
E’ proprio vero che l’attuale balzo dell’inflazione (5% negli USA) sia da attribuire a contingenze temporanee dovute a “colli di bottiglia” conseguenti alla ripartenza post-pandemica? Oppure, si tratta di una pressione strutturale generata sia dalla risistemazione delle catene di valore “piegate” dagli alti costi di una transizione ecologica, sia dalla ri-allocazione delle stesse su territori strategicamente più sicuri (reshoring) ? Ripercussioni verso cui una élite politica vogliosa di rimettere in moto la macchina economica sembra non aver dato grande peso. Joe Stiglitz pare non preoccuparsene troppo. Ma se i tassi sul mercato crescono le BBCC (Banche Centrali) devono provvedere di conseguenza tutto cambia, altro se cambia.
The Inflation Red Herring
Jun 7, 2021 JOSEPH E. STIGLITZ
Far from signaling the return of significant inflation, temporary price increases are exactly what one would expect in a recovery following an economic shutdown. Whether those peddling inflation fears are pursuing their own agenda or simply jumping the gun, they should not be heeded.
NEW YORK – Tenui aumenti del tasso di inflazione negli Stati Uniti e in Europa hanno innescato le ansie dei mercati finanziari. L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden corre il rischio di surriscaldare l’economia con il suo pacchetto di salvataggio da $ 1,9 trilioni questo addizionato all’esborso di spesa pubblica da investire in infrastrutture per la creazione di posti di lavoro e per il sostegno alle famiglie americane?
Tali preoccupazioni sono premature, considerando la profonda incertezza che ancora dobbiamo affrontare. Non abbiamo mai sperimentato prima d’ora una recessione indotta dalla pandemia e caratterizzata da una recessione sproporzionatamente devastante nel settore dei servizi, [combinata da] aumenti senza precedenti della disuguaglianza e con tassi di risparmio alle stelle. Nessuno sa nemmeno se o quando il COVID-19 sarà contenuto nelle economie avanzate, figuriamoci a livello globale. Mentre soppesiamo i rischi, dobbiamo anche pianificare tutte le contingenze. A mio avviso, l’amministrazione Biden ha correttamente stabilito che il rischio di fare troppo poco supera di gran lunga il rischio di fare troppo.
Inoltre, gran parte dell’attuale pressione inflazionistica deriva da strozzature a breve termine dal lato dell’offerta, che sono inevitabili quando si riavvia un’economia che è stata temporaneamente chiusa. Non ci manca la capacità globale di costruire automobili o semiconduttori; ma quando tutte le nuove auto dovranno esserne munite e la domanda s’impantana nell’incertezza (come durante la pandemia), la produzione di semiconduttori viene ridotta. Più in generale, coordinare tutti gli input di produzione in una complessa economia globale integrata è un compito estremamente difficile che di solito diamo per scontato perché normalmente le cose funzionano bene e anche perché la maggior parte degli aggiustamenti sono “al margine”.
Ora che il normale processo è stato interrotto, ci saranno dei singhiozzi, e questi si tradurranno in aumenti di prezzo per un prodotto o per l’altro. Ma non c’è motivo di credere che questi movimenti alimenteranno le aspettative d’inflazione e che quindi genereranno uno slancio inflazionistico, soprattutto considerando l’eccesso di capacità complessiva in tutto il mondo. Vale la pena ricordare come recentemente alcuni di coloro che ora mettono in guardia sull’inflazione da domanda eccessiva parlavano [in precedenza] di “stagnazione secolare”, la cui origine venne individuata da una domanda aggregata insufficiente (anche a tasso zero).
In un paese con disuguaglianze profonde e di vecchia data che sono state esposte ed esacerbate dalla pandemia, un mercato del lavoro rimpicciolito è proprio ciò che ci si aspetta. Quando la domanda di lavoro è forte, i salari medio-bassi aumentano e i gruppi ai margini vengono assunti. Naturalmente, la nitida rigidità dell’attuale mercato del lavoro statunitense è oggetto di dibattito, date le segnalazioni di carenze di manodopera, nonostante l’occupazione rimanga nettamente al di sotto del livello pre-crisi.
I conservatori incolpano di tale situazione [il Governo] per una sua eccessiva generosità dei sussidi assicurativi di disoccupazione. Ma gli studi econometrici che confrontano l’offerta di lavoro negli Stati Uniti suggeriscono che questi tipi di effetti disincentivi al lavoro sono limitati. E in ogni caso, i sussidi di disoccupazione protratti finiranno in autunno, anche se gli effetti economici globali del virus permarranno.
Piuttosto che farci prendere dal panico per l’inflazione, dovremmo preoccuparci di che cosa accadrà alla domanda aggregata quando i fondi elargiti dai pacchetti corrispondente agli sgravi fiscali si esauriranno. Molti di coloro che si trovano in fondo alla distribuzione del reddito e della ricchezza hanno accumulato ingenti debiti, inclusi, in alcuni casi, più di un anno di affitti arretrati, a causa delle protezioni temporanee contro lo sfratto.
È improbabile che la riduzione della spesa delle famiglie indebitate venga compensata da quelle posizionate ai vertici, la maggior parte delle quali ha accumulato risparmi durante la pandemia. Dato che la spesa per i beni di consumo durevoli è rimasta robusta negli ultimi 16 mesi, sembra probabile che i benestanti godrebbero del loro incremento del risparmio cosi come godrebbero di qualsiasi altra manna dal cielo: come qualcosa da investire o spendere lentamente nel corso di molti anni. In assenza di una nuova spesa pubblica, l’economia potrebbe nuovamente risentire di una domanda aggregata insufficiente.
Inoltre, anche se le pressioni inflazionistiche dovessero diventare davvero preoccupanti, disponiamo di strumenti per smorzare la domanda (e il loro utilizzo rafforzerebbe effettivamente le prospettive a lungo termine dell’economia). Per cominciare, disponiamo della politica dei tassi di interesse della Federal Reserve statunitense. L’ultimo decennio e oltre in cui i tassi di interesse erano vicini allo zero non è stato economicamente salutare. Il valore della scarsità del capitale non è zero. I bassi tassi d’interesse distorcono i mercati dei capitali innescando una ricerca di rendimento che porta a premi di rischio eccessivamente bassi. Tornare a tassi d’interesse più normali sarebbe una buona cosa (sebbene i ricchi, che sono stati i principali beneficiari di questa periodo di tassi di interesse super bassi, potrebbero dissentire).
A dire il vero, alcuni commentatori guardano alla valutazione dell’equilibrio del rischio in capo alla Fed e temono che non agirà quando sarà necessario. Ma penso che le dichiarazioni della Fed siano state esatte e confido che la sua posizione cambierà se e quando cambieranno le evidenze. L’istinto di combattere l’inflazione è radicato nel DNA dei banchieri centrali. Se costoro non vedono l’inflazione come il problema chiave attualmente preoccupante per l’economia, non ci sarebbe alcuna ragione da parte di taluni di alimentarlo.
Il secondo strumento è l’aumento delle tasse. Garantire la salute a lungo termine dell’economia richiede molti più investimenti pubblici, che dovranno essere pagati. Il rapporto tasse/PIL degli Stati Uniti è troppo basso, soprattutto date le enormi disuguaglianze americane. C’è un urgente bisogno di una tassazione più progressiva, per non parlare di in un incremento del prelievo fiscale che ha come scopo la difesa dell’ambiente per far fronte alla crisi climatica. Detto questo, è perfettamente comprensibile che ci sarebbe esitazione a promulgarne di nuove mentre l’economia rimane in uno stato precario.
Dovremmo riconoscere che l’attuale “dibattito sull’inflazione” non è null’altro che fumo negli occhi sollevato da coloro che ostacolerebbero gli sforzi dell’amministrazione Biden per affrontare alcuni dei problemi americani di maggior urgenza. Il successo richiederà più spesa pubblica. Gli Stati Uniti sono finalmente fortunati ad avere una leadership economica che non cederanno ai mestatori di paura.
Joseph E. Stiglitz, a Nobel laureate in economics and University Professor at Columbia University, is a former chief economist of the World Bank (1997-2000) and chair of the US President’s Council of Economic Advisers, was lead author of the 1995 IPCC Climate Assessment, and co-chaired the international High-Level Commission on Carbon Prices.