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Nella sfera occidentale siamo inconsapevoli testimoni di una fase di transizione paradigmatica del rapporto dialettico tra il “politico” – secondo la definizione di Carl Schimtt – e l’economico. Un tentativo di capovolgimento che riporta il primo a risalire quella scala valoriale della convivenza umana che per millenni ha esercitato il potere assoluto sulla rispettiva comunità di riferimento, relegando il secondo a una mera funzione ancillare.

Si tratta di un sovvertimento silenzioso ma continuo, che ci riconduce alla nota intuizione nietzschiana dell’ “eterno ritorno dell’uguale”, secondo cui è fuorviante ritenere che il tempo  si distenda secondo una concezione lineare progressiva, poiché il solco che traccia è circolare e il suo anello, secondo il filosofo tedesco, è tanto feroce quanto inumano, ogni “attimo”, figlio di quello precedente, uccide il proprio padre per poi a sua volta essere ucciso dal proprio figlio.

Qui è l’homus economicus attuale che dovrà salire sul banco degli imputati e subirne l’eventuale sanzione per aver fraudolentemente esposto i suoi falsi ori neoliberisti ben lucidati che per circa mezzo secolo hanno incantano la mente dei semplici: l’efficienza, l’utilità marginale, la domanda, l’offerta, le aspettative, i modelli econometrici predittivi, la rendita, il monopolio, il monopsonio, ma soprattutto quel futile tentativo di divinare il futuro in base al calcolo delle passate inferenze.

Già John Maynard Keynes nella sua disputa negli anni venti con il suo collega di Cambridge il celebrato logico matematico Frank Plumpton Ramsey sostenne che predire il futuro sulla base delle esperienze passate è un gioco divertente, oltre che essere anche accattivante. Tuttavia, una scommessa ingaggiata per stabilire le probabilità che un cavallo risulti vincente a Derby è plausibile, ma per la complessità della natura umana non avrebbe alcun senso; i popoli navigano in un mare aperto ove è sempre prevalsa “l’incertezza radicale” (Radical Uncertainties).

Ci parrebbe che il Maestro di Cambridge e il filosofo tedesco incrocino il loro pensiero: “L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, — una corda tesa su di una voragine.” L’abisso del vuoto, come l’inattesa pandemia, l’imprevedibile guerra tra occidente e oriente, il ricatto energetico, nonché la montante inflazione annunciatrice di recessione, complessivamente ne testimoniano l’impredicibilità. Evidenze empiriche che stracciano le convinzioni di ogni supposta “forward guidance” monetaria; mettendo oggi in serio imbarazzo coloro che vengono da sempre descritti e onorati dal circolo mediatico come i rappresentanti di una “brillante” tecnocrazia economica internazionale. Se il liberale J. M. Keynes potesse esprimere un giudizio dall’oltre tomba la chiamerebbe quasi certamente una élite manipolatrice, autoreferenziale, al servizio dei potenti che ha propalato erronee “certezze assolute” e continua, nonostante ciò, a farlo.

Personaggi universalmente celebrati come Jerome Powell, Christine Lagarde e Mario Draghi, conniventi e responsabili per lungo tempo dei loro precedenti illusori convincimenti, sono quasi costretti ad arrampicarsi sulle spalle del fantasma gigantesco di Keynes per capire cosa accadrà in futuro così allarmati e impauriti tra inflazione, debito pubblico, recessione e da circa 17 trilioni di dollari in titoli incamerati nei forzieri delle maggiori Banche Centrali che, qualora si richiedesse per cause eccezionali di rimetterli in circolo sul mercato, potrebbero “disossare” in un nanosecondo il dinosauro obbligazionario internazionale.

Si è pensato per mezzo secolo che l’emissione di liquidità potesse affrancare il mercato a vantaggio del vorace consumo e così paradossalmente si è finito per “sovietizzarlo”. Sostituendo le vane idee pianificatrici verso il basso del Politburo con le altrettante da parte delle Banche Centrali, ma cambiandone direzione: verso l’alto.  Il cosiddetto “new normal” a tal punto che gli attuali operatori finanziari e i grandi gestori globali di fondi hanno ormai stralciato dai loro “book” la regola aurea di un’economia liberale: il rischio. Offrire regolarmente cognac di ristoro a un soggetto che spesse volte alza il gomito e come aprirgli la strada per l’etilismo cronico.

Ora, nella generale confusione intellettuale si parla di prezzi “amministrati”, di ri-pubblicizzazione dell’economia, di ripudio dell’ortodossia, ma ci si guarda ben bene da smantellare l’architettura della rendita, ciò che John M. Keynes considerava come il male peggiore. Siamo giunti all’epilogo del delirio. “L’eterno ritorno dell’uguale” speculava il solitario e anaffettivo Friedrich Nietzsche nei sentieri ripidi e boscosi dell’Engadina.

fg

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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