The thik fog on the Ravine’s bridge
Sarah Murphy, 87, Chicago, Illinois, USA
Alle nove in punto Janet suonò il campanello dell’abitazione di Giselle. Attese qualche minuto, si aprì la porticina e comparve la figura della donna coperta da un lussuosa vestaglia di seta blu con i risvolti giallo oro. La bruna francese salutò con un sorriso l’ospite e lo fece accomodare in piccolo salotto le cui pareti erano ricoperte da una carta da parati tinta ocra con dei minuscoli motivi a rombo.
La stanza era arredata con uno stile che richiamava un ambiente orientaleggiante: moquette tinta crena, tappeti persiani e cuscini morbidi di piuma d’oca di un giallo intenso sparsi sul pavimento. Facevano eccezione, pur perfettamente in tono con il “tocco” levantino, un sofà a tre posti in cretonne dai fiori color cremisi e due poltroncine che ricordavano lo stile déco con il loro schienale imbottito perfettamente quadrato e i manici in legno lucido. Non c’erano mobili, solo un tavolino basso di fattura cinese in palissandro, sulla cui superficie erano disegnate delle incisioni che ricordavano la cerimonia d’investitura imperiale. Sopra di esso torreggiava un grosso vaso in porcellana policroma della dinastia Qing, entro il quale era deposto un mazzo di rose rosse.
Janet si sedette su una delle due poltroncine, mentre Giselle si allungò sul divano lasciando penzolare il nudo polpaccio destro dal bordo del sofà.
“Bene, a che devo questa tua visita?”
“Ho necessità che tu mi faccia una cortesia”, replicò alla domanda Janet.
La francese dagli occhi corvini e penetranti alzo verso l’alto l’arcuato scuro ben curato filo sopraccigliare, un misto tra stupore e curiosità, poi arrendevolmente allargò le braccia come dire: sono a tua disposizione, dimmi come ti posso aiutare. Lady Sturge si schiarì la voce poi riprese a parlare:
“dovresti ritirare una busta presso questa locanda “Le Pavot rouge” in Rue du Maréchal Joffre 76 vicino alla chiesa Marie de Colombes. Ma c’è un problema, chi sarebbe titolato a ricevere questa lettera dovrebbe essere una donna non giovanissima ed avere una capigliatura bionda o rossa come la mia.”
Mentre stava parlando le consegnò l’indirizzo scritto su di un foglietto di carta. Giselle sorrise e disse:
“e secondo te questo sarebbe un problema?”
Poi aggiunse “aspetta un attimo”. Uscì dalla stanza e vi tornò dopo pochi minuti indossando una parrucca che non solo si avvicinava al colore della capigliatura di Janet ma era simile alla sua forma. Giselle, fiera per il suo rapido “adattamento”, fece dondolare le anche, poi mimando la leggera inflessione anglosassone del francese di Janet pronunciò un sentenzioso “eccomi qua, sono pronta”, facendo nel contempo un buffo inchino al cospetto della sua amica.
Lady Sturge si compiacque, poiché pensò d’aver finalmente rimosso quell’ostacolo che le impediva di soddisfare la sua curiosità. Tuttavia, si sentì in dovere di spiegare a Giselle le ragioni per le quali chiedeva una sua collaborazione. In soli dieci minuti raccontò tutta la vicenda, ivi compresa la visita del commissario Baliot. La padrona di casa ascoltò attentamente la cronologia dei fatti. Quando Janet terminò il suo racconto Giselle si tolse la parrucca, si accese una sigaretta, fece uno sbuffo di fumo e poi lo sguardo si fece indagatore e disse:
“tu temi che ci sia qualcosa di losco in questa faccenda?” “Non lo so, ciononostante io devo conoscere il contenuto di quella lettera prima di fare illazioni” rispose Lady Sturge.
Giselle non fece commenti, annuì e si piegò in avanti per portare a sé il portacenere. Janet notò che tale movimento produsse un allentamento del risvolto della vestaglia facendo intravedere la nudità dei seni. L’inglese fece un sorrisetto malizioso, poi non si trattenne dal dire “vedo che risparmi sulla biancheria intima.” La bruna francese raccolse la battuta fece una smorfia birichina e rilanciò come se volesse sfidare la sua amica “certo, sotto la vestaglia sono nuda. Vuoi constatare?” Janet alzò le braccia in segno di resa dicendo “mi arrendo alla tua verità”. Entrambe scoppiarono in fragorosa risata.
Giselle si strinse la cintola della vestaglia, si alzò dal divano e si diresse verso la finestra diede un occhiata all’esterno poi si girò di scatto, incrociò lo sguardo della sua amica e iniziò a parlare con un tono serio e compassato:
“Io amo il corpo nelle sue molteplici espressioni e l’amerò sempre. Rammenta, quando dico corpo non intendo solo il mio, poiché mi eccita anche quello altrui indifferentemente dal genere. Ciò di cui sono schiava è il piacere che è quasi sempre localizzabile nel corpo”.
Questa considerazione diede il destro alla sua amica inglese di contrapporle una sua riflessione critica: “ma i corpi possono essere imperfetti, sgraziati, obesi, sudaticci, malati, mutilati, non necessariamente tutti i corpi sono perfetti tali da essere ammirati, inoltre il piacere è un elemento intermittente nella nostra vita, non la caratterizza interamente.”
Giselle non si scompose di fronte alle chirurgiche argomentazioni di Janet, anzi replicò con quel pragmatismo tipico di chi non si fa incantare dalle narrazioni morali: “certo c’è cioccolata e cioccolata, non dubito che mi piaccia quella con alta densità di cacao, ma in assenza dell’eccellenza alcune volte mi accontento di un prodotto più scadente. Dipende anche da ciò che si è in grado d’offrire. Normalmente, la bellezza e signorilità non si accoppiano con la bruttezza e la cafoneria. Ma ci potrebbero essere anche delle combinazioni insolite.”
Giselle dimostrava sicurezza nelle sue argomentazioni. Il suo linguaggio era scarno ma efficacie e soprattutto, ciò che colpiva Janet, senza imbarazzi. Aggiunse anche di non essere d’accordo sulla discontinuità del piacere “è naturale che gli individui preferiscano il piacere al dolore, paradossalmente vi sono coloro che utilizzano il secondo per trarre dal primo intima soddisfazione.”
Ma Janet non demordeva, desiderava che lei ammettesse la sua inclinazione per una cultura di tipo “materiale” finalizzata al mercimonio. “Immagino che le tue eccezioni compendino l’uso del denaro come elemento di compensazione. Nel senso che il sopportare la malcreanza ha pur sempre un costo”.
La donna bruna attese qualche attimo prima di rispondere, spense il mozzicone nel portacenere poi fissò la sua amica e disse
“Non solo il denaro a volte anche la passione e il potere possono riequilibrare il piatto della bilancia.”
Lady Sturge cercò di ribattere, ma Giselle la fermò facendo un gesto con la mano, “vedi cara non si può trarre piacere da cose che accadranno dopo la nostra morte….. e tu vuoi farmi credere che sia proficuo capitalizzare una vita di rinunce senza sapere se io potrò godere del mio risparmio dopo la mia dipartita? E’ semplicemente assurdo tutto ciò. Sarebbe come se ti chiedessi di attraversare un crepaccio su un ponte pericolante, la cui opposta sponda sia invisibile, in quanto coperta da una fitta nebbia. Non credo che lo faresti.”
Janet giocava una partita difficile, le sue domande, sebbene fossero rivolte al suo interlocutore, servivano soprattutto per interrogare sé stessa. In fondo utilizzava in questo specifico caso Giselle come artifizio oratorio, augurandosi che le sue risposte fossero più convincenti di quelle che usualmente tentava di darsi. A Janet non dispiaceva la metafora del ponte pericolante, l’associò immediatamente ai dolori della vita, mentre quella relativa alla sponda nebbiosa le sembrava che richiamasse l’imperscrutabilità del dopo. Tuttavia, non si fece incantare da quel linguaggio figurato asserendo che Giselle considerava il piacere non dissimile dalla felicità, nonostante che – a parer suo – esse fossero due cose ben diverse.
La donna bruna replicò che non sapeva cosa lei intendesse per felicità e chiosò: “io non ho mai trovato una persona felice. Per converso mi è capitato di vivere certi stati d’animo apparentemente felici che associo al piacere, i quali dipendono esclusivamente da una mia scelta.”
Janet obbiettò affermando che la felicità è una conquista frutto di saggezza e virtù, entrambe alla nostra portata, anche se nella vita giocano le circostanze favorevoli. “Tu vorresti farmi credere che la dirittura morale accompagnata da una buona sorte sono gli ingredienti necessari per conseguire la felicità? Allora in base a ciò tu saresti una persona felice. In fondo cosa ti manca?” Replicò Giselle.
Seguì un silenzio tombale.
Janet si alzò dalla poltrona fece alcuni passi verso la finestra. L’amica francese, seduta sul divano di cretonne, mentre la seguiva con lo sguardo, le disse: “perché non vieni a sederti accanto a me, sarai più comoda”.
La rossa inglese addomesticò alcuni riccioli ribelli che le lambivano la candida e liscia guancia e nell’atto di voltarsi si strinse lo scialle intorno al collo come per proteggersi. Quella sera non sfoggiava eleganza, indossava un semplice vestito a mezze maniche nero di cotone. L’invito di Giselle a creare una maggiore intimità fisica tra loro non la sorprese, ma per un attimo esitò, poi decise di assecondare il desiderio della sua amica. Si sedette sul sofà appoggiando il suo corpo contro il bracciolo opposto al quale era distesa la francese. Giselle riprese il discorso che aveva interrotto, poiché aveva capito di aver toccato il lato debole di Janet. Non contenta d’aver avuto sopravvento, con una punta di crudeltà insistette:
“…allora cosa ti manca? A me pare che tu possieda quello che la stragrande maggioranza anela, dovresti essere felice. Non è vero?”.
Lady Sturge non seppe difendersi, mormorò una risposta evasiva “in parte lo sono”. Giselle scoppiò in una sonora risata, poi con cautela si avvicinò alla sua amica in lei percepiva un certo cedimento dialettico. D’istinto le mise il suo braccio sinistro intorno alle spalle come se volesse consolarla, ma non mancò, sebbene con una voce suadente, di ripeterle con una punta d’ironia, le sue ultime parole: “in parte lo sono”.
Evitò con cura un atteggiamento saccente, ma proseguì. “questo vuol dire che l’altra parte ne è priva. Non mi stupisce, poiché ciò che tu chiami felicità è sempre relativa a quello che possiedi, se sei una disperata e affamata una calda zuppa ti rende felice, ma non credo che una simile offerta possa provocare in te la stessa soddisfazione. Nel tuo caso ci vorrebbe una pelliccia di visone o un gioiello di Bulgari per fare emergere un tale stato d’animo.”
Giselle stava “giocando” con i capelli di Janet, la quale non reagiva alle carezze o forse non se ne accorgeva, poiché stava pensando a come uscire da questo cul de sac. Era chiaramente in difficoltà. Da molto tempo si stava chiedendo se fosse una persona felice. Sennonché, quando si è costretti a rifugiarsi nell’angolo da un avversario arrembante che non perdona risposte banali e che incalza con domande pertinenti si tenta una disperata reazione, e di norma in quelle condizioni, lo si fa in modo scomposto: “posso comprarmi una pelliccia al dì se voglio”. “Non dubito” rispose Giselle, “puoi iniettarti la tua dose di piacere raddoppiando giorno dopo giorno, ma qualora io dovessi arricchire le tasche a un ossequioso commerciante per soddisfare la mia vanità preferirei godermi il gioco del sesso, che per giunta potrebbe essere anche remunerativo oltre che più emozionante.”
Giselle si sentì toccata da questa franca confessione e con un gesto d’amicizia la strinse forte accanto a sé. Lo fece senza uno scopo predefinito. Quelle provocazioni un po’ audaci del giorno precedente avevano lasciato il posto a un nascente affetto per una donna che lottava per cercare la sua identità. Giselle aveva capito che Janet, nonostante la ricchezza, la sua bellezza, non poteva impedire che la profondità del suo pensiero scavasse negli anfratti più nascosti della sua psiche mettendo in dubbio molte sue certezze. Agire nel profondo del proprio sé può essere pericoloso, soprattutto quando si è obbligati a seguire un percorso di vita preordinato e da cui non sono permesse deviazioni.
Lady Sturge ondeggiava con le sue contraddizioni: per un verso difendeva l’immagine di una donna moralmente retta, di un manager competente, di un personaggio dall’aurea elegante; per l’altro era tentata a disobbedire, a varcare la soglia del decente, a ricercare emozioni forti. Una stridente contraddizione che non riuscì mai a sanare e che con il crescere dell’età diventava sempre più ingombrante. La bruna francese intuiva il disagio di Janet e pensò di essere la persona più adatta a far sì che rompesse quel tabù perbenista. Osò farle una proposta: “vuoi provare un’emozione forte?”
Lady Sturge chiese “di che tipo?” “Quella di essere pagata per una prestazione indecente” replicò sorridendo Giselle. L’inglese fu sorpresa dalla risposta e chiese maggiori spiegazioni. La sua amica argomentò che poteva procurarle un incontro a pagamento riscuotendone una cifra cospicua. Janet precisò “mi chiedi di fare la puttana?” “Ti chiedo di allietare un distinto signore e provare l’emozione di essere comprata.” Janet rimase in silenzio, pareva assente, ma il correre della mano della sua amica sotto la sua gonna la risvegliò. Rimase ferma, sentì le lunghe unghie ben curate che frugolando tra le sue cosce risalivano lentamente verso l’alto. Il contatto tattile le procurò eccitazione, fissò negli occhi la sua tentatrice per capire se anche lei provasse piacere, ma quando l’unghia del dito indice allentò le mutandine di pizzo improvvisamente serrò le gambe e fece con il corpo un balzo indietro.
Mentre lei si sentiva a disagio, la sua amica francese continuava a guardarla sorridendo. Le uscì un improvviso “devo andare, sono stanca” e poi subito dopo aggiunse: “ci penserò riguardo alla tua proposta”. La francese capì che non sarebbe stato opportuno insistere. Si alzò, la baciò sul collo bisbigliandone nell’orecchio “domani avrai la tua lettera”. Dopo aver chiuso la porta, Giselle si tolse la vestaglia rimanendo completamente nuda. Si distese sul sofà di cretonne ampliò il compasso delle sue gambe facendo scivolare il braccio sul suo ventre per poi giocare con la peluria del sue inguine e pensò a Janet.
Sarah Murphy, 87, Chicago, Ill. USA