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Dani Rodrik

Tra i vari economisti e politologi in circolazione, uno dei più capaci ad analizzare gli eventi con sguardo ampio e cogliere l’andamento profondo delle dinamiche macroeconomiche e internazionali è sicuramente il professor Dani Rodrik. Già da tempo l’accademico di Harvard va sostenendo la tesi secondo la quale la globalizzazione abbia da più di un decennio abbandonato una fase di forte, e forse eccessivo, dispiegamento (iper-globalizzazione) per lasciare spazio a quella che egli definisce fase di ritiro della iper-globalizzazione, talvolta anche definita slowbalization.

Ormai anche i più fervidi sostenitori del processo di globalizzazione economica ammettono che qualcosa sia andato storto e che aggiustamenti siano necessari per entrare in un nuovo ciclo. Molto facile sostenerlo ora, decisamente più lungimirante era proporre un nuovo modello nei primi anni 2000, come appunto Rodrik e Stiglitz andavano già allora facendo. La schiera dei “pentiti” non è corta, ed annovera tra di essi anche nomi di primissimo piano, sia nelle istituzioni internazionali (Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale), sia nel mondo accademico (Paul De Grauwe), sia nel mondo politico (Barack Obama).

Rodrik è uno degli economisti e politologi che meglio hanno compreso ed anticipato l’importanza del ritorno al ruolo dello Stato nella fase del ciclo economico che stiamo attraversando; quando tutti davano per defunto il ruolo dell’intervento pubblico nei processi economici, egli sosteneva al contrario che l’unico modo per meglio bilanciare il processo di globalizzazione sarebbe inevitabilmente stato quello di riconsegnare spazio di manovra agli Stati, e implicitamente all’utilizzo della leva pubblica (debito pubblico) per creare/stimolare investimenti, innovazione, digitalizzazione e green economy.

La crisi economica indotta dal coronavirus ha messo in evidenza ed accelerato questo processo già in atto da diversi anni, il quale ora è divenuto inevitabile e determinante; l’enorme crescita dei disavanzi pubblici è stata fondamentale per evitare il tracollo dell’impianto economico dei paesi sviluppati, ed ha svolto un ruolo decisivo nel processo di stabilizzazione del ciclo capitalista che da solo sarebbe semplicemente collassato nei mesi più acuti della crisi del coronavirus, e che ancora oggi gioca un ruolo decisivo nel garantire una certa stabilità in caso una situazione simile vada riproponendosi.

Non solo: lo schema di rilancio messo in campo anche a livello di istituzioni europee prevede un forte intervento di prestiti e trasferimenti che verranno gestiti degli Stati membri per rilanciare l’economia ed orientare la crescita nella direzione della cosiddetta green economy e digitalizzazione, con una particolare attenzione al fatto che tale crescita corregga due profonde e pessime tendenze non adeguatamente attenzionate nella fase degli anni 90 e primi 2000: l’aumento delle diseguaglianze socio-economiche tra i diversi ceti della popolazione (in termini di reddito e ricchezza, ma anche di istruzione e sanitario); l’aumento delle distanze dello sviluppo tra diverse aree geografiche (l’annoso tema della dicotomia centro-periferia, ampiamente sviluppato dal politologo inglese Colin Crouch).  

Il pendolo dell’economia sta tornando nuovamente verso il centro, e dopo vent’anni di hyper-globalization sembra giunto il tempo per lasciare spazio ad una “economia assennata”. Il pericolo potrebbe essere rappresentato dalla solita narrazione di stampo neoliberista, la quale si ispira ad una visione per la quale la logica del mercato sia così preponderante da assoggettare anche l’intervento statale al mero fine di preservazione delle distorsioni del mercato. In questa ottica, la battaglia per una economia assennata, come vorrebbero Rodrik e Stiglitz, è ancora in essere e bisognerà sudare per vincerla.

Giorgio Laguzzi

Democratizing Innovation

Aug 11, 2020 DANI RODRIK

Policymakers and the public at large understand the importance of innovation to economic growth and well being. What is less well appreciated is the degree to which the innovation agenda has been captured by narrow groups of investors and firms whose values and interests don’t necessarily reflect society’s needs.

CAMBRIDGE – L’innovazione è il motore che guida le economie contemporanee. Il tenore di vita è determinato dalla crescita della produttività, che a sua volta dipende dall’introduzione e dalla diffusione di nuove tecnologie che consentono di produrre una varietà sempre più ampia di beni e servizi con sempre meno risorse del nostro pianeta.

I responsabili delle politiche e il pubblico in generale comprendono l’importanza dell’innovazione. Ciò che è meno apprezzato è il grado in cui l’agenda dell’innovazione viene acquisita da gruppi ristretti d’investitori e di aziende i cui valori e interessi non riflettono necessariamente le esigenze della società.

Nelle economie avanzate di oggi, le imprese private svolgono la maggior parte delle attività di ricerca e sviluppo. La quota del settore imprenditoriale sulla spesa totale in R&S varia dal 60% a Singapore al 78% in Corea del Sud, con gli Stati Uniti più vicini alla fascia più alta, al 72%. Tuttavia è il settore pubblico che fornisce l’infrastruttura sociale, legale ed educativa essenziale che sostiene la R&S privata.

L’innovazione nel settore privato dipende in modo cruciale dal finanziamento statale dei laboratori scientifici e della ricerca di base. Si avvale di talenti scientifici formati nelle università sostenute da fondi pubblici. Lo stato fornisce agli innovatori diritti di monopolio attraverso il sistema dei brevetti e garantisce l’appropriazione privata dei rendimenti alla R&S attraverso il lavoro e la stipula di contratti. Non da ultimo, la R&S privata è fortemente sovvenzionata dallo Stato attraverso crediti d’imposta e altre politiche d’incentivi.

Nell’interessa della società, noi dovremmo preoccuparci non solo di quanta innovazione avviene, ma in particolar modo della tipologia delle nuove tecnologie che vengono sviluppate. Dobbiamo assicurarci d’investire in quelle che siano sicure, rispettose dell’ambiente, che massimizzino l’efficacia, piuttosto che semplicemente sostituire il lavoro umano, e che infine siano coerenti con i valori democratici e i diritti umani.

La direzione del cambiamento tecnologico non è unilaterale o determinata dall’esterno del sistema sociale ed economico. Invece, è modellata da incentivi, valori e dalla distribuzione del potere.

Nonostante il forte coinvolgimento dello stato nel sostenere l’innovazione, i governi in genere prestano molta poca attenzione alla direzione che il cambiamento tecnologico viene condotto dai privati. Le priorità di costoro spesso sono orientati a sotto-investire in tecnologie che hanno ritorni significativi a lungo termine, come quelle che riducono i cambiamenti climatici, o a prestare una inadeguata attenzione ai diritti umani o alle implicazioni sulla privacy, questo per quanto concerne le innovazioni digitali. Le aziende farmaceutiche, ad esempio, cercano ritorni dispensando medicinali costosi per malattie rare che colpiscono le economie avanzate, invece di vaccini per malattie tropicali che colpiscono milioni di paesi poveri.

Inoltre, le aziende tendono a investire eccessivamente nell’automazione per aumentare il ritorno di capitale e soddisfare i manager, a scapito dei dipendenti. Come hanno notato gli economisti Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, ciò potrebbe portare a “tecnologie mediocri” che producono pochi vantaggi di produttività complessiva, lasciando i lavoratori in condizioni peggiori.

La comune fissazione con l’automazione può portare fuori strada gli investitori più intelligenti. Nel 2016, Elon Musk annunciò che il Modello 3 di Tesla sarebbe stato costruito in una nuova fabbrica di automobili completamente automatizzata, che avrebbe funzionato a velocità superiori a rispetto alla massima capacità d’impiego fornita dagli esseri umani. Due anni dopo, i piani erano falliti e le gravi strozzature nella nuova fabbrica resero evidente che la produzione effettiva sarebbe stata molto al di sotto degli obiettivi dell’azienda. Musk fu costretto a creare nello stabilimento una nuova catena di montaggio con una elevata partecipazione di lavoro umano. “Gli esseri umani sono sottovalutati“, ammise su Twitter.

Le priorità degli innovatori sono naturalmente determinate dal loro ambiente culturale e sociale. In un recente articolo, il professore della Harvard Business School Josh Lerner e Ramana Nanda hanno quantificato quanto distanti possano essere i loro valori e le loro priorità a paragone di quelli della gente comune.

Negli Stati Uniti, il capitale di rischio (VC) [Venture Capital] gioca un ruolo sproporzionato nel finanziamento dell’innovazione da parte delle startup. Il settore del capitale di rischio è altamente concentrato: il top 5% degli investitori totalizza il 50% del capitale raccolto.

Tre regioni – la San Francisco Bay Area, la Greater New York e la Greater Boston – rappresentano circa i due terzi del settore e oltre il 90% dei membri del consiglio di amministrazione delle principali aziende. L’influenza delle principali società di VC va anche oltre, perché spesso agiscono come passaggio selettivo (gate-keeper) per altri investitori.

Il background sociale ed educativo di coloro che prendono le decisioni d’investimento è altrettanto omogeneo. Lerner e Nanda riferiscono che tre quarti dei partner con almeno un rappresentante nel consiglio delle principali società di VC hanno frequentato un’università della Ivy League, Caltech, MIT o Stanford. Quasi un terzo consegue la laurea nelle due sole ed esclusive Business School (Harvard e Stanford). Sarebbe sorprendente notare nel caso in cui le decisioni di finanziamento assunte non fossero influenzate dalla composizione sociale del gruppo.

Lerner e Nanda suggeriscono che la concentrazione geografica delle imprese di VC potrebbe aver contribuito allo “svuotamento” delle attività innovative in altre parti del paese.Le società di Venture Capital con sede in altre città”, sostengono, “avrebbero potuto scegliere società molto diverse in cui investire, date le loro prospettive sulle loro economie locali“.

Priorità distorte prevalgono anche nei programmi d’innovazione pubblica. Il più grande programma singolo a sostegno dell’innovazione high-tech negli Stati Uniti è la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), che come indica il nome, è orientata verso applicazioni militari. Sebbene molti progetti DARPA abbiano prodotto anche vantaggi per i civili (non ultimi Internet e GPS), le priorità dell’agenzia sono chiaramente definite da obiettivi che perseguano logiche inerenti la difesa.

La controparte delle tecnologie energetiche pulite della DARPA, Advanced Research Projects Agency-Energy (ARPA-E), ha appena un decimo del budget. Forse l’omissione più grande è che nessun governo attualmente ha programmi dedicati specificamente al finanziamento dello sviluppo di tecnologie favorevoli al lavoro.

Se l’innovazione tecnologica deve servire la società, la direzione che prende deve riflettere le priorità sociali. I governi in base a quest’ultima considerazione hanno eluso la loro responsabilità, a causa della convinzione diffusa che sia difficile alterare il corso della tecnologia. Se non che, non si è tentato abbastanza per guidare la tecnologia nella giusta direzione. L’innovazione è troppo importante per essere lasciata agli innovatori.

Dani Rodrik, Professor of International Political Economy at Harvard University’s John F. Kennedy School of Government, is the author of Straight Talk on Trade: Ideas for a Sane World Economy.https://www.project-syndicate.org/commentary/policymakers-should-influence-course-of-technological-innovation-by-dani-rodrik-2020-08?utm_source=facebook&utm_medium=organic-social&utm_campaign=page-posts-august20&utm_post-type=link&utm_format=16%3A9&utm_creative=link-image&utm_post-date=2020-08-11&fbclid=IwAR0Dkb5iYoUsBnuwZyqtg5wLgOX2pkfBJb9TAa6nLSWi5j8lmiDjyVaLQPU

Giorgio Laguzzi

Nato ad Alessandria nel 1984 ha presto lasciato la sua città per conseguire un Dottorato di Ricerca in Logica matematica a Vienna. Ha intrapreso la carriera accademica in Germania per poi tornare a casa dove è attualmente ricercatore presso l'Università del Piemonte Orientale. Dal 2022 ricopre la carica di Assessore del Comune di Alessandria.

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