
(di ANGELO MARINONI)
Premessa
Il post di Angelo Marinoni è di ottima fattura “tecnica”, un po’ indigesta per i non addetti ai lavori, ma vale la pena leggerlo e sforzarsi di capirlo; la sua critica è puntuale verso il sistema di trasporto pubblico ferroviario regionale e nazionale, ammesso che lo si possa ancora definire tale.
Sì, proprio così, poiché i modelli di attuazione delle politiche pubbliche a partire dagli anni ’80 hanno incorporato soluzione privatistiche sposando principi microeconomici (al margine) ove, data la decisione di trasferire risorse limitate dal centro, l’offerta del servizio per chi in periferia è deputato a fornirla viene “massimizzata” calcolando i costi in subordine a una presunta efficienza.
Il problema sta appunto nel considerare che cosa significhi “politicamente” la parola efficienza.
Lo sarà per l’azionista di riferimento; lo sarà per tutti coloro che staccano i dividenti (rendita); per converso non lo sarà per le maestranze che sono costrette ad accettare maggiore produttività accollandosi nel contempo una riduzione del salario. Ma soprattutto non lo sarà per l’utenza, obbligata a pagare un prezzo più elevato a fronte di una riduzione del servizio. Ci si chiede come sia potuto accadere? Privatizzando e finanziarizzando ex società pubbliche mediante cui si offre la possibilità al rentier di godere rendite estrattive pluriennali, ma nel contempo si scarica sull’utenza l’incombenza di provvedere per sé.
Avviene di fatto un trasferimento di costi dal bilancio pubblico al portafoglio del singolo cittadino (aumento surrettizio dell’imposizione fiscale). Angelo ha ragione a dolersene, ma fin quando le conseguenze di questa estrazione permane e l’ortodossia economica non ritiene di “prezzare” le eventuali distorsioni che ricadono nell’economia reale (esternalità negative) non si potrà mai evocare la parola “efficienza”, almeno questa come scopo per raggiungere una equa distribuzione delle risorse e un’adeguata offerta pubblica (bene collettivo).
E’ vero, servono pratiche meno cervellotiche, ma soprattutto necessita un cambiamento paradigmatico della teoria economica, meno adesa agli interessi dei “pochi” (finanza) e più disponibile a soddisfare le istanze di quei “molti” scontenti (pendolari, studenti, onesti cittadini, piccoli imprenditori), i quali cominciano a credere che i principi democratici siano solo una colossale burla.
Il Ponte
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Angelo Marinoni – Nuovo anno, nuovi contratti, vecchi metodi: l’urgenza di razionalizzare il metodo per ottimizzare il merito
Recentemente l’assessore ai trasporti della Regione Piemonte Gabusi ha dato la notizia che è imminente la firma di un contratto decennale fra AMP, il consorzio regionale piemontese che deve farsi carico della programmazione dei servizi di trasporto pubblico e relativa contrattualizzazione, e Trenitalia per il servizio di trasporto ferroviario regionale. La notizia è senz’altro positiva per tutte le ragioni chiaramente espresse dall’assessore nella recente intervista su un media on line (stabilizzazione del servizio e possibilità di pianificazione con un interlocutore sul medio periodo fra i principali), ma la vicenda piemontese, descritta dall’assessore anche ad Alba in occasione dell’evento per la riapertura ai fini turistici della ferrovia Asti – Alba, dà l’opportunità di riflettere su un problema generale che, a torto, viene considerato un ineluttabile stato di fatto.
L’assessore ha fatto sapere che la regione dovrà investire, o meglio tirare fuori, 15 milioni annui dal proprio bilancio perché sia garantito l’attuale servizio minimo che, particolarmente in Piemonte Orientale, necessiterebbe di una significativa integrazione per poter essere accettabile.
La cifra va (anche) a compensare un contenzioso di cui non si conosce molto e di cui a livello regionale si discute poco lasciando il problema e chi lo deve risolvere e sta cercando, praticamente da solo, di farlo con i mezzi che ha a disposizione, non certo adeguati.
La domanda che nessuno si è posto è: ma è normale un paese dove un ente pubblico si indebita per garantire un servizio pubblico fornito da un’azienda pubblica?
La risposta è un limpido “no” per molte ragioni, di cui individueremo le principali.
Il primo perché Trenitalia è sì una azienda di diritto privato in quanto società per azioni, ma è di totale proprietà del Ministero ora della Mobilità Sostenibile.
Il secondo perché il trasporto ferroviario regionale è un servizio pubblico che lo Stato garantisce tramite finanziamento pubblico, principalmente attraverso il Fondo Nazionale Trasporti che eroga alle regioni per garantire il servizio.
Il fatto che quel fondo sia insufficiente e i criteri di distribuzione da riscrivere completamente è argomento connesso, ma non coincidente al nostro.
Poiché il trasporto pubblico dovrebbe essere una priorità nazionale gli enti deputati ad erogarlo non dovrebbero essere costretti a difficili trattative, specie con aziende pubbliche che, in quanto pubbliche, non dovrebbero avere come obiettivo un significativo ritorno di investimento, ma un opportuno equilibrio fra flusso di cassa ed efficacia orizzontale sul territorio nazionale della loro azione.
Diversamente se l’azienda è privata è normale che questa ricerchi un utile, che non è incompatibile con l’erogazione di un servizio pubblico, se si è in presenza di un modello gestionale efficacie e di una buona stesura del capitolato di gara.
Il trasporto pubblico è imprescindibile strumento di gestione territoriale, primario bene strumentale dei sistemi produttivi e ricchezza sociale insostituibile, non ultimo unico vero strumento utile alla transizione ecologica di cui tutta la classe dirigente e imprenditoriale parla (e delle volte straparla).
La Commissiona Europea con la direttiva 24 del 2014, il Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni del 2004, successivi al Libro Bianco sugli appalti pubblici del 1996 ha posto in evidenza i modelli di affido dei servizi pubblici, fra cui quelli di trasporto pubblico, trovando un equilibrio fra socialità e opportunità economiche, attraverso, principalmente, due modalità:
gestione in house: l’ente programmatore e gestore istituisce una sua azienda interamente pubblica deputata a gestire quanto di competenza con il solo criterio del servizio pubblico, l’azienda non può fare impresa al di fuori del suo mandato e fuori dai confini del territorio che l’ha creata;
gestione ad affido a operatore economico: gara o confronto competitivo dove il criterio di scelta sia la rispondenza ai requisiti di capitolato e il sistema di assegnazione risponda alla massima trasparenza.
Un inciso non banale: le infrastrutture esulano dai modelli gestionali e, secondo la normativa comunitaria, dovrebbero essere non solo pubbliche, ma direttamente gestite da chi scrive la politica dei trasporti e da questo rese accessibili paritariamente a tutti gli operatori economici autorizzati ad operare nel rispetto dell’indirizzo nazionale. Inutile dire che in Italia (ma non solo) questa linearità non è del tutto rispettata e non solo le imprese di trasporto, ma anche le industrie (pensiamo ai raccordi industriali) e gli enti locali hanno a disposizione un “catalogo” dove l’accesso e l’utilizzo del sistema patrimonio infrastrutturale delle ferrovie dello Stato è tariffato.
Per esempio, molte regioni pagano a Trenitalia il servizio attraverso un corrispettivo comprensivo del pedaggio e dell’uso infrastrutture che Trenitalia paga a RFI, ma Trenitalia e RFI sono entrambe gruppo FS e entrambe, quindi del Ministero della Mobilità Sostenibile …
Tornando ai due modelli gestionali “forniti” dall’UE riscontriamo che sono veramente pochi gli Enti che vi hanno fatto riferimento: citiamo cinque casi per due servizi ferroviari regionali (su oltre venti), due servizi di autobus e un servizio di trasporto locale provinciale su gomma e ferro rispetto ai quali facciamo qualche cenno:
Regione Autonoma Valle d’Aosta. La Regione ha scritto un capitolato per il servizio ferroviario Torino – Aosta e indetto una gara. La gara è stata vinta da Trenitalia che ora gestisce un servizio migliore a costi inferiori rispetto alla precedente gestione statale con lo stesso vettore, in ordine alla quale anche lì vi era un problema di corrispettivi non pagati. Ad ogni modo gara vinta da incombent, ma il metodo ha funzionato.
Regione Toscana: la regione ha messo a gara tutto il trasporto su gomma secondo un capitolato scritto da lei, non commento tecnicamente l’opportunità di un contenitore di quelle dimensioni, ma è interessante il metodo, che ha funzionato nonostante molti ricorsi (persi) che hanno rallentato di anni l’assegnazione.
Provincia Autonoma di Bolzano. Come in Toscana è stata indetta una gara per il servizio bus, di cui condivido il metodo della divisione per bacini con diversi percorsi di gara cui hanno partecipato varie imprese. Inutile dire che funziona tutto bene su una programmazione provinciale ineccepibile.
Provincia Autonoma di Trento. Qui è stato scelto l’in house, la Provincia ha istituito Trentino Trasporti che gestisce tutto il trasporto pubblico provinciale. Il servizio di trasporto pubblico è facilmente gestito per incentivare la mobilità collettiva e fornire un bene strumentale anche agli operatori economici, primariamente turistici. Non spreca risorse, ma fa servizio pubblico e non impresa.
Regione Lombardia ha fatto un combinato in house-PPP (Parteneriato Pubblico Privato) attraverso l’affido a Trenord del servizio ferroviario regionale. Trenord è 50% proprietà di Regione Lombardia che rappresenterebbe la parte pubblica e Trenitalia che rappresenterebbe la parte privata, ma già abbiamo detto che Trenitalia è proprietà del Ministero per cui è difficile inserire il caso in ambito preciso.
Esisterebbe un sesto caso, ma non può essere inserito nell’elenco per la complessa dinamica con cui si è manifestato, pur restando un esempio istruttivo di ottima idea e “cattive pratiche” da parte sia degli attori pubblici quanto degli attori privati coinvolti. In Piemonte il Sistema Ferroviario Metropolitano di Torino è stato assegnato tramite “confronto competitivo”, ma il travagliato iter ha prodotto un risultato con alcune ombre. Nel Libro Verde viene descritto il modello di “dialogo competitivo” ed è chiaro che questo possa essere una ottima risorsa, ma a condizione che il dialogo sia fra pari.
Fra le “cattive pratiche” del caso SFM si annovera l’anomala durata del procedimento (vari anni invece di sei mesi), la dinamica stessa del confronto dove i competitori hanno chiesto vari rinvii, l’ultimo chiesto dal competitore che non ha nemmeno presentato l’offerta, e risultati deludenti quanto a produzione (diminuzione complessiva della produzione come la sospensione della Rivarolo – Pont associata alla mancata riattivazione della Pinerolo – Torre Pellice e il perdurare di sospensioni periodiche di maglie di rete), la sostanziale evaporazione di un vettore ferroviario pubblico regionale come GTT e il passaggio a RFI della rete sociale con una sostanziale dismissione del patrimonio infrastrutturale regionale in funzione di un risparmio di investimento per rinnovo e di spesa corrente.
In tutto il resto d’Italia le singole regioni sono andate in trattativa con Trenitalia ed hanno approntato un contratto di servizio della durata media di quindici anni.
Il risultato è un servizio ferroviario gestito come se l’Italia fosse un arcipelago e, seppure alcuni contratti a livello locali funzionino bene, è innegabile la diseconomia di scala se si guarda con una visione della rete non viziata dai poco significativi (in termini socioeconomici) confini regionali.
Il risultato complessivo è un servizio disomogeneo più costoso rispetto a un modello gestionale diverso che possiamo pensare frutto dell’integrale di visioni locali e visione nazionale, dove le visioni locali sono i veri tessuti socioeconomici e non le “isole” regionali.
Il paradosso è che il contraente di tutte le “isole” è lo stesso, ed è lo stesso con cui lo Stato ha un contratto per un servizio universale (gli intercity) che hanno una distribuzione sul territorio né omogenea, né coerente per ragioni di carenza di pianificazione da parte statale.
Ora verrebbe naturale pensare che un ministero della Mobilità Sostenibile tutto debba tendere meno che a rendere complessa e costosa l’erogazione del trasporto pubblico, eppure così è stato, nonostante non si possa attribuirne la responsabilità all’attuale compagine ministeriale, ma ad una serie di errori e assenze ultradecennali, combinata quando non derivata dalla pessima riforma del titolo V della Costituzione e nello specifico dall’ altrettanto pessimo dlsg 422/97 che ne è attuazione in ambito trasporti.
In Piemonte la difficile situazione odierna è figlia di errori gestionali cominciati all’alba della regionalizzazione e pervicacemente reiterati fino alla loro cristallizzazione nel modello gestionale accentrato con l’AMP unica.
Ciò non di meno se in alcune regioni le scelte gestionali sono state più felici nel metodo, nel merito siamo a livello nazionale, privi di un sistema ferroviario interregionale veramente omogeneo e efficace di cui le lunghe percorrenze interpretate dai servizi a mercato non sono supplenti.
Il cosiddetto servizio a mercato in Italia non è solo schiacciato sulla legittima ricerca dell’utile dei vettori, ma subisce una deformazione data dagli incentivi pubblici di alcuni enti agli stessi vettori per raggiungere certe località non in una visione di rete, ma in una visione prettamente locale alimentando le disomogeneità e subordinando la razionalità della programmazione ai desiderata di singole amministrazioni sovrapponendosi ad un arcipelago di sistemi ferroviari locali impostati come vasi non comunicanti.
Il costo pubblico di questo scenario è molto alto sia in termini di iniquità sociale sia in termini di costo-opportunità rispetto a modelli gestionali in cui il servizio pubblico, comunque affidato, risponde ad una pianificazione ed a una organizzazione di rete.
Una netta separazione del servizio a mercato dal trasporto pubblico è un tema della pianificazione che può e deve essere affrontato da subito, mentre un progetto di rimodulazione dell’affido dei servizi regionali ormai deve rivolgersi alla seconda metà degli anni Trenta di questo secolo, dato che gli accordi delle varie “isole” sono stati fatti negli ultimi tre anni con l’impostazione del dialogo non competitivo all’italiana, auspicando di non assistere prima allo sbarco su Marte che alla partenza di un treno per Bologna da Alessandria.
Dalla stalla i buoi sono quasi tutti scappati, ma è ancora possibile lavorare sul ritorno della grande assente dei trasporti italiani, la pianificazione.
Non può certo definirsi pianificazione il susseguirsi di riunioni fra Ministero della mobilità sostenibile e associazioni di categoria del trasporto pubblico dalle quali continuano a emergere incentivi alla sostituzione dei veicoli, alla ricerca di rocamboleschi metodi di trazione alternativi, ad uno spostamento dei ragionamenti di pianificazione sui prerequisiti invece che sugli obiettivi.
I numeri sono significativi: si può serenamente affermare che se venisse investita una frazione di quanto verrà speso per sostituire veicoli circolanti variamente alimentati con altri a batterie o idrogeno in servizio offerto (trenokm e buskm) con le attuali tecnologie di trazione buona parte del paese che ora soffre di una carenza di trasporto pubblico enormemente impattante sul tessuto socioeconomico vedrebbe un radicale miglioramento dell’offerta con conseguente ribaltamento verso il positivo di tutti gli indici socioeconomici che, nelle aree diverse dalle città metropolitane. Ora puntano stabilmente e drammaticamente verso il negativo, oltre ad un netto miglioramento del contesto ambientale, costringendo l’industria automobilistica alla sua parziale conversione invece che in un rilancio di dimensioni epocali che m’immagino superiore alle sue più rosee aspettative proprio grazie a politiche definite green, come la e-mobility della narrazione dominante.
Quello che ancora si può fare per questo decennio é mettere le regioni e le province nelle condizioni di garantire in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale servizi efficaci con gli strumenti finanziari e contrattuali adeguati, siano questi aziende pubbliche controllate, siano questi le condizioni di accesso al mercato come stazione appaltante in grado di scrivere capitolati volti all’efficacia del servizio erogato.
Non ci devono essere pregiudiziali (nella sola regione Trentino Alto Adige si sperimentano con successo entrambe le modalità di affido), ma deve essere univoco l’obiettivo di diffondere e potenziare tutto il trasporto collettivo attraverso l’integrazione modale terra-aria-acqua superandone la perniciosa competizione e evitando l’inseguimento di certa logorrea che interpreta l’ambientalismo come una guerra manichea verso quelli che ha deciso con autoreferenziali argomenti i nemici.
Angelo Marinoni