“…l’'AI non è solo un altro settore. È una tecnologia di uso generale che plasmerà tutti i settori dell'economia. Ciò significa che potrebbe creare un valore enorme o causare gravi danni. Sebbene molti commentatori parlino dell'AI come se fosse una tecnologia neutrale, questo ne sottovaluta il potere economico fondamentale. Anche se l'AI fosse libera di essere costruita, avrebbe bisogno di essere alimentata e distribuita, il che richiede l'accesso alle piattaforme di cloud computing del gatekeeper, come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud.”
L’economia immateriale, detta in altri termini (IT), è il cuore pulsante che irrora la vasta rete dei cloud di proprietà, principalmente americana e in parte cinese (Amazon, Microsoft, Alphabet, Meta, Alibaba, Temu), i quali – secondo l’opinione di alcuni studiosi considerati come gli attuali eredi del pensiero keynesiano (Mazzucato, Varoufakis, Acemoglu) – sono imputati di essere i sovvertitori di ciò che dal tardo ‘800 fino a ieri venne storicamente definito come il “fisiologico confronto tra lavoro e capitale”, nonché i seppellitori della presenza pubblica nell’economia, sostituita con una totale deregolamentazione della stessa a vantaggio dell’interesse privato.
Rivoluzione per mezzo della quale i cloud – nei dettami di questa tesi – trarrebbero una sorta di rendita posizionale ed economica illimitata da entrambi i contendenti.
Il magnificato sviluppo dell’AI, la cui generazione di testi, composizioni grafiche, incentiverebbe le Big Tech a incrementare il loro potere, non solo per ricavare dati sensibili dagli utenti con il concambio di servizi gratuiti, ma anche per sfruttare l’opportunità d’incassare una “rendita” basata sul controllo e indirizzo dei modelli di consumo. L’utilizzo di sofisticati algoritmi impiegati in un processo d’inferenza e di associazione (crunch) – sempre seguendo le linee guida di questo pensiero critico – sarebbe tesa a irradiare una costante e subdola manipolazione delle menti dei singoli ricettori, fino a modificare le loro abitudini, altresì scoraggiandone il vincolo sociale.
Afferma l’economista italoamericana “…l’’AI non è solo un altro settore. È una tecnologia di uso generale che plasmerà tutti i settori dell’economia. Ciò significa che potrebbe creare un valore enorme o causare gravi danni. Sebbene molti commentatori parlino dell’AI come se fosse una tecnologia neutrale, questo ne sottovaluta il potere economico fondamentale. Anche se l’AI fosse libera di essere costruita, avrebbe bisogno di essere alimentata e distribuita, il che richiede l’accesso alle piattaforme di cloud computing del gatekeeper, come Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud.”[1]
Yanis Varoufakis nel suo ultimo saggio va oltre la tesi convenzionale di tipo “estrattivo”, secondo cui le piattaforme unite all’AI anziché produrre valore sociale ne assorbirebbero ricchezza, grazie a un pregresso privilegio monopolistico acquisito dalla finanziarizzazione dei mercati. Egli prefigura un passaggio storico da cui il capitalismo tradizionale uscirebbe sconfitto. La “morsa” delle piattaforme verrebbe attuata bilateralmente, l’una nei confronti degli utenti (servi), l’altra verso i produttori di beni (vassalli) imponendo loro una costrizione alla propria autonomia produttiva e una limitazione distributiva. Da qui lo “schiacciamento” dei profitti a vantaggio della rendita posizionale dei cloud (i post-moderni signori feudali della rete). Il neologismo coniato dalla Mazzucato (digital feudalism) è ripreso dall’economista ellenico con il lemma di “technofeudalism”, però conferendogli un’ampiezza di campo maggiore, che consisterebbe in una azione di rivoluzione epocale degli assetti del potere economico mondiale.
Dal suo saggio ricaviamo un breve intermezzo chiaro ed esplicito:
“…ma quei capitani del grande business nel primo ‘900 erano tutti ampiamente focalizzati nel conseguire profitti mediante la monopolizzazione del mercato utilizzando il capitale delle fabbriche e delle linee di produzione…i cloudalist sono ora diventati favolosamente ricchi senza la necessità di organizzare la produzione di qualsiasi merce. Non solo tutto ciò, essi sono anche liberi dalla pressione del mercato al fine di produrre meno costose e migliori merci senza la paura che arrivi un competitore più agguerrito che li estranei del tutto.” [2]
Secondo l’economista greco il futuro mercato di molti beni di consumo non sarà più competitivo come un tempo ma diventerà preda da parte di quei pochi “gatekeeper”, letteralmente “portinai” che si suddivideranno la torta, per altro non versando un centesimo al fisco nel paese in cui operano attraverso l’utilizzo di paradisi fiscali e “matrioske” finanziarie legali ingegnosamente costruite.
I social (FB, TikTok, LinkedIn ecc.) sono una componente importante in questa costellazione techno-immateriale. L’allerta verso uno strisciante processo di uniformare con un surrettizio intento (pubblicità ossessiva e accattivante) non solo i comportamenti sociali degli utenti, bensì anche i loro modelli consumo, comincia a destare l’attenzione di istituzioni governative, apparati pubblici, intellettuali, filosofi, economisti, nonché di vasti settori dell’industria primaria, i quali all’unisono, sebbene ancora timidamente, si stanno domandando se la questione necessiti l’intervento dell’autorità statale affinché eriga saldi bastioni difensivi – il caso del governo australiano https://ilpontedem.it/2025/01/29/laustralia-vieta-agli-utenti-che-non-abbiano-raggiunto-il-16-anno-di-accedere-a-piattaforme-di-social-media/ – al fine di proteggere almeno le categorie sociali più vulnerabili. Apprezzabile anche l’ottimo post della nostra Roberta Cazzulo sempre sul tema in discussione. https://ilpontedem.it/2025/02/10/roberta-cazzulo-apriamo-un-serio-dibattito-sullutilizzo-dei-social-da-parte-degli-adolescenti/
Tutto ciò che si compone come un deterioramento del rapporto tra individuo e immaterialità tecnologica è consigliabile che venga espunto e denunciato. Il divario tra realtà e narrazione virtuale; il solipsismo dialogico tra individuo e la “macchina” fa sì che anche soggetti mediamente strutturati perdano le coordinate del buon senso.
Oltre alla manipolazione si sta profilando massivamente e in modo preoccupante qualcosa di ben più grave: la frode. Sollecitati da tentativi ingannatori o per lo meno illusori verso coloro che confidano alla rete un potere taumaturgico, gli stessi, inconsapevolmente o ingenuamente, finiscono per cadere in trappole banali, forse per avidità, semplicemente per narcisismo o per amore.
Il The Economist la scorsa settimana ha dedicato la copertina e l’articolo d’apertura al cosiddetto “scamming”, il raggiro in rete. Ne estraiamo alcuni passaggi illuminanti:
“…Edgar ha incontrato Rita su LinkedIn. Lui lavorava per una società di software canadese, lei era di Singapore e diceva di lavorare per una grande società di consulenza. Erano solo amici, ma chattavano online tutto il tempo. Un giorno Rita si è offerta di insegnargli come fare trading di criptovalute. Con il suo aiuto, ha fatto un sacco di soldi. Così ha aumentato la sua posta in gioco. Tuttavia, dopo che Edgar ha provato a incassare, è diventato chiaro che il sito di trading di criptovalute era falso e che aveva perso $ 78.000. Rita, si è scoperto, era una filippina trafficona tenuta in custodia in un complesso in Myanmar.”
Quindi, chi scrive ne deduce che:
“…Le truffe online sono paragonabili per dimensioni e portata all’industria illegale della droga. Solo che per molti aspetti sono peggiori. Una delle ragioni è che tutti diventano potenziali bersagli semplicemente nel corso delle loro vita. Tra le vittime che identifichiamo ci sono un dottorati in neuroscienze e persino parenti di investigatori dell’FBI il cui lavoro è quello di stroncare le truffe. I manuali operativi forniscono a persone come Rita istruzioni passo dopo passo su come manipolare i loro bersagli facendo leva sulle loro emozioni. È un errore pensare che il romanticismo sia l’unico escamotage. I truffatori prendono di mira tutte le debolezze umane: paura, solitudine, avidità, dolore e noia.”[3]
Non si tratta di scegliere tra innovazione e regolamentazione, né di gestire lo sviluppo tecnologico dall’alto verso il basso. Si tratta di creare incentivi e condizioni per orientare i mercati verso risultati che garantiscano piena autonomia degli utenti senza condizionamenti e difesi da tentativi fraudolenti. Dobbiamo rivendicare che le piattaforme digitali, ivi compresa l’AI, forniscano congiuntamente valore pubblico, piuttosto che diventare altre macchine che estraggono rendite.
Oggi la “cavalcata” di personaggi miliardari come Musk, Bezos, Altman, Huang galoppa sfrenatamente nelle aperte praterie trumpiane con lo scopo di infondere nella struttura pubblica modelli d’efficienza privata, coartando quella legittima funzione di mediazione tra i vari plurimi interessi corporativi. Ad essere sinceri – come afferma sconfortato Varoufakis – è il prezzo che la socialdemocrazia europea e i democrats americani stanno pagando per la loro colpevole quarantennale complicità neghittosa nei confronti dell’ordinamento economico neoliberista.
Qualora prendessimo come esempio simili vicende del passato, nelle quali istituzioni private abusarono di grandi privilegi e concessioni monopoliste per arricchirsi a discapito degli interessi di pubblica utilità, il tutto non ci farebbe pensare che tali congreghe verrebbero stroncate con un semplice cambio di governo. Ci volle più di un secolo da parte della Corona Inglese per mettere fine al monopolio privato dei nababbi della British East India Company, che per anni corruppero giudici, cariche pubbliche, funzionari regi, fino a membri del governo di sua maestà. Fu William Pit the Younger che all’inizio del XIX° secolo pose termine drasticamente l’impudicizia dei privati nell’amministrazione degli affari di stato.
fg
[1] https://www.project-syndicate.org/commentary/ai-digital-feudalism-inevitable-unless-policymakers-step-in-to-shape-markets-by-mariana-mazzucato-2025-02
[2] Techno Feudalism, What Killed Capitalism, Yanis Varoufakis, BH, London UK
[3] https://www.economist.com/leaders/2025/02/06/the-vast-and-sophisticated-global-enterprise-that-is-scam-inc