In una recente intervista radiofonica, Emiliano Brancaccio, uno dei più valenti economisti di scuola neo-keynesiana qui da noi, sosteneva che per quanto si cambi la formula governativa in un qualsiasi paese “periferico” occidentale, dal punto di vista delle conseguenze derivanti dalla sua politica economica, lo scenario rimarrebbe sostanzialmente immutato, se non per marginali dettagli. L’accademico adduceva che il nesso causale dell’attuale temperie neoliberista dovrebbe essere risolto a monte e altrove.
E’ ovvio che tale affermazione venga rigettata da coloro che da entrambe le fazioni si accalorino nel sostenere se è meglio “un Vicepresidente o nessun Vicepresidente”, ma pur comprendendo il loro pathos politico, l’affermazione di Brancaccio corrisponde a verità e mette a nudo due problemi sostanziali correlati tra loro. Il primo di natura teorica, il secondo che investe la politica e i centri mondiali del potere.
Sul primo bisognerebbe parafrasare il pensiero di Marx, allorché egli individuò nel concetto di “struttura”, il luogo primario in cui i rapporti materiali entrano in contraddizione e dal quale si produce il divenire storico; inoltre, secondo il dettato marxiano, esso è concepito come la base reale che influenza l’orientamento della “sovrastruttura” intesa come complesso giuridico e politico al quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.
Declinando questa dicotomia nella post-modernità ciò significa che non possiamo parlare di “beni comuni”, norme di tutela dei diritti sociali, ecc. ecc. se non si risolve all’origine la contraddizione di fondo insita nella primazia di un’economia centrata sui rendimenti dei titoli azionari (shareholder economy), sulla cui connotazione ”strutturale” non vi sono dubbi. Stiglitz, nel post successivo ne spiega in modo esauriente il significato.
Il secondo punto riguarda il cosiddetto “vincolo esterno”. Il supporre che modificando assetti di governo in alcune realtà periferiche ciò possa attutire la montante discrepanza di reddito legittimata per circa mezzo secolo dal potere ideologico imperiale detenuto dagli USA in materia di relazione economiche (ma non solo) è pura illusione. Solo una “svolta” nel capitalismo a stelle e strisce, che porti a una più equa distribuzione della ricchezza, avvierà un generale cambiamento.
Sennonché, la dichiarazione inaspettata sortita dal cenobio delle più rappresentative corporation americane (US Business Roundtable) la settimana scorsa sui limiti di una economia che tragga esclusivo vantaggio dai rendimenti dei titoli azionari, non solo ha sorpreso tutti, ma anche ne costituisce un mutamento epocale, il quale ci induce a pensare che quel paradigma inaugurato da Friedman e Jensen (Scuola di Chigago) primi anni 80 non sia più produttivo per il funzionamento del capitalismo stesso.
Dato che le svolte “etiche” nella moderna economia e nel dominio dei mercati storicamente non sono mai esistite per grazia di chi comanda, si è più portati a considerare che una tale inversione di rotta sia da imputare alla forte crescita del movimento democratico americano di sinistra (Sanders e Warren), in corsa per le primarie, allo scopo di prevenire da parte del corrente establishment, nel caso di una loro vittoria, correzioni ben più severe. Su questo argomento ci siamo già espressi in https://ilponte.home.blog/2019/08/01/il-vento-del-nord-ovest-democrats-e-labour-alla-riscossa/
Is Stakeholder Capitalism Really Back?
Aug 27, 2019 JOSEPH E. STIGLITZ
We will have to wait and see whether the US Business Roundtable’s recent statement renouncing corporate governance based on shareholder primacy is merely a publicity stunt. If America’s most powerful CEOs really mean what they say, they will support sweeping legislative reforms.
NEW YORK – Per quattro decenni, la dottrina prevalente negli Stati Uniti è stata che le società dovrebbero massimizzare il valore per gli azionisti – ovvero profitti e prezzi delle azioni, qui e ora, al di là di ciò che potrebbe accadere, indipendentemente dalle conseguenze per lavoratori, clienti, fornitori e comunità. Quindi, la dichiarazione che sostiene il stakeholder capitalismo (le parti interessate appena descritte in precedenza), firmata all’inizio di questo mese praticamente da tutti i membri della Business Roundtable degli Stati Uniti, ha suscitato grande scalpore. Dopotutto, questi sono gli Amministratori Delegati (AD) delle società più potenti d’America, che comunicano agli americani e al mondo che fare affari va oltre il saldo di bilancio. Questa dichiarazione presuppone un cambio di direzione. Ma lo è veramente?
L’ideologo del libero mercato, l’economista premio Nobel Milton Friedman, fu influente non solo nel diffondere la dottrina del primato degli azionisti, ma anche nel farla scrivere nella legislazione degli Stati Uniti. Arrivò al punto di dire: “esiste una e una sola responsabilità sociale delle imprese: utilizzare le sue risorse e impegnarsi in attività finalizzate per aumentare i suoi profitti“.
L’ironia fu che poco dopo Friedman promulgasse queste idee, che nel corso del tempo rese popolari e poi incluse nelle leggi sul governo societario – come se queste fossero basate su di una solida teoria economica – Sandy Grossman e il sottoscritto, in una serie di articoli alla fine degli anni 70, dimostrò che il capitalismo azionista non massimizzò il benessere sociale.
Questo è ovviamente vero quando ci sono importanti esternalità come i cambiamenti climatici o quando le società avvelenano l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo. Ed è ulteriormente vero quando incentivano il consumo di prodotti malsani come le bevande zuccherate che contribuiscono all’obesità infantile o degli antidolorifici che scatenano una crisi oppiacea, o quando sfruttano le persone sprovvedute e vulnerabili, come è il caso della Trump University e di tanti altri istituti d’istruzione superiore americani a scopo di lucro. Infine, è vero quando traggono profitto esercitando il potere di mercato, come fanno molte banche e società tecnologiche.
Ma è anche più vero in generale: il mercato può indurre le imprese a essere miopi e fare investimenti insufficienti per i loro lavoratori e per le comunità. Quindi è un sollievo che i leader aziendali, che dovrebbero avere una visione penetrante del funzionamento dell’economia, abbiano finalmente visto la luce e raggiunto [i principi] della moderna economia, anche se ci sono voluti circa 40 anni per farlo.
Ma questi leader aziendali sono davvero consapevoli riguardo a quello che dicono, o la loro affermazione è solo un gesto retorico di fronte a una reazione popolare contro un diffuso comportamento scorretto? Ci sono ragioni per credere che siano un “pochettino” in malafede.
La prima responsabilità delle società è di pagare le tasse, eppure tra i firmatari della nuova visione aziendale vi sono i principali evasori fiscali del paese, tra cui Apple, che, a quanto pare, continua a utilizzare paradisi fiscali come Jersey. Altri appoggiarono il disegno di legge 2017 del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che riduce le tasse per le società e per i miliardari, ma, quando sarà pienamente attuato, le aumenterà per la maggior parte delle famiglie della classe media e porterà altri milioni [d’individui] a perdere la loro assicurazione sanitaria. (Questo [accade] in un paese con il più alto livello di disuguaglianza, la peggiore efficienza sanitaria e la più bassa aspettativa di vita tra le principali economie sviluppate.)
E mentre questi imprenditori rivendicavano che i tagli alle tasse avrebbero generato un incremento degli investimenti e salari più alti, i lavoratori hanno ricevuto solo una miseria. La maggior parte del denaro non è stata utilizzata per gli investimenti, ma per i riacquisti di azioni, che sono serviti semplicemente a riempire le tasche degli azionisti e degli amministratori delegati con i piani di incentivazione azionaria.
Un autentico senso di più ampia responsabilità porterebbe i leader aziendali a dare il benvenuto a normative più severe per proteggere l’ambiente e migliorare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti. Alcune case automobilistiche (Honda, Ford, BMW e Volkswagen) lo hanno fatto, approvando regolamenti più severi di quelli che l’amministrazione Trump desidera, senza contare che il presidente lavora per annullare l’eredità ambientale dell’ex presidente Barack Obama. Ci sono persino dirigenti di società di bibite che sembrano sentirsi in imbarazzo per il loro ruolo [di attivatori] dell’obesità infantile, la cui conseguenza, e ne sono consapevoli, porta spesso al diabete.
Ma mentre molti amministratori delegati potrebbero voler fare la cosa giusta (o avere familiari e amici che lo fanno), sanno di avere concorrenti che si comporterebbero diversamente. Ci deve essere parità di condizioni in modo tale che le imprese con una coscienza siano garantite e non siano minate da quelle che non intendano adeguarsi. Ecco perché molte aziende desiderano regolamenti contro la corruzione, nonché disposizioni a tutela dell’ambiente e della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
Sfortunatamente, molte delle mega-banche, il cui comportamento irresponsabile portò alla crisi finanziaria globale del 2008, non sono tra queste. Non appena l’inchiostro si asciugò sul capitolo della riforma finanziaria Dodd-Frank del 2010, che inasprì le normative per rendere meno probabile il ripetersi delle crisi, le banche si sono adoperate per abrogarne le disposizioni chiave. Tra questi c’era JPMorgan Chase, il cui AD è Jamie Dimon, l’attuale presidente del Business Roundtable. Considerato il fatto che la politica americana è posta sotto scacco dal denaro, non sorprende che le banche abbiano avuto un notevole successo. Un decennio dopo la crisi, alcune istituti finanziari stanno ancora affrontando cause intentate da coloro che furono danneggiati dal loro comportamento irresponsabile e fraudolento. Il denaro da loro accumulato, esse lo sperano, le consentirà di sopravvivere nei confronti di coloro che rivendicano giustizia.
La nuova posizione dei più potenti AD americani è, ovviamente, benvenuta. Ma dovremo aspettare il vedere se si tratta di un’altra acrobazia pubblicitaria o se davvero quello che dicono abbia un vero significato. Nel frattempo, abbiamo bisogno di riforme legislative. Il pensiero di Friedman non solo fornì agli avidi amministratori delegati una scusa perfetta per fare ciò che avrebbero voluto sempre fare, ma comportò la promulgazioni di leggi relative al governo societario che conferirono l’aurea di legittimità a [questa versione del] capitalismo (shareholder capitalism) inserendole nel quadro giuridico americano e in quello di molti altri paesi. Questo deve cambiare, in modo che le società non siano solo autorizzate ma effettivamente obbligate a considerare gli effetti del loro comportamento su altri attori sociali (stakeholder).