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Cina

In occidente il Covid 19 sta assorbendo tutte le nostre energie e attenzioni a tal punto che il lento scivolamento tettonico, cui da qualche anno si sta verificando tra le due attuali forme di capitalismo, l’autocratico cinese in palese competizione con quello liberale occidentale, non coinvolge ancora come dovrebbe il dibattito politico internazionale. La pandemia ha accelerato ciò che era già in fieri all’indomani della nomina di Mr Xi alla guida del Partito Comunista Cinese.

Queste scosse sismiche, ancora con bassa magnitudo, le si possono registrare scorrendo il mutamento di tono nei confronti del Dragone da parte di una delle più importanti e celebrate pubblicazioni internazionali: il The Economist. Il settimanale di St James Street (ma non solo) da sempre comprensivo e strumentalmente tollerante nei confronti della Cina, a partire dall’esplosione della pandemia in poi, carica con maggior polvere pirica le “sparate” nei confronti dell’autoritarismo cinese – la sfacciata manipolazione del tasso di cambio, ecc. – paventando l’ipotesi di futuri guai.

La Cina è accusata, pur con una certa delicatezza terminologica, di adottare una politica aggressiva – il serio diverbio con l’Australia – tendente a infangare i principi democratici occidentali, presentandosi come il campione dell’efficienza “autocratica”, i cui segnali allusivi vengono lanciati per attivare l’interesse delle classi dirigenti africane e sudamericane.  Insomma: una Cina imperialista, che mira a creare una struttura di relazioni politico-militari-economiche, come quella che fu il COMINTERN sovietico.

“Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, verrebbe dire all’autorevole stampa liberale internazionale.

How China’s Communist Party trains foreign politicians

Across the world it is seeking to sway tomorrow’s leaders

All’inizio di dicembre Xi Jinping, il leader cinese, ha dichiarato che il Partito comunista aveva rispettato una sua autoimposta scadenza. La povertà estrema (definita come il guadagno o poco più di 1 dollaro al giorno) è stata sradicata dalla Cina. Naturalmente, il partito desidera raccontare agli altri il suo successo nella lotta alla povertà. In ottobre ospitò un seminario virtuale di due giorni sull’argomento per quasi 400 persone provenienti da più di 100 paesi. I partecipanti citati dai media ufficiali elogiarono i progressi della Cina.  

Ma il raduno non riguardava solo la crescita del reddito dei bisognosi. Aveva anche lo scopo di mettere in mostra il modello politico cinese.

In Occidente, recentemente, l’immagine della diplomazia cinese viene definita sempre più  aggressiva. Alcuni dei suoi diplomatici sono stati soprannominati “i guerrieri lupo” a causa della loro abitudine di ringhiare contro i critici stranieri (l’etichetta si riferisce al titolo di un film cinese sciovinista). Al pubblico non occidentale, al contrario, i funzionari cinesi parlano con toni bassi. Predicano le virtù di una forma di governo che credono stia arricchendo la Cina e possa aiutare anche altri paesi. Alcuni, anche nelle democrazie multipartitiche, accolgono con favore questo messaggio. Al forum sull’alleviamento della povertà, il segretario generale del Jubilee Party al potere in Kenya, Raphael Tuju, affermò che il Partito comunista cinese dovrebbe essere un esempio per il suo.

Nel 2017 il signor Xi suscitò scalpore in Occidente suggerendo che il modello di sviluppo cinese offrisse “una nuova opzione” per altri paesi e che un “approccio cinese” potrebbe aiutare a risolvere i problemi dell’umanità. Anche se egli in seguito insistette sul fatto che il suo paese non aveva intenzione di esportare un “modello cinese“, anche se la classe dirigente del paese, in sostanza, lo hanno fatto proprio. Alcuni di coloro che sono impegnati in questo sforzo appartengono alla Ministero degli Esteri. Ma molti, come quelli che hanno organizzato il recente seminario sulla povertà, lavorano per un ramo del Partito Comunista chiamato Dipartimento Internazionale.

Il suo compito è ottenere il sostegno per la Cina tra i partiti politici stranieri.

Il dipartimento è ben adatto al compito. Poiché, sebbene non rappresenti direttamente lo stato cinese e non ha alcun ruolo da svolgere nello controversia verbale, ma come branca del partito ha una notevole autorità. Lavora a stretto contatto con il Ministero degli Esteri e scambia personale con esso.

Verso la fine del 2017 si organizzò una convenzione a Pechino in cui parteciparono leader e altri membri di partiti politici di 120 paesi. Alcuni delegati provenivano da ricche democrazie come il Giappone, la Nuova Zelanda e l’America. (furono invitati sia repubblicani che democratici.) Mr. Xi tenne il discorso programmatico. Molti partecipanti firmarono una dichiarazione, la cosiddetta “Iniziativa di Pechino“, lodando il Partito Comunista e il signor Xi. Il dipartimento ha pochi scrupoli riguardo al tipo di partiti politici con cui interagisce. “Tratteranno con partiti di destra e con quelli di sinistra e con chiunque altro“, c’informa David Shambaugh della George Washington University.

Sotto Mr Xi Jinping, una delle attività principali del dipartimento è stata l’organizzazione di sessioni di formazione per i partiti politici stranieri, in particolare quelli riguardante i paesi in via di sviluppo.

Non dice apertamente che l’autoritarismo sia cosa buona. Ma la sua missione è chiaramente quella di promuovere le virtù di una forte leadership centralizzata.

A novembre, Song Tao, il capo del dipartimento, affermò in un briefing online ai leader del partito di 36 paesi dell’Africa subsahariana che i risultati del partito per quanto concerne lo sviluppo [economico] sono la conferma della saggezza dei piani quinquennali. “Il sistema cinese“, rivolgendosi ai partecipanti, potrebbe “servire come riferimento“. Inoltre, aggiunse che “solo sostenendo la leadership del partito” tali piani potrebbero “rimanere sulla giusta strada“.

Durante la pandemia, gran parte delle istruzioni del dipartimento furono condotte online, spesso concentrandosi sui risultati della Cina nello schiacciare il covid-19 (una lezione: le misure severe funzionano). Così come si fece per l’esposizione del tomo in tre parti di Xi Jinping, “The Governance of China“. Negli ultimi mesi in questi seminari parteciparono funzionari dei partiti al potere in Angola, Congo-Brazzaville, Ghana, Mozambico, Panama e Venezuela.

I siti web ufficiali in Cina spesso pubblicizzano questi sforzi. In uno dei tanti si descrive una cerimonia di inaugurazione nel 2018 per una scuola ideologica finanziata dalla Cina in Tanzania. Vi parteciparono, con il signor Song capo del dipartimento, funzionari del partito al governo provenienti da Tanzania, Sud Africa, Angola, Mozambico, Namibia e Zimbabwe.

In democrazie come il Ghana, il Kenya e il Sudafrica, il dipartimento sponsorizza viaggi in Cina da parte di membri del partito al governo per lo studio della costruzione e della governance della propria organizzazione politica. Joshua Eisenman dell’Università di Notre Dame, esperto delle attività del dipartimento in Africa scoprì che nel 2018 il New Patriotic Party (Npp) di centrodestra al governo del Ghana chiese quel tipo di formazione in parte per “approfondire le proprie capacità ideologiche“. L’ex partito al governo del Ghana, il National Democratic Congress (NDC), ha inviato in Cina dozzine di appartenenti al suo staff per acquisire strumenti di conoscenza in tal senso. La NDC ha anche aperto una scuola di leadership in Ghana. Utilizza materiale didattico ideato dal Partito Comunista Cinese.

Non è chiaro cosa guadagnino i membri del partito straniero dalle sessioni di formazione in Cina. Possono essere nient’altro che un mezzo per avanzare nella carriera o per rendere un omaggio rituale alla saggezza del signor Xi o per cattivarsi la sua benevolenza: la Cina è una preziosa fonte di prestiti e investimenti in molti paesi in via di sviluppo. I seminari possono essere alcolici viaggi di piacere, noiosi sonnellini o entrambi. Un loro [frequentatore] veterano egiziano dice che non sono affatto rigorosi; li ha paragonati a l’esperienza a una “vacanza gratuita“.

Il dipartimento afferma di avere contatti con più di 600 organizzazioni politiche in oltre 160 paesi. Sotto Mr. Xi tali impegni sono cresciuti. Christine Hackenesch e Julia Bader, scrivendo per International Studies Quarterly, hanno scoperto che il numero di riunioni tra i partiti [Cinese e non] di alto livello è aumentato di oltre il 50% tra il 2012 e il 2017, fino a oltre 230 all’anno. Martin Hala di Sinopsis, che monitora le attività della Cina nell’Europa centrale, lo ha definito pari alla formazione di un “nuovo Comintern“, un riferimento al vecchio movimento comunista internazionale guidato dai sovietici.

Tuttavia, c’è una differenza fondamentale. La Cina non predica il comunismo. Il suo scopo, piuttosto, è mostrare che un paese può diventare più ricco senza essere democratico.

Quel messaggio trova orecchie attente tra i politici che trovano fastidiosi i controlli e gli equilibri della democrazia. A giugno al sig. Tuju del Kenya (il sostenitore per la Cina al seminario anti-povertà di ottobre) gli è stato contestato da un lettore di un quotidiano di Nairobi l’affetto del suo partito per quello comunista cinese. Egli ha risposto che non vedeva cosa ci fosse di sbagliato nell’ “imparare dal maggior successo e dalla migliore conduzione” che consegue un partito nel mondo. ■

https://www.economist.com/china/2020/12/10/how-chinas-communist-party-trains-foreign-politicians?utm_campaign=editorial-social&utm_medium=social-organic&utm_source=facebook&fbclid=IwAR2XVIj5ovswAonnM-YiHJenErKtPHA2IXBYwUU8IUC0wklSZTiMLP5avn4
Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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