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Folkestone, settembre 1958: una cucchiaiata d’amore nel loro infinito mare del reciproco disprezzo

C’era stata bufera il giorno precedente e in quella nuvolosa mattinata le conseguenze di quel tempaccio si potevano ancora notare. Il mare era molto mosso alimentato da un vento proveniente da nord-ovest. L’onda che urtava contro la chiglia del traghetto ricadeva sulla successiva producendo una densa schiuma bianca che finiva per correre verso la poppa. La nave procedeva a stento cavalcando il maroso per poi inclinarsi verso il basso e riprendersi nuovamente aggredendo il flutto in arrivo; la prua si risollevava, spariva la linea dell’orizzonte sulla spumeggiante cresta, per poi riemergere durante la discesa. Lady Virginia Montagu si era accomodata all’interno della sala passeggeri, sembrava non preoccuparsi eccessivamente dei cavalloni, nonostante il nervosismo che aleggiava intorno a sé. Infatti, stava comodamente seduta con le gambe incrociate su una poltrona di prima classe leggendo una copia del Telegraph.

Ogni tanto si alzava per guardare attraverso un sudicio l’oblò, sporco di salsedine e punteggiato da gocce di spruzzi marini, per capire quanto fossero ancora lontane le coste del Kent. Dopo circa una decina di minuti, malgrado la densa foschia, le bianche scogliere cominciavano a farsi nitide, allora mossa da un “impeto patriottico” decise di avventurarsi sul ponte, sebbene temesse la potenza del maroso. Intendeva solamente calarsi per un attimo nei panni di quei suoi connazionali, che tornando in Inghilterra dopo anni di lontananza da qualche sperduta parte dell’Impero, quale sorta di emozioni provassero nel vedere quelle bianche falesie. Ma nel tentativo di uscire all’esterno accadde che non riuscì contenere la pressione ventosa sulla porta di ferro e quando finalmente ebbe ragione fu investita da una raffica fischiante talmente violenta da appiattirle il trench sul corpo, scompigliandole la rossa capigliatura.

Si rassegnò, sarebbe stato impossibile proseguire oltre. Dovette rientrare. Si riordinò la chioma, la raccolse a chignon e si copri il capo con il suo immancabile foulard a girocollo di Hermes. Passato un quarto d’ora, si promise di fare un secondo tentativo in quanto le parve che il vento si fosse calmato. E così avvenne. Si avventurò sul ponte, raggiunse il bordo della nave e appoggiò le sue mani sulla ringhiera di protezione. Virginia fu sempre affascinata dal mare in burrasca. Sul calare dell’estate del 58 pagò con un grande spavento questo suo fascino per le tempeste marine.

Qualche giorno antecedente al programmato ritorno ad Abington-on Thames, Virginia e sua sorella minore Cornelia spinte da quel temerario senso di avventura che attaglia gli adolescenti, si incamminarono da sole su uno dei tanti moli del porto di Folkestone. Il mare era molto mosso e i cavalloni si frangevano lungo la solida parete di cemento alzando iperboli di schiuma che precipitavano a terra producendo il classico rumore della cascata d’acqua. Virginia eccitata da quello spettacolo si avvicinò pericolosamente all’area destinata agli ormeggi delle imbarcazioni, tuttavia ebbe l’accortezza di afferrare con le mani i tubolari di protezione che fungevano da parapetto. Cornelia, invece, prudentemente si tenne alla larga e scappo via. Si dette il caso che un onda anomala cavalcò l’intero molo, Virginia ebbe la freddezza di ancorarsi alla barriera di ferro sfidando la risacca. Per fortuna questa non essendo impetuosa non la trascinò in mare, anche se lo spavento della fanciulla fu grande.

Cornelia terrorizzata si mise ad urlare, Virginia completamente fradicia risalì il molo verso la darsena e quando si trovò di fronte a Cornelia, scampato il pericolo, le due sorelle si abbracciarono piangendo. Virginia intirizzita dal freddo e scioccata dallo spavento incominciò a orinare e tanta fu la paura che non ebbe nemmeno la sensazione che il suo caldo liquido le scorresse sulle gambe. Quell’episodio diede luogo a uno dei pochi momenti in cui le due sorelle mostrarono reciproca comprensione. Nel corso dei successivi vent’anni, a parte qualche acceso contrasto, “felicemente” s’ignorarono.

Fu ricordando quel fortunoso epilogo che a Virginia, osservando la furia delle onde, venne in mente il tormentato rapporto con la sorella minore. Cornelia le fu sempre ostile, alcune volte in modo nascosto, in altre palesemente e spesso solo per un malcelato spirito d’opposizione. In verità, Virginia intuiva le motivazioni d’asprezza della sorella nei suoi confronti. Si poteva presumere che l’acrimonia di Cornelia derivasse dal fatto di essere mai stata considerata pari alla sorella maggiore. Di ciò ebbe parzialmente colpa la madre Moira, la quale nel biasimare la scapestrataggine della più giovane le portò come esempio la presunta rettitudine di Virginia.

Moira era una donna borghese educata secondo i principi post vittoriani e le intemperanze della figlia minore la infastidivano, le giudicava volgari, irrispettose verso il decoro familiare. Si era venuto a creare un cortocircuito all’interno del focolare dei Montagu, secondo cui la peste stizzosa e svogliata era Cornelia, mentre Virginia ne rappresentava il suo alter ego.

Per di più la non ammissione di Cornelia a Oxford, anno in cui Virginia ivi conseguì la laurea in Master Degree in Law con il massimo dei voti,  allargò ulteriormente il fossato che la divideva dalla maggiore e dal resto della famiglia. Cornelia si rifugiò nei suoi amati cavalli e nei suoi amanti occasionali utilizzati spesse volte come fazzoletti di carta. In fondo, le distanze comportamentali tra le due sorelle non erano così polarizzate. Entrambe avevano celebrato un matrimonio privo d’amore; entrambe si concedevano evasioni dal talamo nuziale; entrambe, sebbene con modalità diverse, disdegnavano frequentare ambienti altolocati; entrambe custodivano con gelosia il proprio privato.

Con la differenza che il disprezzo di Cornelia era manifesto e quindi irritante, mentre quello di Virginia si celava nel suo intimo pensiero passando così inosservato. Cornelia spesse volte rimproverò, con ragione, Virginia di essere un’ipocrita e Virginia viceversa, senza torto, accusò Cornelia di comportarsi come una sciocca scolaretta. Questa querelle negli ultimi vent’anni ebbe alti e bassi, toni acuti e soffici, ma non fu mai sedata, o meglio tutte due non ritennero opportuno sopirla, poiché ciò faceva comodo all’orgoglio di entrambe.

Moira capì in ritardo di aver adottato due pesi e due misure allorquando ai suoi occhi si screpolò il “mito” di Virginia. Si rese conto che la sua figlia maggiore non fu una casta verginella tremebonda, come per tanto tempo credette, bensì una spigliata giovinetta insensibile alla prudenti raccomandazioni materne. Moira dovette inghiottire anche qualche altro imprevisto amaro boccone quando si accorse del comportamento infedele di Virginia nei confronti di suo marito, ma ormai il “danno” era stato fatto, i confini all’interno della famiglia tra decenza e scostumatezza erano stati tracciati per cui ogni retromarcia sarebbe stata inutile se non dannosa. Ci fu una sorta di compensazione economica per Cornelia di cui Moira si fece alfiere: a lei venne donata gran parte dell’eredità del nonno materno, la proprietà di Shepton Mallet nel Somerset, ove la minore fissò la sua residenza e il suo allevamento di cavalli. Benché Cornelia possedesse una quota minoritaria della Nettles & Partners ACM, non si occupò mai dell’attività aziendale che delegò sempre a suo marito, del resto soffriva la professionalità di Virginia e temendo di non esserne all’altezza, non intendeva mettersi in competizione.

Nell’arco degli ultimi due lustri le occasioni d’incontro, fuorché quelle canoniche familiari, furono rarissime, al massimo solo tre all’anno: le feste natalizie, quelle pasquali e i compleanni della madre Moira e del padre Roger. Virginia non visitò più il podere di Shepton Mallet sin da quando era adolescente, al tempo invitata ogni anno dai nonni materni Watson per festeggiare le vacanze primaverili. Parallelamente, Cornelia, nel caso in cui avesse dovuto recarsi da sua sorella a Londra, con difficoltà avrebbe individuato l’abitazione di Virginia a Hampstead.

Mancavano poche miglia all’imbocco del porto di Folkestone, il mare si era calmato, ma la brezza era ancora intensa. Il cielo era squarciato dai raggi del sole e sulle verdi colline del Kent si era formato un luccicante arcobaleno. Virginia snodò il foulard e si diresse verso prua, ma essendo il ponte scivoloso, procedette con calma evitando accuratamente le pozze d’acqua che si erano formate sulla superficie sconnessa. Casualmente trovò un anfratto riparato, si sedette su una delle poltroncine sotto la plancia e si deliziò alla vista del paesaggio. Riconobbe la torre della chiesa di St Mary e Eanswythe, il suggestivo Seefront, l’ampia spiaggia di Sunny Sand e poi più in là le scoscese scogliere della East Cliff. Quando la sirena della nave annunciò l’entrata nella rada portuale, Virginia si sporse dalla paratia, da lì riconobbe Percival e Cully che l’attendevano alla base del lungo molo. Lady Montagu fece un ampio gesto con il braccio per farsi riconoscere e l’autista e la sua cameriera personale risposero nello stesso modo agitando i fazzoletti. Virginia rientrò in coperta e si avviò verso l’area dove venivano costuditi i bagagli.

Quando la nave attraccò attese l’arrivo di Percival, il quale con l’aiuto di Cully provvidero a sistemare le tre grandi valigie nell’ampio portabagagli della Bentley. Virginia si accomodò sul sedile posteriore e dopo circa dieci minuti di viaggio erano già fuori dall’abitato di Folkestone in direzione Londra.

The Montagu sisters

Folkestone, September 1958: a spoonful of love in their endless sea of mutual contempt

Briseide A. Cook-Rolling, Penzance, Cornwall, UK

There had been a storm the day before and the consequences of that bad weather could still be seen. The sea was very rough, fuelled by a wind from the northwest on that cloudy morning…

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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