In questo contesto, confido che il giudice della Sezione Specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Napoli valuti con attenzione la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale da noi sollevata, e decida di rimettere gli atti alla Corte costituzionale.
Accogliamo con piacere il post inviatoci dall’Avv. Claudio Falleti, di cui da parte nostra non abbiamo mai avuto ombra di dubbio che appartenesse di fatto al fotogenico quartetto dei “Rancorosi Perenni”. Così come con lui, allo stesso modo con il rimanente “trio”, sempre pronti a collaborare in futuro in ragione di quell’obiettivo comune, al di là delle posizioni di potere e di vanto personale; finalità che riguarda la crescita civica ed economica dell’intera comunità alessandrina.
La Redazione
di Claudio Falleti
Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione e cittadinanza italiana
La recente stretta sulla cittadinanza italiana per discendenza, approvata a colpi di decreto-legge, apre una questione che va ben oltre le aule dei tribunali: riguarda l’identità nazionale, i diritti acquisiti e il legame con milioni di italiani all’estero. È una vicenda che merita attenzione non solo tecnica, ma anche politica e culturale.
Il 23 maggio 2025, con la conversione del D.L. n. 36/2025, è entrata in vigore la Legge n. 74/2025, che ha modificato la storica disciplina sulla cittadinanza italiana, introducendo un limite mai previsto prima: d’ora in poi, solo i discendenti entro la seconda generazione dall’avo emigrato possono vedersi riconoscere lo status di cittadini italiani iure sanguinis. La terza generazione è ammessa solo per i figli minori. Un cambio di paradigma che colpisce centinaia di migliaia di persone, spesso con legami profondi, culturali e familiari, con l’Italia.
Come giurista e come cittadino, ho scelto di non restare spettatore. Nei giorni scorsi ho depositato, dinanzi al Tribunale di Napoli, un ricorso per il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore di una famiglia venezuelana, discendente diretta da italiani emigrati da Sessa Aurunca (CE) a fine Ottocento. Un caso esemplare, ma purtroppo non isolato: parliamo di persone i cui genitori e nonni sono già stati formalmente riconosciuti cittadini italiani, che da anni si vedono negare, per ostacoli burocratici e inefficienze consolari, l’accertamento di un diritto soggettivo perfetto, sancito dalla legge e dalla giurisprudenza.
L’aspetto più grave, però, è che la nuova norma si applica retroattivamente, cancellando le aspettative legittime di migliaia di persone che avevano già intrapreso l’iter amministrativo o giudiziario, spesso ostacolati da anni di attese e dal blocco sistematico delle prenotazioni nei consolati. Nel caso dei miei assistiti, come per molti altri, il Consolato italiano ha reso difficile ogni accesso, con l’impossibilità di prenotare appuntamenti sulla piattaforma online e silenzi assordanti da parte dell’amministrazione. E oggi, come se non bastasse, si pretende che, per colpa di questo immobilismo, per questi ostacoli dipesi da cause non imputabili ai cittadini, queste famiglie vengano escluse in via definitiva dalla comunità nazionale.
Di fronte a questa situazione, abbiamo chiesto al Tribunale di Napoli di sollevare una questione di legittimità costituzionale della nuova norma, per violazione dei principi fondamentali scolpiti nella nostra Costituzione:
- Uguaglianza e non discriminazione (art. 3 Cost.), perché si crea una disparità ingiustificata tra chi discende da un italiano di seconda o terza generazione;
- Tutela dei diritti acquisiti e dell’affidamento legittimo, violati da una norma retroattiva che abroga diritti già perfezionati;
- Diritto di difesa e accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), negato a chi si è visto costretto a ricorrere in Tribunale per le inefficienze consolari;
- Limiti alla decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.), aggirati da un provvedimento adottato senza alcuna emergenza reale, come richiesto dalla Corte costituzionale.
Non si tratta di un tema per soli tecnici. È un nodo politico e sociale che riguarda la concezione stessa dell’appartenenza italiana, il ruolo delle comunità italiane nel mondo e l’affidabilità delle istituzioni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha ricordato pochi giorni fa, parlando di “spaesamento” e “preoccupazione” tra gli italiani all’estero.
La scelta di procedere per via giudiziaria non è un atto isolato. In tutto il mondo, le associazioni dei discendenti italiani, gli avvocati e i cittadini stanno reagendo, contestando una riforma approvata in fretta, senza un vero dibattito parlamentare e senza studiarne le conseguenze sociali. Perché negare retroattivamente la cittadinanza significa minare non solo il legame con le comunità storiche, ma anche il principio di certezza del diritto e la reputazione internazionale del nostro Paese.
In questo contesto, confido che il giudice della Sezione Specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Napoli valuti con attenzione la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale da noi sollevata, e decida di rimettere gli atti alla Corte costituzionale.
Un passaggio doveroso per garantire che i diritti di migliaia di persone siano tutelati e per consentire un vaglio di merito su una norma che, così com’è stata introdotta, rischia di produrre gravi ingiustizie e discriminazioni.
Serve una riflessione più ampia, che tenga insieme esigenze di efficienza amministrativa e rispetto dei diritti. Serve, soprattutto, che la politica torni ad ascoltare chi l’Italia l’ha portata nel cuore e nei documenti di famiglia, senza distinzione tra chi ha avuto la fortuna di nascere prima o dopo una certa data.
Per questo il dibattito non può fermarsi nelle aule di giustizia. Deve attraversare la società civile, le istituzioni, i media, e anche spazi come Il Ponte, che da anni stimolano un confronto costruttivo su temi che toccano il presente e il futuro del nostro tessuto democratico.
Avv. Claudio Falleti