La risposta sta nell’approccio radicalmente diverso alla tecnologia. Mentre OpenAI chiede 200 dollari al mese per l’accesso a ChatGPT Pro, DeepSeek offre un modello open source, utilizzabile offline, a consumo energetico ridotto e senza costi. Una democratizzazione dell’IA che mina alle fondamenta il modello di business delle Big Tech, basato su abbonamenti, controllo proprietario e rendite di monopolio.
di Tony Kohle
10 febbraio 2025
Tratto da un’analisi di Ben Norton Geopolitical Economy Report
In un mondo abituato a considerare gli Stati Uniti come il faro indiscusso dell’innovazione tecnologica, l’ascesa della Cina nel campo dell’intelligenza artificiale (IA) rappresenta una rivoluzione silenziosa ma di portata storica. Al centro di questa trasformazione c’è DeepSeek, un’azienda cinese fino a poco fa sconosciuta, che ha scosso i pilastri del monopolio delle Big Tech statunitensi rilasciando un modello di linguaggio avanzato (R1), open source e gratuito, capace di rivaleggiare con i costosissimi prodotti di colossi come OpenAI, sostenuta da Microsoft.[1]
Questo evento, paragonato da diverse testate giornalistiche al lancio dello Sputnik sovietico nel 1957, quando l’URSS superò gli USA lanciando il primo satellite, non è solo un successo tecnico, ma un simbolo di come la geografia del potere globale si stia ridefinendo, sfidando decenni di narrazioni occidentali sulla superiorità tecnologica ed economica.
Il mercato azionario statunitense ha reagito con un terremoto. NVIDIA, gigante dei semiconduttori essenziali per l’IA, ha perso 600 miliardi di dollari di capitalizzazione in un solo giorno, il crollo più grave nella storia di Wall Street. A seguire, titoli come Dell, Oracle e Super Micro sono precipitati, trascinati dal panico degli investitori. La domanda che serpeggia è semplice: come ha potuto una startup cinese, con un investimento di appena 6 milioni di dollari, superare i modelli sviluppati con oltre 1 trilione di dollari spesi in un decennio dalle più grandi corporation statunitensi?
La risposta sta nell’approccio radicalmente diverso alla tecnologia. Mentre OpenAI chiede 200 dollari al mese per l’accesso a ChatGPT Pro, DeepSeek offre un modello open source, utilizzabile offline, a consumo energetico ridotto e senza costi. Una democratizzazione dell’IA che mina alle fondamenta il modello di business delle Big Tech, basato su abbonamenti, controllo proprietario e rendite di monopolio.
Il contesto finanziario statunitense aggrava la crisi. Secondo il Buffett Indicator (indicatore che misura il rapporto tra capitalizzazione di mercato e PIL nazionale), gli Stati Uniti sono nella più grande bolla della storia, superando persino i picchi del 2000 (crisi delle dot-com)[2] e del 1929 (Grande Depressione). Il rapporto prezzo/utili (P/E)[3] è ai massimi da un secolo, e Jamie Dimon, CEO di JP Morgan Chase, ha pubblicamente definito il mercato “gonfiato”. La concentrazione del potere in poche aziende tech – Apple, Microsoft, Alphabet – peggiora la situazione: queste rappresentano un terzo dell’indice S&P 500, attirando capitali globali nella convinzione di essere insostituibili. L’arrivo di DeepSeek ha infranto quest’illusione, rivelando che l’innovazione non è un’esclusiva di Silicon Valley.
La reazione degli Stati Uniti è stata prevedibile: sanzioni, dazi e restrizioni all’export di tecnologie critiche, come i chip NVIDIA. L’amministrazione Biden ha imposto dazi del 100% sui veicoli elettrici cinesi, definendoli “minaccia alla sicurezza nazionale”, nonostante marche come BYD offrano auto più economiche ed efficienti di Tesla. TikTok, accusato di essere un cavallo di Troia cinese, è stato costretto a negoziare la vendita a un’azienda statunitense. Queste misure, sostenute da entrambi i partiti, tradiscono una strategia disperata: proteggere le corporation locali dalla concorrenza, non promuovere la competizione. Ma DeepSeek ha dimostrato l’inefficacia di queste barriere. Utilizzando chip meno avanzati ma ottimizzando algoritmi, la Cina ha reso irrilevanti i tentativi di contenimento, trasformando le sanzioni in un incentivo all’autosufficienza.
Il successo cinese sfata un pregiudizio radicato in Occidente: che la Cina sia incapace di innovare, limitandosi a copiare. In realtà, programmi come “Made in China 2025”[4] hanno prodotto risultati tangibili. La Cina domina oggi settori chiave: veicoli elettrici (48% delle vendite globali), batterie al litio (70% della produzione mondiale), droni (70% del mercato), pannelli solari (80% della capacità installata) e alta velocità ferroviaria (la rete più estesa al mondo). Nell’IA e nella robotica, i progressi sono evidenti: durante i festeggiamenti del Capodanno cinese, robot danzanti hanno eseguito coreografie sincronizzate con umani, senza telecomandi – una dimostrazione di capacità superiore agli spot pubblicitari di Tesla.
L’open source di DeepSeek incarna una filosofia opposta al capitalismo monopolistico occidentale. Mentre le Big Tech statunitensi cercano di monetizzare ogni aspetto della tecnologia, la Cina punta a beni pubblici globali, rendendo l’IA accessibile a tutti. Questo approccio non solo accelera l’innovazione, ma smaschera l’ipocrisia delle accuse statunitensi sulla “sicurezza dei dati”. OpenAI, nonostante il nome, è controllata per metà da Microsoft e raccoglie dati degli utenti, come ammesso nel suo sito. Nel frattempo, è probabile che la NSA continui a spiare cittadini globali, incluso capi di Stato, come rivelato da Edward Snowden più di dieci anni fa. La retorica della “minaccia cinese” appare così come una proiezione delle pratiche statunitensi.
Il sistema oligarchico[5] degli Stati Uniti, intriso di contraddizioni, aggrava la crisi. I grandi capitalisti – tra cui Musk, Bezos e Zuckerberg – hanno beneficiato di tagli fiscali che hanno ridotto l’aliquota media dei 400 più ricchi al di sotto di quella del 50% più povero. Ora, in questa seconda amministrazione Trump, 13 miliardari occupano posizioni di rilievo nel governo. Progetti come lo Stargate Project, un investimento da 500 miliardi nell’IA annunciato da Trump insieme ai CEO di OpenAI e Oracle, rivelano la simbiosi tra potere politico e Big Tech. Intanto, il Dipartimento del Commercio ammette senza remore di voler “rallentare l’innovazione cinese”, ricorrendo a cyberattacchi (come quelli contro reti elettriche in Iran e Russia) e sabotaggi.
Il caso DeepSeek non è isolato. Alibaba ha lanciato QWEN, un altro modello di IA open source, mentre Huawei resiste alle sanzioni sviluppando chip autonomi. La Cina sta colmando il divario anche negli aerei commerciali, settore dominato da Airbus e Boeing – quest’ultima in declino per scelte finanziarie miopi. L’obiettivo di “Made in China 2025” è quasi raggiunto, nonostante le pressioni USA, e Bloomberg riconosce che Pechino domina ormai settori che vanno dalla farmaceutica alla produzione di macchinari avanzati.
Il futuro dell’IA e della tecnologia globale si gioca su due visioni antitetiche. Da un lato, gli Stati Uniti, con un modello sempre più concentrato su monopoli, rendite di posizione e disuguaglianza. Dall’altro, la Cina, che combina pianificazione statale, investimenti in ricerca e un approccio collaborativo. La “guerra tech” in corso non è solo una lotta economica, ma uno scontro tra ideologie: gerarchia contro collaborazione, profitto privato contro bene pubblico.
In conclusione, la lezione è chiara: l’innovazione non è un privilegio geografico o sistemico. La Cina, con risorse limitate e sotto sanzioni, sta ridefinendo le regole del gioco, mentre gli USA faticano ad adattarsi a un mondo multipolare. Il dominio tecnologico non si mantiene con i dazi, ma con la capacità di innovare in modo inclusivo. Il prossimo decennio dirà se l’Occidente saprà accettare questa sfida o se continuerà a aggrapparsi a un passato che non esiste più.
Tony Kohle
[1] Sebbene il modello cinese presenti vantaggi in termini di accessibilità, solleva interrogativi sulla sostenibilità economica degli open source a lungo termine. Quanto al dualismo tra open source e controllo statale, come si può conciliare l’apertura tecnologica con le restrizioni internet cinesi?
[2] Nel marzo 2000, il NASDAQ (l’indice tecnologico di Wall Street) raggiunse un picco di oltre 5.000 punti. Poco dopo, il mercato iniziò a perdere fiducia: molte aziende non riuscivano a dimostrare di poter generare profitti. Nei successivi due anni, il NASDAQ perse circa il 75% del suo valore, migliaia di startup e anche grandi aziende fallirono, con licenziamenti di massa nel settore tecnologico e una forte recessione per il settore.
[3] Il rapporto prezzo/utili (P/E ratio, Price-to-Earnings ratio) è un indicatore finanziario che misura la valutazione di un’azienda confrontando il suo prezzo di mercato con i suoi utili per azione (EPS, Earnings Per Share).
[4] Il programma “Made in China 2025” è un’iniziativa strategica lanciata dal governo cinese nel 2015 con l’obiettivo di trasformare la Cina in un leader globale nell’industria manifatturiera ad alta tecnologia. Il piano si concentra sull’innovazione e sull’autosufficienza tecnologica, riducendo la dipendenza dalle importazioni di tecnologie straniere.
[5] Recentemente, Joseph Stiglitz – collaboratore del governo Clinton dal ’95 al ’97 – ha dichiarato apertamente che gli Stati Uniti sono diventati un’oligarchia.