
Ci risulta difficile commentare per diverse ragioni il futuro scenario stagflazionistico dipinto da Nouriel Roubini in questo suo breve ma lucido post. La prima è quella di sperare che non accada, ma in verità i presupposti, da lui attentamente descritti, ci sono tutti; la seconda dipende dal fatto che l’autore è uno dei pochi esperti indipendenti – se non forse l’unico – di alto calibro e di riconosciuta competenza nel settore finanziario, le cui analisi che, sebbene non trovino ampio spazio nel corrente dibattito mediatico, vengono lette “nascostamente” con attenzione, proprio da quello stesso mondo, maldisposto nei suoi confronti, che però gli riconosce una stringente logica associata a una schietta autonomia nel giudicare i fatti e dedurne le conseguenze.
The Looming Stagflationary Debt Crisis
Jun 30, 2021 NOURIEL ROUBINI
Years of ultra-loose fiscal and monetary policies have put the global economy on track for a slow-motion train wreck in the coming years. When the crash comes, the stagflation of the 1970s will be combined with the spiralling debt crises of the post-2008 era, leaving major central banks in an impossible position.
NEW YORK – Ad aprile, avvertii che le politiche monetarie e fiscali estremamente accomodanti di oggi, se combinate con una serie di shock negativi dell’offerta, potrebbero portare a una stagflazione in stile anni ’70 (alta inflazione accompagnata da una recessione). In effetti, il rischio di oggi è ancora più grande di quanto non fosse allora.
Dopotutto, il rapporto debito/PIL nelle economie avanzate e nella maggior parte dei mercati emergenti era molto più basso negli anni ’70, motivo per cui la stagflazione non è stata storicamente associata alle crisi del debito. Semmai, l’inflazione inaspettata negli anni ’70 spazzò via il valore reale dei debiti nominali a tassi fissi, riducendo così l’onere del debito pubblico di molte economie avanzate.
Al contrario, durante la crisi finanziaria del 2007-08, elevati rapporti d’indebitamento (privato e pubblico) hanno causato una grave crisi del debito – con lo scoppio delle bolle immobiliari – ma la conseguente recessione generò a una bassa inflazione, se non addirittura a una deflazione. A causa della stretta creditizia, ci fu uno shock macro sulla domanda aggregata, mentre i rischi oggi gravitano sul lato dell’offerta.
Ci resta quindi il peggio sia della stagflazione degli anni ’70 sia del periodo 2007-10. I rapporti di debito [con i PIL] sono molto più alti che negli anni ’70 e un mix di politiche economiche espansive e shock negativi dell’offerta minaccia d’alimentare l’inflazione piuttosto che la deflazione, ponendo le basi per la madre delle crisi stagflazionistiche del debito nei prossimi anni.
Per ora, le politiche monetarie e fiscali espansive continueranno ad alimentare bolle creditizie e patrimoniali, provocando un disastro ferroviario al rallentatore. I segnali di allarme sono già evidenti negli alti rapporti prezzo/utili di oggi, nei bassi premi per il rischio azionario, nel gonfiato settore immobiliare e tecnologico e nell’esuberanza irrazionale intorno alle società di acquisizione a scopo speciale (SPAC), nel settore delle criptovalute, nel debito societario ad alto rischio, nel prestito obbligazionario garantito, nelle private equity, nelle azioni alla moda e nell’incontrollato trading giornaliero da parte degli operatori. Ad un certo punto, questo boom culminerà nel cosiddetto “momento” di Minsky (un’improvvisa perdita di fiducia) e le politiche monetarie più restrittive scateneranno un crollo.
Ma nel frattempo, le stesse politiche espansive che stanno alimentando le bolle patrimoniali continueranno a guidare l’inflazione dei prezzi al consumo, creando le condizioni per la stagflazione nel momento in cui matureranno i prossimi shock negativi dell’offerta.
Tali shock potrebbero derivare da un rinnovato protezionismo; dall’invecchiamento demografico nelle economie avanzate ed emergenti; dalle restrizioni all’immigrazione nelle economie avanzate; dal trasferimento della produzione in regioni ad alto costo; o dalla balcanizzazione delle catene di approvvigionamento globali.
Più in generale, il disaccoppiamento sino-americano minaccia di frammentare l’economia globale in un momento in cui il cambiamento climatico e la pandemia di COVID-19 stanno spingendo i governi nazionali verso una maggiore autosufficienza. Se a questo si aggiunge l’impatto derivante da attacchi informatici sempre più frequenti alle infrastrutture critiche e il contraccolpo sociale e politico contro le disuguaglianze, la ricetta per lo sconvolgimento macroeconomico è completa.
A peggiorare le cose, le banche centrali hanno effettivamente perso la loro indipendenza, perché non hanno avuto altra scelta che monetizzare enormi deficit fiscali per prevenire una crisi del debito. Con i debiti pubblici e privati che sono aumentati vertiginosamente, queste sono cadute nella trappola del debito. Con l’aumento dell’inflazione nei prossimi anni, le banche centrali dovranno affrontare un dilemma.
Se iniziano a eliminare gradualmente le politiche non convenzionali e ad aumentare i tassi ufficiali per combattere l’inflazione, rischieranno d’innescare una massiccia crisi del debito e una grave recessione; ma se manterranno una politica monetaria espansiva, rischieranno un’inflazione a due cifre e una profonda stagflazione quando emergeranno i prossimi shock negativi dell’offerta.
Sennonché, anche nel secondo scenario, la classe politica non sarebbe in grado di prevenire una crisi del debito. Mentre il debito nominale del governo a tasso fisso nelle economie avanzate può essere in parte cancellato da un’inflazione inaspettata (come è successo negli anni ’70), i debiti dei mercati emergenti denominati in valuta estera non lo sarebbero. Molti di questi governi dovrebbero andare in default e ristrutturarne i propri.
Allo stesso tempo, i debiti privati nelle economie avanzate diventerebbero insostenibili (come è successo dopo la crisi finanziaria globale) e i loro spread rispetto ai titoli di stato più sicuri aumenterebbero, innescando una reazione a catena d’insolvenze. Le società altamente indebitate e i loro sconsiderati creditori, le cosiddette banche ombra, sarebbero le prime a pagarne il prezzo, presto seguite dalle famiglie indebitate e dalle banche che le avevano finanziate.
A dire il vero, i costi reali di finanziamento a lungo termine potrebbero inizialmente diminuire se l’inflazione aumenta inaspettatamente e le banche centrali sono ancora dietro il suo picco. Tuttavia, nel corso del tempo, questi costi saranno aumentati da tre fattori.
Primo, debiti pubblici e privati più elevati amplieranno gli spread dei tassi di interesse sovrani e privati. In secondo luogo, l’aumento dell’inflazione e l’aumento dell’incertezza faranno aumentare i premi per il rischio di inflazione. E, come terzo fattore, un indice di miseria crescente – la somma dell’inflazione e del tasso di disoccupazione – alla fine richiederà un “Momento Volcker”.
Quando l’ex presidente della Fed Paul Volcker aumentò i tassi per contrastare l’inflazione nel 1980-82, il risultato fu una grave recessione a doppia flessione negli Stati Uniti e una crisi del debito e un decennio perso per l’America Latina. Ma ora che l’indice di indebitamento globale è quasi tre volte superiore a quello dei primi anni ’70, qualsiasi politica antinflazionistica porterebbe a una depressione, piuttosto che a una grave recessione.
In queste condizioni, le banche centrali saranno maledette se lo faranno [aumentare i tassi] e maledette se non lo faranno, e molti governi saranno semi-insolventi e quindi incapaci di salvare banche, società e famiglie. La relazione d’indebitamento incrociata (doom loop) di titoli sovrani in possesso delle banche nella zona euro dopo la crisi finanziaria globale si ripeterà in tutto il mondo, risucchiando anche famiglie, società e “banche ombra” (società finanziarie che praticano attività bancaria).
Per come stanno le cose, questo disastro ferroviario al rallentatore sembra inevitabile. Il recente perno della Fed da una posizione ultra-colomba a una posizione prevalentemente accomodante non cambia nulla. La Fed è in una trappola del debito almeno da dicembre 2018, quando un crollo del mercato azionario e del credito l’ha costretta a invertire la sua politica d’inasprimento un anno prima che colpisse il COVID-19. Con l’aumento dell’inflazione e gli shock stagflazionistici incombenti, ora è ancora più invischiata.
Lo stesso vale per la BCE, la Bank of Japan e la Bank of England. La stagflazione degli anni ’70 farà presto fronte alla crisi del debito del periodo successivo al 2008. La domanda da porsi non è se, ma quando accadrà.
Nouriel Roubini, Chairman of Roubini Macro Associates, is a former senior economist for international affairs in the White House’s Council of Economic Advisers during the Clinton Administration. He has worked for the International Monetary Fund, the US Federal Reserve, and the World Bank, and was Professor of Economics at New York University’s Stern School of Business. His website is NourielRoubini.com, and he is the host of NourielToday.com.