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vortice

Roberto Tricarico nel suo fondo recentemente pubblicato sul Corriere della Sera, edizione torinese, si concentra su un tema molto importante, ignorato o banalizzato fino ad oggi: il rapporto fra Torino e la regione Piemonte. L’editorialista ha “vestito” Sergio Chiamparino e Alberto Cirio con abiti ritagliati su misura della loro storia e della loro provenienza. Artificio retorico ottimo per lanciare gli ultimi giorni di contesa sulla direttrice inesplorata del modello di sviluppo che si vuole indirizzare per una regione che non è solo Torino, ma che della città di Torino avrebbe bisogno.

Persa in un inseguimento a Milano, dal cui traguardo raccolse solo briciole, Torino ignorò l’opportunità di sviluppare un sistema-regione preferendo invece un corridoio territoriale innaturale dal quale nei fatti ha beneficiato solo la città meneghina. Il capoluogo lombardo è l’unico vero nodo europeo italiano. Possiede un capitale territoriale enorme e interagisce mediante un fitto reticolo di convenienze reciproche e rapporti funzionali con le città medie lombarde. Caratteristiche che hanno determinato la sua centralità e che, inevitabilmente, hanno finito per marginalizzare l’approccio pomposo, ma privo di letture materiali, che Torino profuse nel tentativo di lanciare l’acronimo MiTo.

Dall’altro lato è mancata totalmente la capacità da parte di Torino di coinvolgere il territorio piemontese, lacuna peraltro ben spalleggiata dallo scarso peso politico di alcune periferie di frontiera, oggi fotografate dal rischio desertificazione presente nelle realtà di Asti e Alessandria.

La vicenda TAV e la questione trasporto passeggeri basterebbe per capire di cosa stiamo parlando. Il tunnel di base del Frejus fa parte di un progetto europeo ed è in avanzato stato di realizzazione, ragione per cui, indiscutibilmente, un suo arresto non avrebbe alcuna giustificazione industriale, economica e prima ancora ambientale, essendo uno degli strumenti dello “shift modale” da gomma a ferro. Non è altresì pensabile che questo venga inserito in un contesto dove la logistica su ferro è solo di lungo raggio, così come è emerso dal convegno del 28 settembre 2018 a Torino e dalla spinta del mondo della strada all’asse Torino-Novara come retroporto Savona-Genova.

Al di là delle questioni geografiche, risulta evidente che il punto di concentramento e di stoccaggio debba essere un luogo accessibile e baricentrico rispetto al sistema portuale: quel punto è chiaramente Alessandria e non Torino. Il battersi per il tunnel di base del Frejus, non la TAV – che è un’altra cosa – non dovrebbe escludere contemporaneamente uno sforzo per il ripristino della logistica alessandrina, come baricentro del medio raggio e per ampi settori della distribuzione, nonché per un indispensabile progetto di valorizzazione e potenziamento degli assi complementari di collegamento, anch’essi in transito o originanti da Alessandria. Infatti, tutte le linee che dal Monferrato e dalla Langa trovano sbocco veloce e naturale verso la pianura padana in direzione Alessandria, non allungandosi a Torino per raggiungere Novara e Milano.

È evidente come Torino sia periferica infrastrutturalmente e non possa essere un centro di smistamento. Non parliamo poi del sostanziale isolamento in cui sono finite Asti e Alessandria – in generale il Piemonte sud orientale – ormai scollegate dalle direttrici adriatica e tirrenica per quanto riguarda il traffico passeggeri.

Una porzione di Piemonte in difficoltà che sconta le scelte sbagliate dell’ultima Giunta Cota e che non ha potuto beneficiare del faticoso tentativo di ritorno alla normalità messo in atto negli ultimi anni, zavorrato da un bacino di risorse sostanzialmente riservato al capoluogo sabaudo, impegnato a gestire lo sprawl urbano verso la periferia. Oltre a ciò, si aggiunga anche la stucchevole retorica che da tempo accompagna il mito della “città creativa”, peraltro ormai già ampiamente smentito dal suo stesso padre Richard Florida, il cui esito sta determinando lo spostamento sull’area torinese della gran parte delle risorse destinate alla cultura e all’innovazione nelle loro varie forme.

Tale risultato si traduce nel decollo dell’immagine patinata della Torino “da bere”, ma ciò genera, parallelamente – salvo qualcosa di positivo – la crisi della cultura come fattore di identità collettiva e modo di affrancamento dal bisogno, senza contare il disallineamento delle istituzioni culturali tra centro e periferia, nonché il relativo drenaggio continuo di risorse, che al contrario prima affluivano con regolarità alle province piemontesi.

Lato fondazioni bancarie, abbiamo assistito alla celebrazione di faraonici progetti tipo OGR (bello, per carità) a discapito dei territori, la cui cronica mancanza di fondi non permette nemmeno l’apertura di piccoli spazi di espressione, iniziative, che qui da noi per portarle a termine, ci costringono a faticare per anni.

Un Salone del Libro che si ferma ai confini di Moncalieri; una Fondazione Circolo dei Lettori che contempla come unico socio la Regione ma che lavora solo per Torino (a parte la foglia di fico Novara); il Politecnico che se ne va dalle città capoluogo di provincia, salvo poi ricredersi in parte, non sono altro che le testimonianze più evidenti di questo sghembo modello monocentrico sabaudo.

Si potrebbe andare avanti per ore, parimenti occorrerebbe lo stesso tempo nell’elencare le mancanze della classe dirigente e politica presente nei territori, la cui colpa si materializza nel non aver elaborato una strategia d’azione finalizzata a contrastare questo andazzo. E’ pur vero che una strategia di sviluppo urbano per le città medie sia carente in tutta Italia, e che sia pertanto difficile incolpare Torino di un vizio tutto italiano. Così come è altrettanto vero che la ribellione delle periferie è un fattore che caratterizza tutto il mondo, dalla geografia del voto per la Brexit alla rivolta dei gilet gialli.

Detto ciò, sembra che nessuno si renda conto di quanto siano preziose le periferie, in qualsiasi accezione le si consideri, se non fino a quando i fatti non presentano il conto della loro evidente insoddisfazione. Infine, chiunque vinca, se il voto toglierà a Torino anche solo una parte del presunto primato piemontese sarà solo un bene, per tutti, ma principalmente per il capoluogo che forse inizierà a pensare a sé stesso in termini meno egoistici aprendosi ad un modello di città-regione più produttivo in termini di equilibrio territoriale a confronto del fallimentare inseguimento di un illusorio quanto inutile MiTo.

Giorgio Abonante, Consigliere comunale di Alessandria – Gruppo  Pd

A sostegno del Partito Democratico e di Domenico Ravetti per il Consiglio Regionale

 

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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