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Dopo aver letto la minuziosa analisi pubblicata recentemente dal settimanale tedesco Der Spiegel incentrata a scoprire la morfologia, l’obiettivo strategico, la collocazione nello spettro politico e infine le ragioni del successo elettorale dei Verdi tedeschi, il dubbio che ci assale è quello di trovarci al cospetto di una “macedonia” di idee, in parte contraddittorie, tassonomicamente non collocabili se non “genericamente” progressiste, guidate da un partito, la cui struttura organizzativa è praticamente inesistente e che si avvale per comunicare il proprio progetto politico quasi esclusivamente della rete e dei social, distribuendo applicazioni in certi casi malfunzionanti.

Qualche commentatore ben disposto, richiamandosi alle recenti esperienze americane, connota il loro pensiero come “populismo progressista”. Forse, sarebbe meglio titolarlo “populismo emotivo confusionista”. Noi italiani siamo già stati edotti da questa “post-moderna” categoria della scienza politica.

Mettendo sottosopra quanto esposto in questo breve saggio, una delle evidenze che rafforzano la tesi del “confusionismo emotivo” si può desumere con chiarezza dalle considerazioni finali redatte dagli autori:

…si ha l’impressione, tuttavia, che l’attuale sostegno ai Verdi abbia meno a che fare con la politica e più con il desiderio di cambiamento. ‘Sappiamo che ispiriamo speranza’, ha detto recentemente Habeck, anche se non è chiaro se fosse più felice o timoroso, di entrambe le cose”.

Cambiamento”, parola magica, che accomuna la maggior parte dei nuovi partiti sorti dal nulla, ondivaghi nel loro pensiero e ondulatori in termini di consenso. A parte questo reale stato delle cose, ci viene spontaneo chiedere:  cambiamento di che cosa e per che cosa?

“…ci sono diverse spiegazioni sul perché i Verdi stiano andando così bene in questo momento. La più importante di queste è il fatto che l’Unione Cristiana Democratica (CDU) del Cancelliere Angela Merkel e i suoi partner della coalizione della SPD sono stati al potere insieme per 10 degli ultimi 14 anni e un certo esaurimento comincia a farsi sentire. Man mano che questo processo nei due grandi partiti stava avanzando, i Verdi hanno fruttuosamente lavorato sulla loro immagine nel comfort dell’opposizione. I Verdi, ad esempio, sono l’unico partito nello spettro politico tedesco con un profilo Instagram curato e degno di menzione e lo hanno ampiamente utilizzato nella campagna elettorale europea”.

Si potrebbe paragonare il lungo periodo rigorista tedesco con il nostro pro-austerity iniziato con il governo Monti nel quale la “bolla” stellata si è letteralmente gonfiata? Forse si, forse no. Sennonché, si badi bene, anche in Germania si è sofferto e non tutti nella stessa misura. Per gli scettici su questo argomento si consiglia l’opera recentemente pubblicata dal noto sociologo tedesco Oliver Nachtway, “Germany’s Hidden Crisis” (La crisi nascosta della Germania). Un secondo punto in comune tra le due formazioni politiche lo si potrebbe trovare nell’utilizzo della rete (social), di cui le giovani generazioni fanno ampio uso e attraverso cui passa quasi tutta la loro comunicazione politica: partito digitalizzato.

 “…la percezione [in Germania] nei confronti dei Verdi è cambiata radicalmente. Mentre il partito è aumentato nelle urne, sempre più persone – da tutti i diversi settori della società – gli stanno prestando maggiore attenzione. La settimana scorsa, prendendo in esame gli ultimi sondaggi, il sostegno per il partito ha raggiunto il 27%, superiore persino ai conservatori della Merkel. Era solo l’acme di un aumento lento ma costante avvenuto negli ultimi mesi. Anche lo scorso autunno, un sondaggio rilevò che la metà degli elettori avrebbe potuto esprimere il proprio voto per i Verdi”.

Cambiamento” e “crescita tumultuosa” sono ormai il ricorrente scenario in politica di una società liquida dove i precedenti ancoraggi ideologici, i vecchi miti, il secolare antagonismo capitale/lavoro vengono soverchiati dall’impeto di queste potenti ondate “protestatarie digitalizzate”. Cavalloni, la cui risacca porta con sé le macerie dei partiti istituzionali, nel caso specifico la “sfibrata” socialdemocrazia tedesca. Nuovi valori appaiono più urgenti: Essi sostituiscono i precedenti totem eretti a difesa delle tutele sociali, dei redditi individuali, delle collettività come protezione dal feroce cinismo “mercatista”. Bisogna “andare oltre”, si legge. Ora, il pensiero prevalente è quello di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica. Più che un reale sentimento pare che i Germania funga come archetipo volto a sussumere una spasmodica ricerca d’identità collettiva. Nel conservatorismo britannico si chiama con un altro nome: Brexit.

Nobile intenzione non c’è dubbio, la quale comunque ha sempre trovato uno spazio rivendicativo nella sinistra tradizionale Ma se i verdi pensano che una politica di protezione dell’ambiente e delle risorse naturali trovi accoglienza da parte di quella congerie ben organizzata costituita da grandi banche, società d’intermediazione, private equity, multinazionali, istituzioni internazionali e perfino strutture di governo domestiche, il cui marchio di fabbrica s’identifica nel cosiddetto “capitalismo finanziario”, si sbagliano di grosso.

“…un anno fa, la parlamentare verde Kerstin Andreae ha istituito un comitato consultivo per lavorare più a stretto contatto con la comunità imprenditoriale. Tiene riunioni tre volte all’anno, con circa 60 dirigenti aziendali che si incontrano con i parlamentari del partito, incluso il presidente del partito Baerbock. Andreae nota subito che i Verdi hanno sempre avuto un “intenso scambio” con la comunità degli affari, ma in generale si basò sulla trattazione di argomenti specifici di volta in volta. Il nuovo consiglio ha istituzionalizzato la relazione. Durante la formazione del comitato, Andreae ha trascorso praticamente un’intera estate al telefono, riuscendo infine a reclutare luminari come i CEO di BASF e Roche”.

Qui, si evidenzia il limite e le contraddizioni insite nelle formazioni politiche post-moderne d’ispirazione progressista, le quali si convincono che per spuntare l’attuale versione del capitalismo sia necessaria la sua collaborazione. Questa esperienza perseguita negli USA dal binomio Obama- Clinton  si è risolta con la vittoria di Trump. Se i Verdi tedeschi pensano che sedendosi al tavolo della trattativa con il “nemico-amico” si possano raggiungere dei compromessi soddisfacenti segmentando l’intero paradigma neoliberista in una miriade di temi specifici (issue-by issue basis), o peggio, tessendo rapporti basati sulla reciproca comprensione riguardo alle rispettive attese, compiono un errore madornale.

Il nocciolo della questione non può essere racchiuso entro la polpa dei fragili compromessi strappati in ogni singola intesa. Il dato macroscopico nella sua interezza – includendo la conservazione ambientale – sta nel riuscire a presentare all’elettorato un progetto “organico”, un nuovo modello di sviluppo, da contrapporre ai correnti depositari del verbo. Nel caso specifico, parte della sinistra tradizionale – in particolare quella residente nell’anglosfera – dopo il drammatico fallimento del 2016, oggi propugna una drastica ridefinizione dell’attuale rapporto esistente tra interessi collettivi e tasso di profitto, di rendita improduttiva del capitale, da cui neoliberismo estrae valore a beneficio di pochi.

Per dirla in un altro modo, la democrats Warren – candidata presidenziale USA – non organizza “convention”, non presiede “economic advisory committee”, non telefona ai magnati americani, ma non si fa sfuggire l’occasione di umiliare il CEO di una delle più grandi banche statunitensi, nel corso di un drammatico e pubblico confronto istituzionale[1], reo d’aver aperto più di due milioni di conti correnti collegati a una carta di credito con le relative spese a carico dei suoi inconsapevoli clienti; il Labour, per voce di John Mc Donnell, non cerca la consumata “razionalizzazione” blairiana, ma esprime la sua contrarietà nei confronti dei capitalisti e finanzieri della City di Londra con la frase “The game is over[2], altro che “issue-by issue basis”. Proporre un modello alternativo di sviluppo, anziché soffermarsi ogniqualvolta sulla questione cogente, ingloba una politica di rinnovamento a 360 gradi e non si preoccupa solo di salvare il paguro bernardo dall’estinzione.

Infatti, scrive il Der Spiegel:

“… ma ci sono anche domande politiche per le quali il partito deve ora trovare risposte convincenti. Appare ben strutturato quando si parla di cambiamenti climatici e di ambiente, ma per quanto riguarda quei problemi che non hanno mai trovato posto nella prospettiva politica dei Die Grünen? Cose come la politica estera la difesa e le questioni sociali, per esempio, insieme alla sicurezza interna”.

E allora che si fa?

“…seguendo l’esempio del comitato consultivo economico, un gruppo aggiuntivo ha iniziato i lavori a metà maggio, il cosiddetto comitato sindacale e di assistenza sociale. Comprende parlamentari verdi che lavorano con consigli di fabbrica, sindacati, gruppi di protezione dei consumatori e organizzazioni ambientali. ‘Se vogliamo rifare la società sia dal punto di vista ecologico sia dal punto di vista del benessere sociale, abbiamo bisogno di partenariati strategici’, afferma Anton Hofreiter, che ha avviato la commissione dalla sua posizione di leader del gruppo parlamentare del Partito Verde. Come il comitato economico, il gruppo si riunisce circa tre volte all’anno. Uno degli effetti collaterali del nuovo comitato è il fatto che aiuta i Verdi a conquistare i membri del sindacato, che da decenni sono stati sostenitori di base dell’SPD. In passato, nessuno nel partito era particolarmente entusiasta dell’incontro con i rappresentanti sindacali, ma in questi giorni, Hofreiter è raggiante per la “prontezza al cambiamento” che vede all’interno dell’ambiente…”

Anche in questo caso, solo parole, evocative, ma prive di sostanza. Che cosa voglia dire “rifare una società sia dal punto di vista ecologico sia dal punto di vista del benessere sociale” non è dato saperlo, un annuncio molto vago. Invece, è assai chiara la posizione della sinistra anglo-americana in merito: su come ricostruire gli assetti di potere, eliminare il differenziale tra produttività e salario, ridurre gli squilibri globali, potenziare la struttura pubblica, limitare la voracità della finanza, imporre regole. Essa dispone di un progetto alternativo che compendia “il sistema mondo” (Stiglitz)[3]. Per converso i Die Grünen – almeno dalla descrizione del Der Spiegel – appaiono molto “euro-germano-centrici” orientati esclusivamente a scalare le posizioni di potere cannibalizzando una ormai esangue SPD.

“… a Brema, per esempio, il partito tende ad essere più a sinistra ed è attualmente in procinto di negoziare una possibile alleanza con la SPD e il partito di estrema sinistra, una coalizione che sarebbe la prima nella Germania occidentale. Nel Baden-Württemberg, nel frattempo, la situazione è completamente diversa, dato che Winfried Kretschmann dei Verdi è stato il primo governatore del partito dal 2011 nel governo di coalizione con il CDU di centrodestra…ma il Baden-Württemberg non è l’unico stato in cui i Verdi sono al governo. Nello stato settentrionale dello Schleswig-Holstein, da cui è originario Robert Habeck, i Verdi servono in una coalizione insieme al CDU e al FDP…”

Politiche di sinistra o politiche destra? Keynes o Friedman? Libero fondamentalismo di mercato o regole? Pro-americanismo o neutralismo? Il tutto si direbbe un “non-problema”: importante è salvare il mondo dal riscaldamento globale. Allora, si cominci a mettere sotto accusa la Polonia, stato confinante, per il consumo di milioni di tonnellate di carbone domestico altamente inquinante con lo scopo di produrre energia a basso costo mediante la quale Varsavia mantiene competitiva la propria struttura industriale privata per gran parte – guarda caso – finanziata da capitali tedeschi. Non è detto che in questo logica europea del “race to the bottom” non appartenga alle stesse aziende con le quali i Verdi si vantano d’intavolare “accordi di reciproca convenienza”. Del resto, il fallimento della coalizione cosiddetta “Giamaica” nel 2017, con il ritiro dei liberali (FDP), suona come un campanello d’allarme.

Simbolica è anche la loro bicefala struttura di comando. Annalena Baerbock e Robert Habeck sono i due co-presidenti, il Der Spiegel aggiunge:

“…inoltre, i due leader del partito sono riusciti a fare qualcosa che nessun coppia di leader prima di loro è stato in grado di fare: abbattere le rivalità all’interno dei partito e le battaglie sul proprio ego. Habeck dice di aver tratto vantaggio da una ‘incredibile coesione’ all’interno del partito…”

Sarà, ma qui da noi esempi di coppie “rivoluzionarie” fuse in un unico stampo che il giorno successivo si sono prese a cazzotti (Civati-Renzi) o stanno per prendersi (Di Maio-Di Battista), solo per citare le più recenti, ne abbiamo viste in quantità. Tuttavia, questa presunta armonia al vertice confligge con una base instabile, omogenea nella sua composizione sociale e anagrafica – principalmente al di sotto dei 40 anni, piccola e media borghesia con elevati gradi d’istruzione –  ma confusa per quanto riguarda la bussola dei valori – a prescindere dalla comune tensione ecologista – e infine carente di una classe dirigente all’altezza della situazione. Il Der Spiegel,  oltre a citare la “rissa” all’interno del partito esplosa in merito alla più o meno opportunità di tollerare i comportamenti dei rifugiati, ne dipinge un quadretto interessante:

“…Philmon Ghirmai, un alto funzionario del distretto Neukölln [quartiere di Berlino], crede che alla fine sarà cruciale per i componenti dei Verdi riflettere il tipo di società che si vuole rappresentare. E per farlo, necessita che ne facciano parte molti altri soggetti con background migratorio. Inoltre, il partito deve anche diventare attraente per coloro che non hanno frequentato una scuola superiore di preparazione per l’università. ‘È vitale e urgente diventare più diversificati’, … Rahul Schwenk, un uomo d’affari di 44 anni che è da poco entrato a far parte dei Verdi, afferma che il partito deve adeguare la propria piattaforma in modo tale che sia attraente per tutti i gruppi culturali e sociali e non solo per i bianchi istruiti al college..”

“…solo perché questa è una delle maggiori preoccupazioni in Neukölln, tuttavia, non significa che sia la priorità altrove. Il clima e l’ambiente possono essere l’obiettivo principale del Partito Verde, ma in realtà è ben lontano da essere un partito omogeneo. E quanto più affina il suo progetto politico, tanto maggiori tali differenze sorgono…”

https://www.spiegel.de/international/germany/german-green-party-leads-in-public-opinion-polls-a-1272530.html

[1] https://www.newyorker.com/magazine/2019/06/24/can-elizabeth-warren-win-it-all?utm_source=facebook&utm_social-type=owned&utm_brand=tny&utm_medium=social&mbid=social_facebook&fbclid=IwAR3G5F88Nf99v128m_9MrQtg9ZFS6r85AesFRMoRQ4IBy3-OOGmMaTWswo8

[2] https://democraticieriformisti.wordpress.com/2018/10/01/la-festa-e-finita-the-game-is-over-labour-annual-conference-2018-john-mcdonnell/

[3] https://ilponte.home.blog/2019/05/11/joseph-e-stiglitz-the-progressive-capitalism/

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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