bianche, intonse. Elfriede Jelinek e Michel Houellebecq, i due grandi pari del romanzo europeo contemporaneo, hanno entrambi vissuto nei sobborghi e sono affascinati da ciò che vedono in questi regni “periurbani”: un vuoto senza anima. Più che le loro controparti americane o australiane, le periferie europee sono luoghi anonimi.

Eppure è nei sobborghi che si verificano i più importanti cambiamenti politici dell’Europa. Sono dei “melting pot” in cui l’internazionalismo europeista dei centri urbani incontra lo scetticismo rurale, dove il fascino per il nuovo incrocia l’amore per il familiare. In un’elezione europea che mette i nazionalisti contro i pro-europeisti e i partiti dell’establishment contro gli insorgenti qualunque sia la loro fazione, ciò li rende [i sobborghi] come le zone politiche più intriganti del continente. In Spagna, ad esempio, le due grandi tendenze degli ultimi anni sono la vulnerabilità del Partito popolare conservatore nei confronti di Vox e Ciudadanos, un rivale di centro-destra, e la lotta dei socialisti contro le posizioni virulentemente pro e contro l’indipendenza della Catalogna.

Alle elezioni nazionali del 28 aprile [tali scenari] sono stati rappresentati dai risultati di Alcobendas, un sobborgo di Madrid dove il voto di destra si è frammentato, e di Hospitalet, una nuova città ai margini di Barcellona, ​​dove i socialisti hanno combattuto contro i rivali di entrambe le parti. I sobborghi sono stati cruciali anche nelle elezioni presidenziali francesi del 2017. La battaglia tra Emmanuel Macron e populisti come Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen è stata particolarmente agguerrita nella periferia di Parigi.

Avanti verso qualcosa

Come spesso accade, i populisti europei hanno un’idea su da che parte soffia il vento. Coltivano i confini delle città. Matteo Salvini, vice primo ministro italiano di estrema destra, vanta il suo stile di vita suburbano milanese nei suoi interminabili post sui social media, spesso con barbecue. Grandi eventi populisti di destra – il raduno pan-europeo della signora Le Pen con i nazionalisti austriaci nel 2016, il vittorioso partito dei populisti cechi dopo le elezioni presidenziali dello scorso anno, la manifestazione del Partito finlandese alla vigilia delle elezioni finlandesi il mese scorso – si sono svolti nelle periferie di Vienna, Praga e Helsinki rispettivamente a Vösendorf, Chodov e Myyrmaki.

Luoghi del genere, a volte esempi di un effetto alone in cui gli abitanti delle città, conservatori culturalmente, disgustati dai rapidi cambiamenti si spostano verso l’esterno, possono offrire ai populisti ricchi terreni di caccia. “I sobborghi sono il luogo in cui l’energia è nella città, [si esplica] nel bene e nel male,” disse Renzo Piano nel 2015, l’architetto vivente più famoso d’Europa. E come se avesse parlato di politica.

Per capire le linee di frattura nell’Europa di oggi, quindi, si vada in periferia. Si vada dove i trascurati blocchi delle torri incombono su strade vuote, dove il rombo delle autostrade riecheggia in aree suburbane boschive, dove “da qualche parte” si confondono con gli altri. Si vada dove sono locate i centri vendita dell’Ikea.

https://www.economist.com/europe/2019/05/11/the-politics-of-suburbia-in-europe?fbclid=IwAR2m1l-BWwWG4YXAP2klQO0z4X2JwuRrPa50TWn1KpSeyXEvykkAADw_v3Y

[1] https://ilponte.home.blog/2019/04/15/giorgio-abonante-fondazioni-a-confronto/

[2] https://ilponte.home.blog/2019/05/09/giorgio-abonante-il-salotto-piemontese-del-libro/

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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