
Mentre qui da noi ci si scanna sulla legittimità del green pass, tra no-vax, pro-vax, dubbiosi, incerti, filosofi, giuristi, virologi e santoni occasionali, la geo-politica mondiale sta evolvendo verso un nuovo paradigma: il realismo. Un surrogato “discreto” del nazionalismo. Perfetta l’analisi di Eric Posner.
America’s Return to Realism
Sep 3, 2021 ERIC POSNER
It was already clear that former President Donald Trump repudiated the humanitarian or quasi-humanitarian motives that underpinned US military interventions after the Cold War. But Joe Biden’s forceful renunciation of foreign-policy idealism is somewhat surprising.
CHICAGO – Il discorso del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in difesa del ritiro dall’Afghanistan contiene una rottura decisiva con la tradizione dell’idealismo in politica estera iniziata con Woodrow Wilson e che raggiunse il suo apice negli anni ’90. Mentre quella tradizione è stata spesso chiamata “internazionalismo liberale”, divenne anche la visione dominante della destra alla fine della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti, secondo gli internazionalisti liberali, dovrebbero usare la forza militare così come il loro potere economico per costringere altri paesi ad abbracciare la democrazia liberale e a difendere i diritti umani.
Tanto nella concezione quanto nella pratica, l’idealismo americano ha rifiutato il sistema internazionale del trattato di Westfalia, dalla cui stesura si evince il divieto da parte degli Stati d’intervenire negli affari interni degli altri, secondo cui la pace deriva dal mantenimento di un equilibrio di potere. Wilson cercò di sostituire questo sistema con principi universali di giustizia, amministrati da istituzioni internazionali. Durante la seconda guerra mondiale, Franklin D. Roosevelt fece rivivere questi ideali nella Carta Atlantica del 1941, che dichiarava come obiettivi di guerra l’autodeterminazione, la democrazia e i diritti umani.
Ma durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti perseguirono una politica estera decisamente “realista” che si concentrava sull’interesse nazionale, sostenendo o tollerando le dittature fintanto che si opponevano all’Unione Sovietica. I due rivali si servirono raramente delle istituzioni internazionali con i loro ideali universali se non per scopi di propaganda, utilizzando invece accordi regionali per cementare i loro alleati. Diversamente l’Europa, a partire dagli anni ’70, ha cercato di promuovere i diritti umani e d’assumere una posizione di leadership morale per distinguersi dai golia a est e a ovest.
L’impegno dell’America per i diritti umani è iniziato in un momento di debolezza. Sulla scia del disastro militare e morale del Vietnam.
Il presidente Jimmy Carter e il Congresso degli Stati Uniti cercarono d’infondere nella politica estera americana una finalità morale e con essa il linguaggio dei diritti umani. Il presidente Ronald Reagan li utilizzava come un comodo randello retorico per colpire l’Unione Sovietica. Ma entrambi i presidenti continuarono a sostenere le dittature che servivano a garantire la sicurezza agli Stati Uniti e nessuno dei due usò la forza militare per promuovere ideali umanitari. L’era dell’intervento umanitario guidato dagli Stati Uniti avrebbe dovuto attendere la fine della Guerra Fredda.
La retorica superò la realtà, ma la realtà è cambiata. In qualità di unico egemone globale, gli Stati Uniti si sono imbarcati in un gran numero di guerre, grandi e piccole, che hanno comportato un confuso miscuglio di ostinati interessi di sicurezza e retorica idealistica. A Panama, Somalia, Jugoslavia (due volte), Iraq (due volte), Libia, Afghanistan e altrove, gli Stati Uniti hanno lanciato interventi militari sia per motivi di sicurezza nazionale che umanitari.
Il mancato intervento nel genocidio ruandese del 1994 potrebbe essere stato il (non) evento più consequenziale di questo periodo, perché fu reinterpretato con il senno di poi come un’occasione mancata di usare la forza militare per salvare centinaia di migliaia di vite. La debacle è stata utilizzata per giustificare le guerre in Afghanistan e in Iraq e per sollecitare l’intervento militare statunitense in Sudan nei primi anni 2000, verso cui l’amministrazione del presidente George W. Bush saggiamente resistette, nonostante le uccisioni di massa che equivalsero a un altro genocidio.
Tutto ciò ha portato a una straordinaria esplosione d’interesse per il diritto internazionale e le istituzioni legali. Furono creati un numero maggiore di tribunali internazionali, che contribuirono all’istituzione di una Corte penale internazionale permanente. I trattati e le istituzioni sui diritti umani vennero rianimati e rafforzati. Si stabilirono i principi dell’intervento umanitario, inclusa l’ormai dimenticata “responsabilità di proteggere”. Ogni università occidentale al giorno d’oggi ha un centro per i diritti umani di qualche tipo che risulta essere una testimonianza dell’idealismo di quell’epoca.
Era già scontato che il presidente Donald Trump ripudiasse questa tradizione d’intervento militare umanitario o quasi umanitario, ma la forte rinuncia di Biden ad essa è alquanto sorprendente. Nel suo discorso, ripetutamente sottolineò l’importanza d’identificare e difendere “l’interesse nazionale vitale” dell’America. La parola “nazionale” è fondamentale e Biden non è stato tanto discreto:
“Se fossimo stati attaccati l’11 settembre 2001, dallo Yemen invece che dall’Afghanistan, saremmo mai andati in guerra in Afghanistan? Anche se i talebani controllavano l’Afghanistan nel 2001? Credo che la risposta onesta sia no. Questo perché non avevamo alcun interesse vitale in Afghanistan se non quello di prevenire un attacco nei confronti dell’America e ai nostri amici. Ed è vero oggi”.
L’America non aveva alcun interesse vitale nell’introdurre la democrazia in Afghanistan, nell’aiutare le donne a sfuggire da un regime teologico medievale, nell’educare i bambini o nell’aiutare a prevenire un’altra guerra civile. La sua decisione di ritirarsi dall’Afghanistan è stata:
“quella di mettere fine a un’era di grandi operazioni militari per ricostruire altri paesi. Abbiamo assistito a una missione di antiterrorismo in Afghanistan, che costrinse i terroristi a fermare gli attacchi, trasformarsi in una contro-insurrezione, costruire una nazione, cercando di creare un Afghanistan democratico, coeso e unito. Qualcosa che non è mai stato fatto in molti secoli di storia dell’Afghanistan [sic]. Voltare pagina da quella mentalità e da quel tipo di schieramento di truppe su larga scala ci renderà più forti, più efficaci e più sicuri a casa nostra”.
Biden ha anche affermato che i diritti umani rimarranno “il centro della nostra politica estera” e che gli strumenti economici e la persuasione morale possono essere utilizzati per promuoverli. Questa enunciazione è in contraddizione con la sua dichiarazione che gli “interessi nazionali vitali” dovrebbero determinare l’intervento militare. Perché gli interessi nazionali vitali non dovrebbero determinare anche forme di intervento non militare?
Chiaramente, il ruolo dei diritti umani e di altri ideali morali nella politica estera degli Stati Uniti è stato declassato. L’unica domanda è se la retorica sarà modificata per adeguarsi alla nuova realtà.
Naturalmente, non è mai stato molto chiaro se i governi degli Stati Uniti fossero effettivamente motivati da considerazioni umanitarie. I critici hanno spesso trovato motivi più nefasti.
Gli storici futuri potrebbero sostenere che la politica estera degli Stati Uniti negli anni ’90 e 2000 stava semplicemente portando avanti una visione molto ambiziosa per l’interesse nazionale: l’America richiedeva a tutti i paesi d’adottare ideali e istituzioni americane in modo che nessuno potesse agire contro l’America. Oppure potrebbero dire che, come ogni impero, gli Stati Uniti non ebbero la pazienza e la saggezza per mantenere una posizione coerente su come gestire le proprie periferie del mondo.
In ogni caso, l’idealismo in realtà non è così idealistico quando un paese ha abbastanza potere, e l’unica cosa che è chiara ora è che l’America non ne ha a sufficienza. L’opposizione ai suoi obiettivi di perseguire politiche che richiamassero la propria costruzione economica-istituzionale nazionale dopo la Guerra Fredda prese la forma del terrorismo internazionale. Cina e Russia non hanno abbracciato obbedientemente la democrazia. E gran parte del resto del mondo è tornato a varie forme di nazionalismo e autoritarismo.
Con la caduta dell’Afghanistan sotto i talebani, i limiti del potere americano sono finalmente diventati evidenti.
Molte persone, e non solo i leader delle potenze ostili, celebreranno la punizione americana. Ma è improbabile che la sovrastruttura morale dei diritti umani riesca a sopravvivere senza che nessun paese sia disposto a usare la forza militare per sostenerla.
Eric Posner, a professor at the University of Chicago Law School, is the author of the forthcoming How Antitrust Failed Workers.