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Robert Reich

Ancor prima che la Presidenza Biden venisse ratificata, il potente mondo economico e affaristico finanziario di WS, – dal quale, grazie a Trump, ottenne enormi favori e lauti guadagni – attraverso un preordinato tam tam mediatico, incoronava il nuovo arrivato come l’uomo della provvidenza, il saggio pacificatore di un’America divisa e avvelenata dal turbine del becero populismo, la cui futura destinazione non potrà essere altra che l’ampia “soffitta” della storia. Parole come “appeasement” “reconciliation”, ultimamente quasi scomparse nella dialettica politica americana, risalivano la china nel dibattito scritto e parlato tra i vari commentatori.

The situation smacks of”, è una espressione idiomatica anglosassone che significa: “il caso puzza di”. Infatti, “the situation smacks of centrism”, come se si ritenesse che la gran parte della base operaia bianca del Wisconsin, Illinois e Michigan, la “rust belt” per intenderci – quella che votò nel 2016 contro il centrismo di Hillary, optando per Trump – si fosse riconvertita d’incanto al moderatismo; quasi come se questa fosse rimasta completamente indifferente e insensibile al proselitismo politico della sinistra progressista americana, condotto con alacrità in questi ultimi quattro anni.

Ciò che costoro si aspettano da Biden non è il “business as usual” di WS, bensì il ripristino dell’Obamacare, il salario minimo a 15 $/ora, maggiori tutele e diritti sociali e sindacali, la cancellazione del debito studentesco, un’economia che tenga conto dei diversi portatori d’interesse e non solo degli azionisti, regole che limitino il potere dei grandi monopoli, migliori standard di vita, e infine un ambiente più sano che permetta loro di recuperare quel tasso di speranza di vita che con l’avvento della teorica liberista si è notevolmente ridotto.  

Bernie Sanders, Robert Reich, Elizabeth Herring Warren, Michael Moore, Joseph Stiglitz, sono state tra le più rappresentative figure che hanno condotto queste battaglie, incessantemente, il cui esito in parte è confluito nella vittoria di Biden, e non certo gli gnomi di WS o i gattopardeschi centristi del “giorno dopo” che stanno per accamparsene il merito.

Per capire quanto il populismo anti-establishment trumpiano non sia stato per nulla arginato, nonostante la vittoria Democrat, basterebbe rileggere l’editoriale, pubblicato sul Guardian, scritto da Robert Reich, qualche mese fa, nel corso di questa velenosa campagna presidenziale.

The Guardian (UK) – Amid talk of civil war, America is already split – Trump Nation has seceded

Robert Reich

The president thrives on division, speaks of ‘we’ and ‘them’ and encourages violence. No wonder we fear he won’t accept defeat

Su che cosa realmente verte lo scontro in America in attesa delle prossime elezioni? Non su di una particolare questione. Non lo è nemmeno riguardo a Democratici contro Repubblicani. La disputa di fondo è su Donald J. Trump.

Prima di Trump, la maggior parte degli americani non era particolarmente appassionata di politica. Ma il “Modus Operandi” di Trump è stato quello di costringere le persone ad appassionarsi a lui, a schierarsi in modo aggressivo a favore o contro, considerando sé stesso il presidente solo dei primi, che lui chiama “il mio popolo”. Trump è entrato in carica senza alcun programma se non per nutrire il suo mostruoso ego. Non ha mai fomentato la sua base. E’ la sua base che lo ha ingigantito, la cui adorazione nei suoi confronti lo sostiene.

Allo stesso modo funziona l’antipatia da parte dei suoi detrattori. I presidenti di solito cercano di placare i loro critici. Trump ha fatto di tutto per offenderli. “Faccio scoppiare la rabbia“, disse senza scusarsi a Bob Woodward nel 2016. In questo modo, ha trasformato l’America in una gigantesca proiezione del proprio narcisismo patologico. La sua intera piattaforma di rielezione la si trova nel suo uso dei pronomi “noi” e “loro“. “Noi” sono le persone che lo amano, la Trump Nation. “Loro” lo odiano.

Nel tardo agosto, verso la fine di un discorso sonnolento al South Lawn della Casa Bianca, accettando la nomina repubblicana, Trump ha improvvisato: “Il fatto è che siamo qui – e loro non ci sono” ha attirato una standing ovation. In una recente conferenza stampa della Casa Bianca, un corrispondente della CNN gli ha chiesto se avesse condannato il comportamento dei suoi sostenitori a Portland, in Oregon. In risposta, ha replicato accusando: “I tuoi sostenitori, e sono davvero i tuoi sostenitori, che hanno sparato a un giovane gentiluomo“.

Agli occhi di Trump, la CNN esiste in un altro paese: l’Anti-Trump Nation.

Così fanno i presunti rivoltosi e saccheggiatori dell’ “America di Biden“. Così fanno gli abitanti degli stati blu [democratici], le cui detrazioni fiscali statali e locali sono state eliminate da Trump. Così fanno quelli che vivono nelle “città democratiche“, come le chiama lui, nei confronti delle quali sta cercando di tagliare i finanziamenti.

La California è una parte importante dell’Anti-Trump Nation. Trump voleva respingere la sua richiesta di aiuto per combattere gli incendi “perché era così furioso che le persone nello stato della California non lo sostenessero“, disse l’ex capo dello staff del Dipartimento della sicurezza interna Miles Taylor.

New York è la capitale dell’Anti-Trump Nation, che probabilmente ha contribuito lo scorso marzo a “sminuire” la minaccia del Covid-19, quando la sua virulenza sembrava in gran parte confinata in quella metropoli. Anche ora, Trump afferma che il tasso di mortalità per Covid-19 negli Stati Uniti sarebbe basso “se si eliminassero gli stati blu” [Democratici]. Non è vero, ma non è questo il punto.

Per Trump, gli stati blu non contano perché sono l’Anti-Trump Nation.

Per Trump e per i suoi principali sostenitori e accoliti, le leggi della Trump Nation lo autorizzano a fare quello che vuole. Le leggi dell’Anti-Trump Nation lo vincolano, ma sono illegittime perché promulgate e fatte rispettare dalle persone che lo rifiutano.

Quindi, la telefonata di Trump al presidente dell’Ucraina in cerca di aiuto per le elezioni è stata “perfetta”. Andava bene per la Russia schierarsi con lui nel 2016, e va bene che lo faccia di nuovo. E naturalmente il dipartimento di giustizia, il servizio postale e i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie dovrebbero aiutarlo a vincere la rielezione. Stanno tutti aiutando la Trump Nation.

Secondo una simile logica contorta, l’Anti-Trump Nation è pericolosa. Quindi, dice Trump, l’adolescente armato che ha ucciso due persone a Kenosha, nel Wisconsin, ha agito per “autodifesa”, senonché il sospetto assassino di un cittadino di destra a Portland ha meritato la “punizione” che ha ricevuto quando i federali lo hanno ucciso.

Ne consegue che se perde le elezioni, Trump non accetterà il risultato perché sarebbe il prodotto dell’Anti-Trump Nation, e Trump non è il presidente di cittadini che voterebbero contro di lui. Come ha affermato di recente, “L’unico modo per perdere queste elezioni è qualora l’elezione venisse truccata“.

Nelle menti deformate di Trump e dei suoi accoliti, questo potrebbe portare alla guerra civile. Proprio questa settimana si è rifiutato di impegnarsi per una transizione pacifica del potere. Il suo consigliere Roger Stone lo esorta a dichiarare, nel caso perdesse, la “legge marziale“. Michael Caputo, assistente segretario alle relazioni pubbliche presso il Dipartimento della salute e dei servizi umani, avverte che “la sparatoria inizierà” quando Trump si rifiuterà di cedere il potere.

Una guerra civile è improbabile, ma le settimane e forse i mesi dopo il giorno delle elezioni saranno sicuramente difficili. Anche se Trump sarà alla fine costretto a rinunciare al potere, i suoi seguaci principali continueranno a vederlo come il loro leader. Qualora lo mantenesse, molti, se non la maggior parte degli americani, considereranno la sua presidenza illegittima.

Quindi, qualunque cosa accada, prevarrà l’ego megalomane di Trump. L’America si sarà distrutta per lui e la Trump Nation si sarà separata dall’Anti-Trump Nation.

Robert Reich, a former US secretary of labor, is professor of public policy at the University of California at Berkeley and the author of Saving Capitalism: For the Many, Not the Few and The Common Good. His new book, The System: Who Rigged It, How We Fix It, is out now. He is a columnist for Guardian US

https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/sep/27/donald-trump-american-civil-war-joe-biden-republicans-democrats-robert-reich?fbclid=IwAR0Jhkf6DGophnK3X9mgCinaUvDC47njw2H_sD8oysAh4JFH5Jw90mVwXkc

Franco Gavio

Dopo il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Politiche ha lavorato a lungo in diverse PA fino a ricoprire l'incarico di Project Manager Europeo. Appassionato di economia e finanza dal 2023 è Consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Dal dicembre 2023 Panellist Member del The Economist.

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