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Scalo ferroviario di Alessandria

di Angelo Marinoni

I media locali stanno riportando con viva enfasi il disagio da più parti segnalato della decadenza dello scalo ferroviario alessandrino. Va detto che la situazione è la stessa da anni e non sono i pochi e intermittenti servizi di stazione a dare il segnale di pericolo per una situazione di gravità enorme.

Una gravità che riguarda principalmente un quadro orario indecoroso, privo di destinazioni fondamentali sul lungo raggio (Roma, Bologna … ) sia sul corto raggio (Alba, Ovada) e con modalità di erogazione di servizi esistenti assolutamente inadeguate (Milano, Novara-Sempione, Acqui-Savona) e solo periodiche (Casale) o mediocri (Genova-La Spezia).

Su Alessandria la situazione attuale ha dell’incredibile e le responsabilità sono davvero tante e distribuite nel tempo e nello spazio – nel tempo direi gli ultimi vent’anni, nello spazio direi Torino e provincia principalmente – ma se Torino fa piangere dal 97,  Roma non fa ridere.

Roma non fa ridere perché gli ultimi venti anni non hanno visto un piano nazionale dei trasporti che possa essere così definito, e ora non c’è più nemmeno un ministro dei trasporti da cui pretenderlo (sarebbe fondamentale avere un ministero delle infrastrutture e uno dei trasporti e della navigazione).

E Roma non fa ridere perché se il servizio regionale è “quella cosa lì” che vediamo nei quadri orari e il servizio interregionale è derubricato a locale per una aberrazione normativa derivata dalla pessima riforma del titolo V,  il servizio universale è un brand del principale vettore a tariffa agevolata più che un servizio pubblico

È chiaro che un paese che inventa incumbent pubblici di diritto privato che utilizzano per mandato il patrimonio pubblico, i quali sono deputati a gestire come un bene aziendale su cui monetizzare profitto (non reinvestito), non può aspettarsi alcun concetto di servizio pubblico.

Su Alessandria la demolizione del trasporto pubblico è cominciata da tempo e non mi dilungo. Tempi e metodi per invertire la tendenza sono oggetto di studi, molti anche miei, ed esulano da questo contributo alla discussione.

Ciclicamente poi compare lo scoramento sulla contrazione delle operazioni sullo scalo merci, la nostra stazione di Alessandria Smistamento, la più grande area ferroviaria del Paese, ma su questo tema va rimarcato che, nonostante una ostilità incredibile di molti attori si sia mossa una utile e concreta riprogettazione in corso da parte di UIRNET con RFI che porterà lo scalo a essere uno smistamento ferroviario come sua vocazione entro due anni, salvo nuovi imprevisti e non auspicati stop.

Andrebbe anche rimarcato che nonostante ogni tentativo di affossarlo e un depotenziamento al 20% in vent’anni il traffico è spesso al massimo della capacità dimostrando che le difficoltà non hanno sfiancato l’orso grigio anche vestito da ferroviere.

 A livello regionale l’ultimo vero progetto di piano dei trasporti (non divenne, purtroppo, un piano regionale dei trasporti) ma restò un (ottimo) documento fu firmato dall’allora assessore Borioli nel 2010, dopo quel momento di alta progettazione una crisi progettuale tanto ripida quanto veloce.

Quello attuale, uscito con la giunta regionale precedente e molto diverso dal documento 2010, necessita di una radicale revisione e non è bastata la buona volontà dell’assessore regionale precedente Balocco come non basterà quella dell’attuale Gabusi se non ci si pongono adeguati obiettivi da subito a livello nazionale e non si invertono i processi di revisione del libro bianco dei trasporti a livello comunitario. A livello statale gli ultimi indirizzi degni di nota furono durante il ministero Del Rio, ma agli indirizzi non seguirono gli adeguati approfondimenti e conseguenti applicazioni con la conseguenza di interpretazioni sia a livello nazionale che locale, gravemente compromissorie dei risultati auspicati, una per tutte “la cura del ferro”.

Per riportare spazi e rotaie a servizio del cittadino e dell’impresa  questi devono essere resi disponibili e fruibili,  non inseguiti e messi a tariffe a mercato quando non fuori dallo stesso.

Questo lo fa un Ministero che usa le sue infrastrutture per creare servizi sulla base di un indirizzo politico, mentre una spa, seppure pubblica, senza indirizzo lascia, per esempio, a destino sospeso parte importante del più grande patrimonio immobiliare del paese (che sarebbe roba pubblica) e pone a pagamento i raccordi industriali e i binari, invece di inseguire le imprese per regalarglieli invitandole a usare le ferrovie.

Del resto, potrebbe farlo senza avere un mandato ministeriale? Quel mandato da anni non c’è e non si parla di darlo, ma quel mandato è drammaticamente urgente. In conclusione torno a quei servizi di terra che hanno dato il via alle amare considerazioni sulle condizioni dello scalo alessandrino.

Va rimarcato che i servizi di terra offerti dal vettore  andrebbero discussi, cosa che non so se sia mai stata fatta, in sede di stipula contrattuale con il fornitore dei servizi, contratto che ora il settore regionale piemontese non ha per contenziosi in essere.

Esiste, poi, l’accordo quadro Regione-RFI che disciplina la capacità della rete richiesta al gestore infrastruttura dalle regioni per il servizio regionale e quello piemontese è un po’ come l’arca dell’alleanza, pare che esista, ma non ne sono certi i contenuti da quando esiste questo istituto.

Altrove è,  ovviamente, correttamente disponibile in rete, ma questa è un’altra (complicata) storia ultradecennale.

Angelo Marinoni

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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