Perché Washington sta sequestrando Tik Tok
di Tony Kohler
L’acquisizione di Tik Tok guidata da Larry Ellison svela la guerra per il controllo algoritmico del consenso e la soppressione del dissenso, specialmente sulla questione israelo-palestinese.
La vicenda dell’imminente cessione di TikTok agli Stati Uniti rappresenta molto più di una manovra economica: è un atto politico che rivela la natura profonda della strategia dell’amministrazione Trump. Da anni Washington accusa la piattaforma di essere un cavallo di Troia del potere cinese, evocando rischi per la sicurezza nazionale e la tutela dei dati. In realtà, ciò che emerge con chiarezza è la volontà di strappare a Pechino il controllo di uno dei più potenti strumenti di influenza culturale e comunicativa del nostro tempo, portandolo dentro l’orbita del capitalismo digitale statunitense.
La cessione forzata di TikTok a un consorzio di investitori statunitensi, con Larry Ellison e la sua Oracle in prima linea, è stata presentata da Trump come una necessità per la sicurezza nazionale. I dati degli americani, si è detto, devono essere protetti dal controllo cinese. Tuttavia, un’analisi più approfondita, supportata dalle rivelazioni di giornalisti come Max Blumenthal, suggerisce che le motivazioni reali siano ben più complesse e legate a una guerra per il controllo dell’informazione e del consenso, specialmente riguardo alla questione israelo-palestinese.
Secondo la narrazione ufficiale, l’operazione garantisce che i dati degli utenti USA siano al sicuro su server gestiti da Oracle, al riparo da “avversari stranieri”. L’algoritmo, il cuore pulsante della piattaforma, sarà “riqualificato” e gestito interamente sul suolo americano, fuori dal controllo di ByteDance. Ma dai documenti emerge una contro-narrazione. Secondo Blumenthal, la mossa è una risposta diretta al fatto che TikTok stava diventando un terreno fertile per il dissenso, specialmente tra i giovani (la Generazione Z), riguardo alle politiche di Israele. L’algoritmo, non filtrato, permetteva la diffusione virale di contenuti critici che mostravano la situazione in Palestina, minando la tradizionale narrazione dominante. La preoccupazione, come riportato da un esponente dell’ADL (Anti-Defamation League) in una registrazione, non era una divisione sinistra-destra, ma un divario generazionale: i giovani, sia di destra che di sinistra, si stavano radicalmente allontanando dal sostegno incondizionato a Israele.
La scelta di Larry Ellison, fondatore di Oracle e uno degli uomini più ricchi del mondo, non è casuale. Ellison è un sionista dichiarato, noto per i suoi cospicui finanziamenti all’esercito israeliano (IDF). In un discorso del 2014, ha espresso un profondo legame emotivo con Israele, elogiando l’IDF e la vivacità del settore high-tech israeliano. Oracle, da parte sua, non è solo un’azienda tecnologica. È uno dei fornitori IT strategici per il governo degli Stati Uniti e le sue agenzie di intelligence, specializzata in database e sorveglianza. Affidare a Oracle il controllo dei dati e dell’algoritmo di TikTok significa, secondo l’analisi di Max Blumenthal, consegnare uno dei più potenti strumenti di comunicazione di massa direttamente in un ecosistema strettamente allineato con gli apparati di sicurezza nazionale statunitensi e con gli interessi israeliani.
L’obiettivo finale, quindi, non sarebbe la protezione dei dati, ma il “riaddestramento” dell’algoritmo per controllare la narrazione, promuovere contenuti favorevoli a Israele e epurare le voci critiche. Non a caso, Blumenthal sostiene che account come il suo siano già stati rimossi più volte dalla piattaforma per aver riportato notizie da Gaza.
Le preoccupazioni vanno oltre la semplice censura tematica. Ellison è un aperto sostenitore di un modello di sorveglianza di massa basato sull’Intelligenza Artificiale. In un discorso inquietantemente profetico del 12 settembre 2024, ha descritto un futuro in cui telecamere e droni, supervisionati da AI, monitorano costantemente l’operato della polizia e il comportamento dei cittadini, assicurando la conformità e il “miglior comportamento”. Il trasferimento di TikTok in questo ambiente rappresenta, per i critici, la realizzazione di questo incubo orwelliano. Non si tratta più solo di fabbricare il consenso, ma di imporre il conformismo attraverso un controllo algoritmico pervasivo. La piattaforma diventa così un laboratorio per un sistema di sorveglianza e controllo sociale senza precedenti, gestito da un’alleanza tra grandi capitali, agenzie di intelligence e un governo straniero.
La vendita di TikTok a Larry Ellison e ai suoi partner è un punto di svolta. Se la versione ufficiale parla di sicurezza nazionale, una lettura alternativa la dipinge come un colpo di stato mediatico. È il tentativo di un establishment politico-mediatico di riprendere il controllo di un narrativa pubblica che stava sfuggendo di mano, specialmente tra le giovani generazioni, e di farlo attraverso la stretta simbiotica tra il capitale tech sionista, l’apparato di sicurezza americano e gli interessi geopolitici di Israele. Il vero pericolo, conclude Blumenthal, non è che i dati finiscano a Pechino, ma che finiscano nelle mani di chi ha tutto l’interesse e i mezzi per spegnere il dissenso e imporre una verità unica, trasformando un social network da luogo di espressione in uno strumento di controllo globale.
Tony Kohler