Nouriel Roubini
Se questo articolo non fosse stato scritto da Nouriel Roubini – il noto economista esperto di finanza internazionale, nonché cattedratico alla Stern School of Business, che a dispetto di molti anticipò le due crisi finanziare del 2000 (dot com) e quella tragica del 2008 – l’avremmo confinato nel contenitore delle spam, o probabilmente non letto, men che meno tradotto per il suo contenuto radical-catastrofista, più consono a certi presunti visionari in cerca di puro sensazionalismo.
Sennonché, in ragione di quanto esposto precedentemente sui meriti e sul prestigio dell’economista d’origine medio-orientale, laureatosi in Italia, non si può “scivolare” sulla sua figura e sulle sue congetture senza porci alcune domande. Certo, questi argomenti non trovano un grande apprezzamento nel dibattito corrente nella nostra sinistra “ombelicale”, più incline a disquisire sui dettagli da politichese spinto, spesso contaminati da “renzianite acuta”, tuttavia essi siglano alcune ipotesi di fondo – per nulla astratte – dalle quali l’ordinaria capillarità politica può essere subitaneamente sconvolta.
Oggi, Wall Street sembra non dare torto per la terza volta a Nouriel Roubini.
The White Swans of 2020
Feb 17, 2020 NOURIEL ROUBINI
Financial markets remain blissfully in denial of the many predictable global crises that could come to a head this year, particularly in the months before the US presidential election. In addition to the increasingly obvious risks associated with climate change, at least four countries want to destabilize the US from within.
NEW YORK – Nel mio libro del 2010, Crisis Economics, definii le crisi finanziarie non come eventi da “cigno nero” che Nassim Nicholas Taleb descrisse nel suo omonimo bestseller, ma come “cigni bianchi“. Secondo Taleb, i cigni neri sono eventi che emergono in modo imprevedibile, come un tornado, da una distribuzione statistica con la coda grassa (fat-tailed). Invece, io sostenni che le crisi finanziarie, se non altro, sono più simili agli uragani: sono il risultato prevedibile delle vulnerabilità economiche, finanziarie e degli errori politici accumulati nel tempo.
Ci sono momenti in cui dovremmo aspettarci che il sistema raggiunga un punto di non ritorno – il “Minsky Moment” – quando un boom e una bolla si trasformano in uno schianto e in uno scoppio. Tali eventi non riguardano gli “sconosciuti sconosciuti“, ma piuttosto gli “sconosciuti noti“.
Oltre ai soliti rischi economici e politici di cui la maggior parte degli analisti finanziari si preoccupano, quest’anno un certo numero di cigni bianchi potenzialmente sismici sono visibili all’orizzonte. Ognuno di loro potrebbe innescare gravi disordini economici, finanziari, politici e geopolitici non dissimili dalla crisi del 2008.
Per cominciare, gli Stati Uniti sono bloccati in una crescente rivalità strategica con almeno quattro potenze revisioniste implicitamente allineate: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Tutti questi paesi hanno interesse a sfidare l’ordine globale guidato dagli Stati Uniti e il 2020 potrebbe essere un anno cruciale per loro, a causa delle elezioni presidenziali statunitensi e del potenziale cambiamento che potrebbe seguire nelle politiche globali americane.
Sotto il presidente Donald Trump, gli Stati Uniti stanno cercando di contenere o addirittura d’innescare un cambio di regime in questi quattro paesi attraverso sanzioni economiche e altri mezzi. Parimenti, le quattro potenze revisioniste vogliono insidiare il potere duro (hard) e morbido (soft) americano all’estero, in modo da destabilizzare gli Stati Uniti al loro interno attraverso una guerra asimmetrica. Se le elezioni statunitensi si trasformassero in una sorta di rancore partigiano, caos, controversie sul conteggio elettorale e accuse di elezioni “truccate”, tanto meglio per i rivali degli americani. Una rottura di questo sistema politico indebolirebbe il suo potere all’estero.
Inoltre, alcuni paesi hanno un interesse particolare nella rimozione di Trump. L’acuta minaccia che pone al regime iraniano fornisce tutte le ragioni per intensificare il conflitto con gli Stati Uniti nei prossimi mesi – anche se ciò significasse rischiare una guerra su vasta scala – nella evenienza che il conseguente aumento dei prezzi del petrolio farebbe crollare la Borsa americana, scatenando una recessione e facendo affondare le prospettive della rielezione di Trump. Sì, l’opinione condivisa è che l’uccisione mirata di Qassem Suleimani abbia scoraggiato l’Iran, ma tale argomento non enuclea gli scopi perversi del regime. La guerra tra USA e Iran è probabile quest’anno; la calma attuale è quella che precede la proverbiale tempesta.
Per quanto riguarda le relazioni USA-Cina, il recente accordo con il nome di “fase uno” è un temporaneo “cerotto”. La guerra fredda bilaterale su tecnologia, dati, investimenti, valuta e finanza sta già aumentando drasticamente. L’epidemia di COVID-19 ha rafforzato la posizione di coloro che negli Stati Uniti hanno sostenuto il contenimento e ha dato ulteriore slancio alla tendenza più ampia verso lo “sganciamento” sino-americano. Con maggior grado d’immediatezza, è probabile che l’epidemia sia più seria di quanto attualmente previsto e l’interruzione dell’economia cinese avrà effetti di ricaduta sulle catene di approvvigionamento globali – compresi i componenti per la manifattura di prodotti farmaceutici, di cui la Cina è un fornitore cruciale – e la fiducia delle imprese, così il tutto sarà probabilmente più grave di quanto l’attuale compiacenza dei mercati finanziari suggerisca.
Sebbene la guerra fredda sino-americana sia per definizione un conflitto a bassa intensità, quest’anno è probabile una forte escalation. Per alcuni leader cinesi, non può essere una coincidenza il fatto che il loro paese stia vivendo simultaneamente un massiccio focolaio di influenza suina, una grave influenza aviaria, un’epidemia di coronavirus, disordini politici a Hong Kong, a Taiwan la rielezione di un presidente a favore della indipendenza e un incremento nelle operazioni navali statunitensi nei mari della Cina orientale e meridionale. Indipendentemente dal fatto che la Cina abbia da incolpare solo se stessa per alcune di queste crisi, l’opinione di Pechino si sta spostando verso il complotto.
Ma l’aggressività aperta non è davvero l’unica opzione a questo punto, data l’asimmetria del potere convenzionale. La risposta immediata della Cina agli sforzi di contenimento degli Stati Uniti probabilmente prenderà la forma di guerra cibernetica. Esistono diversi obiettivi manifesti. Gli hacker cinesi (e le loro controparti russa, nordcoreana e iraniana) potrebbero interferire nelle elezioni statunitensi inondando gli americani con disinformazione e notizie false. Con l’elettorato americano già così polarizzato, non è difficile immaginare che i sostenitori di parte scendano armati in piazza per contestare i risultati, portando a gravi violenze e caos.
I poteri revisionisti potrebbero anche attaccare i sistemi finanziari statunitensi e occidentali, inclusa la piattaforma della Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali (SWIFT). Christine Lagarde, presidente della BCE, ha già avvertito che un attacco informatico ai mercati finanziari europei potrebbe costare $ 645 miliardi. E i funzionari incaricati della sicurezza hanno espresso preoccupazioni simili riguardo agli Stati Uniti, dove una gamma ancora più ampia di infrastrutture di telecomunicazione è potenzialmente vulnerabile.
Entro l’anno prossimo, il conflitto USA-Cina potrebbe passare da una guerra fredda a una quasi calda. Un regime e un’economia cinese gravemente danneggiata dalla crisi COVID-19 a fronte di masse irrequiete avranno bisogno di un capro espiatorio esterno, e probabilmente riserverà la sua attenzione su Taiwan, Hong Kong, Vietnam e le posizioni navali statunitensi nei mari della Cina orientale e meridionale; il confronto potrebbe serpeggiare nella direzione di crescenti incidenti militari. Potrebbe anche perseguire la ‘”opzione nucleare” finanziaria, ovvero quella di scaricare [sul mercato], in caso di escalation, le sue dotazioni in titoli del Tesoro USA. Poiché, le attività statunitensi comprendono una quota così ampia delle riserve estere della Cina (e, in misura minore, della Russia), i cinesi sono sempre più preoccupati che tali attività possano essere congelate attraverso sanzioni statunitensi (come quelle già utilizzate contro l’Iran e la Corea del Nord).
Naturalmente, il dumping dei titoli del Tesoro USA impedirebbe la crescita economica della Cina se le attività in dollari venissero vendute e riconvertite in renminbi (il che lo apprezzerebbe). Ma la Cina potrebbe diversificare le sue riserve convertendole in un’altra attività liquida che è meno vulnerabile alle sanzioni primarie o secondarie statunitensi, vale a dire l’oro. In effetti, sia la Cina sia la Russia hanno accumulato riserve di oro (apertamente e di nascosto), il che spiega il picco del 30% dei prezzi del metallo prezioso dall’inizio del 2019.
In uno scenario di sell-off (vendita volumetrica irrazionale), le plusvalenze su oro compenserebbero qualsiasi perdita derivante dal dumping derivante dai titoli del Tesoro USA, i cui rendimenti aumenterebbero man mano che il loro prezzo di mercato e valore diminuiscono. Finora, il passaggio della Cina e della Russia all’oro è avvenuto lentamente, lasciando inalterati i rendimenti del debito pubblico americano. Ma se questa strategia di diversificazione accelera, come è probabile, potrebbe innescare uno shock nel mercato dei titoli dei Treasury Bond USA, portando probabilmente a un brusco rallentamento economico negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, ovviamente, non staranno seduti pigramente mentre subiscono un attacco asimmetrico. Gli USA hanno già aumentato la pressione su questi paesi con sanzioni e altre forme di commercio e di guerra finanziaria, per non parlare delle loro stesse capacità di guerra cibernetica. Gli attacchi informatici statunitensi contro i quattro rivali continueranno a intensificarsi quest’anno, aumentando il rischio della prima guerra mondiale cibernetica e del massiccio disordine economico, finanziario e politico.
Guardando oltre l’alea di gravi escalation geopolitiche nel 2020, ci sono ulteriori rischi a medio termine associati ai cambiamenti climatici, che potrebbero provocare costose catastrofi ambientali. Il cambiamento climatico non è solo un ingombrante gigante che causerà il caos economico e finanziario tra decenni. È una minaccia del qui e ora, come dimostrato dalla crescente frequenza e gravità degli eventi meteorologici estremi.
Oltre al cambiamento climatico, ci sono prove che sono in corso eventi sismici separati e più profondi, che portano a rapidi movimenti globali nella polarità magnetica e ad accelerare le correnti oceaniche. Ognuno di questi sviluppi potrebbe favorire un evento ambientale da cigno bianco, così come il “il punto di non ritorno” pari al crollo delle principali calotte glaciali in Antartide o in Groenlandia nei prossimi anni. Sappiamo già che l’attività vulcanica subacquea è in aumento; cosa succederebbe se questa tendenza si traducesse in una rapida acidificazione marina e nell’esaurimento degli stock ittici globali su cui contano miliardi di persone?
A partire dall’inizio del 2020, è qui che ci troviamo: gli Stati Uniti e l’Iran hanno già avuto uno scontro militare che probabilmente si intensificherà presto; La Cina è in preda a un focolaio virale che potrebbe diventare una pandemia globale; la guerra informatica è in corso; i principali possessori di titoli del Tesoro USA stanno perseguendo strategie di diversificazione; le primarie democratiche presidenziale stanno evidenziando le proprie fratture nei confronti di Trump e stanno già mettendo in dubbio i metodi di conteggio dei voti; le rivalità tra gli Stati Uniti e quattro potenze revisioniste si stanno intensificando; e i costi nel mondo reale dei cambiamenti climatici e di altre tendenze ambientali stanno aumentando.
Questo elenco è poco esaustivo, ma indica ciò che ci si può ragionevolmente aspettare per il 2020. I mercati finanziari, nel frattempo, rimangono beati nella loro negazione dei rischi, convinti che si aspettano un anno calmo se non lieto in tema di grandi economie e di mercati globali.
Nouriel Roubini, Professor of Economics at New York University’s Stern School of Business and Chairman of Roubini Macro Associates, was Senior Economist for International Affairs in the White House’s Council of Economic Advisers during the Clinton Administration. He has worked for the International Monetary Fund, the US Federal Reserve, and the World Bank. His website is NourielRoubini.com.