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Ci sono voluti circa 30 anni alla UE per reagire  allo “schiaffo” nixoniano nel ’71. La risposta, benché tardiva e pasticciata, fu la costruzione di una moneta comune, l’euro, scommettendo che essa potesse dare corso a una successiva integrazione politica, che però non è mai avvenuta. Questo secondo uppercut trumpiano, per coincidenza a quasi tre decenni di distanza dall’esperimento monetario, finalmente metterà alla berlina quella nociva egemonia franco-tedesca basata rispettivamente sull’ “honneur de l'hexagone” e sull’ordoliberismo germanico, i quali sono stati per anni quei fastidiosi impedimenti, tra diffidenze e recriminazioni reciproche, che hanno bloccato un serio approccio di efficienza sistemica euro-transnazionale.

fg

Anni fa un cronista sportivo chiese  al tre volte campione del mondo di Formula 1 (81, 83 e 87), il brasiliano Nelson Piquet (foto), che cosa ne pensasse delle qualità di Michael Shumacher. Egli sorrise beffardamente e rispose che in un gruppo di ciechi, colui che ha la fortuna di avere un solo occhio funzionante è quello vincente. Una risposta tagliente, sarcastica, forse un po’ ingenerosa, ma comprensibile se pensiamo che Piquet vinse i primi due titoli mondiali con macchine, motori e assistenza nettamente inferiori rispetto alla concorrenza, la differenza la fece il suo talento tattico unito alla straordinaria abilità di guida.

Parafrasando lo schietto Nelson Piquet si potrebbe arguire che lo stesso salace paragone varrebbe anche per quella sfilata di supposti leader europei che per anni sono stati accecati dalla propria presunzione e insipienza rispetto a chi come Mario Draghi, sebbene anch’egli reo in passato di raffinata tartuferia e colpevole compiacenza, conservi tuttora la fortuna di non aver perso del tutto la vista.

Nel suo discorso[1], al Parlamento europeo e ai rappresentanti dei Parlamenti nazionali dei 27 Stati membri, riuniti per una settimana di scambi, Mario Draghi sottolinea l’importanza delle sfide che l’Europa deve affrontare per migliorare la competitività e garantire la crescita economica. Inizia evidenziando la necessità di un’azione coordinata tra i vari attori, come governi nazionali, parlamenti e la Commissione europea. Super Mario sottolinea che l’Europa deve agire come una unica entità per rispondere alle sfide della transizione energetica, del mercato dell’energia e della crescente concorrenza globale, in particolare proveniente dall’America e dalla Cina.

Parole sante, in quanto egli palesa senza dirlo esplicitamente che non c’è la consapevolezza da parte di una ampia opinione pubblica continentale che il costo per il rifornimento energetico in Europa è quasi pari al doppio rispetto allo stesso che paga un utente o un’azienda americana.

Andando nel profondo sul tema specifico corre l’obbligo di dire che si rileva in molte nostre comunità periferiche un marcato disinteresse, se non talvolta una diffusa posizione ostativa – spesso adducendo supposti danni ambientali o paesaggistici, nei riguardi di soluzioni alternative energetiche rinnovabili e non (eolica, fotovoltaico, idrogeno verde, nucleare, idroelettrico) – rispetto al corrente utilizzo di carburanti d’origine fossile dai quali, purtroppo, siamo quasi completamente dipendenti da forniture extraeuropee. Quindi non autonomi e autosufficienti, eccetto che per il carbone. Qualora non riuscissimo a parificare il costo energetico nei prossimi anni a venire, il nostro sistema industriale non sarà più competitivo a confronto degli apparati industriali americani e cinesi, per cui andrà in sofferenza con tutte le immaginabili conseguenze del caso (calo degli investimenti, inflazione, disoccupazione, ecc.). Oltre al fatto che ne pagheremo un prezzo di soggiogazione politica.

Mario Draghi ha criticato l’immobilismo dell’Unione Europea nel rispondere alle sfide economiche attuali, sottolineando che l’Europa si trova in difficoltà per due motivi principali:

Barriere interne e regolamentazione eccessiva – L’UE ha mantenuto elevate barriere interne tra i suoi Stati membri (ritardi relativi alle mancate unioni bancaria e fiscale), che frenano la crescita economica più dei dazi imposti da altri Paesi come gli USA. Le normative eccessive, come il GDPR (la regolamentazione della UE che disciplina il modo in cui le aziende e le altre organizzazioni trattano i dati personali), hanno ridotto la competitività delle aziende tecnologiche europee.

Dipendenza dal commercio estero – L’Europa ha abbassato le barriere esterne mentre manteneva quelle interne, rendendo il commercio globale più una vulnerabilità che una opportunità. Questo la espone a crisi economiche e decisioni prese da potenze straniere.

Draghi ha esortato i parlamentari europei a prendere iniziative concrete per rilanciare la competitività, semplificare le normative e favorire l’innovazione tecnologica, invece di dire sempre “no” alle riforme senza proporre alternative. Sebbene egli – scevro da incarichi politici – non sia entrato nel merito sulle cause che hanno generato questa letargia continentale.

Ci sono voluti circa 30 anni alla UE per reagire  allo “schiaffo” nixoniano nel ’71. La risposta, benché tardiva e pasticciata, fu la costruzione di una moneta comune, l’euro, scommettendo che essa potesse dare corso a una successiva integrazione politica, che però non è mai avvenuta. Questo secondo uppercut trumpiano, per coincidenza a quasi tre decenni di distanza dall’esperimento monetario, finalmente metterà alla berlina quella nociva egemonia franco-tedesca basata rispettivamente sull’ “honneur de l’hexagone” e sull’ordoliberismo germanico, i quali sono stati per anni quei fastidiosi impedimenti, tra diffidenze e recriminazioni reciproche, che hanno bloccato un serio approccio di efficienza sistemica euro-transnazionale.

Il paradosso di questo mancato obiettivo lo constatiamo nelle rinnovate spinte scioviniste che da qualche tempo punteggiano qua e là il panorama politico continentale. Impeti e malesseri sociali che scaturiscono in parte da promesse non mantenute, ma che altresì sono sempre stati presenti in modo larvato in quelle aree periferiche e meno sviluppate del continente, il cui ethos comunitario costituisce ancora un valore non scambiabile con una offerta collaborativa.

Tuttavia non bisogna disperare, la UE ospita società tecnologiche, filiere tecno-industriali di altissimo livello internazionale che sono anelli insostituibili della catena per la transizione ecologica (SAP, Siemens, Mistral, Alstom, Basf, Philips, Syensqo, ecc.), senza contare gli eccellenti luoghi della conoscenza (università, scuole superiori, ecc.) per cui non sarebbe così arduo recuperare in breve tempo l’attuale differenziale rispetto a USA e Cina.

Infine, qualora ritardassimo il processo d’integrazione politica ben difficilmente si potrà giungere a organizzare un sistema di difesa coordinato, sufficientemente autonomo da poter dialogare alla pari con gli alleati d’oltreoceano. Questo presuppone a monte che vi sia una filiera bellico-industriale europea agile non dipendente, se non per le materie prime, da chicchessia. Capacità logistica integrata, produzione di materiale bellico, il tutto unito alla possibilità di mettere in campo in brevissimo tempo una forza militare deterrente, che scorreggerebbe chiunque hostes da avventure guerresche. Ora, leggendo il report sulla produttività commissionato anzi tempo dalla Presidenza EU al nostro ex PdC si rileva che il 73% dei nostri armamenti (EU) sono acquistati fuori dai confini europei, di cui il 63% negli USA[1]. E’ lapalissiano che qualcosa deve cambiare.

Di tutto ciò Draghi in questo successivo intervento ne fa un breve cenno, ma è implicito che per sedersi al tavolo delle crisi internazionali al pari delle grandi potenze e quindi guadagnarsi la propria “spazialità”, intesa come area d’influenza territoriale, non solo economica bensì anche quella politica, la UE deve marciare a tappe forzate, non basta magnificare i propri avanzati concetti di civilizzazione (le libertà, le tutele giuridiche individuali, lo stato di diritto, la democrazia rappresentativa, ecc.) che non da tutti i popoli del globo sono considerati valori che debbano essere universalmente accettati.

Basta solo volerlo e mettersi al lavoro.

fg

[1] https://substackcdn.com/image/fetch/f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep/https%3A%2F%2Fsubstack-post-media.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2F461908f3-4384-4cef-a032-540b7c04e25b_1240x728.jpeg?utm_source=substack&utm_medium=email

Basta solo volerlo e mettersi al lavoro.

fg

[1] Il testo originale in inglese di Mario Draghi è qui [PDF]

 

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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