Sono passati circa trenta mesi da quando Joseph Stiglitz scrisse questo post per Project Syndicate. A quel tempo i Democrats stavano ancora leccandosi le ferite dopo la cocente e inattesa batosta subita due anni prima dalla Clinton da parte di Trump. A circa duecento giorni dalle prossime elezioni presidenziali e senatoriali i Democrats, per loro indiscusso merito, si presentano uniti e combattivi al seguito del loro candidato presidenziale, Joe Biden. Il partito, nel complesso, annuncia una piattaforma politica progressista, distanziandosi dal precedente morbido centrismo della Clinton. I sondaggi sono molto confortanti, tuttavia le incognite rimangono tali, poiché il sistema elettorale americano premia lo “spazio” e non il “numero” e per giunta conserva la caratteristica della “volontarietà”. Ciò significa che qualsiasi cittadino americano libero di poter esercitare il proprio diritto politico (right-holder citizenship) deve manifestare fisicamente e consapevolmente (pre-registrandosi) tale diritto nella veste di elettore attivo al servizio della sua comunità d’appartenenza.
Qui, sta il punto politico. Riuscirà il Partito Democratico, e in particolare Joe Biden, a portare al voto quella fascia di elettorato di colore, attualmente sfiduciata, quella stessa che garantì a Barack Obama di annichilire per ben due volte l’insorgenza suprematista conservatrice?
When Shall We Overcome?
Mar 12, 2018 JOSEPH E. STIGLITZ
In 1968, the year after riots erupted in cities throughout the US, the Kerner Commission, established by President Lyndon B. Johnson, famously concluded that the country was “moving toward two societies, one black, one white – separate and unequal.” Sadly, it is a conclusion that still rings true.
NEW YORK – Nel 1967, scoppiarono rivolte in tutte le città degli Stati Uniti, da Newark, New Jersey, a Detroit e Minneapolis nel Midwest – addirittura due anni dopo che il quartiere di Watts, Los Angeles, esplose violentemente. In risposta, il presidente Lyndon B. Johnson nominò una commissione, guidata dal governatore dell’Illinois Otto Kerner, per indagare sulle cause e proporre misure per affrontarle. Cinquant’anni fa, la Commissione consultiva nazionale per i disordini civili (più ampiamente conosciuta come la Commissione Kerner), pubblicò il suo rapporto, fornendo un chiaro resoconto delle condizioni che sussistevano in America e da cui emersero i disordini.
La Commissione Kerner descrisse un paese entro il quale gli afro-americani hanno subito discriminazioni sistematiche, hanno sofferto di una inadeguata mancanza d’istruzione e d’alloggio e non hanno avuto accesso alle opportunità economiche. Per loro, non ci fu nessun sogno americano. La causa principale dipese “dall’atteggiamento e dal comportamento razziale degli americani bianchi nei confronti degli americani neri. Il pregiudizio razziale ha plasmato in modo decisivo la nostra storia; ora minaccia di influenzare il nostro futuro.“
Facevo parte di un gruppo convocato dalla Fondazione Eisenhower per valutare quali progressi fossero stati compiuti nel corso del successivo mezzo secolo. Purtroppo, il paragrafo del rapporto della Commissione Kerner che acquisì maggior notorietà recitava: “La nostra nazione si sta muovendo verso due società, una nera, una bianca – separate e disuguali” – corrisponde ancora al vero.
Il libro appena pubblicato basato sui nostri sforzi, Healing Our Divided Society: Investing in America Fifty Years After the Kerner Report, a cura di Fred Harris e Alan Curtis, fornisce un quadro desolante. Come ho scritto nel mio capitolo, “Alcune aree problematiche identificate nel Rapporto Kerner sono migliorate (partecipazione alla politica e al governo da parte dei neri americani – simboleggiata dall’elezione di un presidente nero) – alcune sono rimaste le stesse (disparità d’istruzione e occupazione), infine altre sono peggiorate (disuguaglianza di ricchezza e reddito) “. Altri capitoli del report trattano uno degli aspetti più inquietanti della disuguaglianza razziale americana: la disuguaglianza nel garantire l’accesso alla giustizia, rafforzata da un sistema d’incarcerazione di massa in gran parte mirato [a colpire] agli afro-americani.
Non c’è dubbio che il movimento per i diritti civili di mezzo secolo apportò miglioramenti. Una varietà di forme palesi di discriminazione è stata resa illegale. Le norme sociali sono cambiate. Ma estirpare il razzismo radicato e istituzionale si è rivelato difficile. Peggio ancora, il presidente Donald Trump ha sfruttato questo razzismo alimentandolo con il furore del bigottismo.
Il messaggio centrale del nuovo rapporto riflette la grande intuizione che ebbe il leader dei diritti civili Martin Luther King, Jr.: il pervenire alla giustizia economica per gli afro-americani non può essere separato dal raggiungere le opportunità economiche per tutti gli americani. King chiamò la sua marcia dell’agosto 1963 su Washington: una marcia per il lavoro e la libertà. Manifestazione alla quale mi unii e durante la quale pronunciò il suo discorso risuonante e indimenticabile, “I have a Dream“. Eppure, il divario economico negli Stati Uniti è cresciuto molto di più, con effetti devastanti su coloro che non hanno un’istruzione universitaria, un gruppo che comprende quasi i tre quarti degli afro-americani.
Oltre a ciò, la discriminazione è dilagante, se non spesso nascosta. Il settore finanziario americano prese di mira gli afro-americani sfruttandoli, soprattutto negli anni precedenti la crisi finanziaria, vendendo loro prodotti volatili con commissioni elevate che potevano, e di fatto andarono gambe all’aria. Migliaia di persone persero la casa e alla fine la disparità di ricchezza, già grande, aumentò ancora di più. Una delle principali banche, la Wells Fargo, pagò ingenti multe per aver addebitato tassi di interesse più elevati ai mutuatari afroamericani e latini; ma nessuno fu veramente ritenuto responsabile per gli altri numerosi abusi. Quasi mezzo secolo dopo l’emanazione delle leggi antidiscriminazione, il razzismo, l’avidità e il potere di mercato continuano a lavorare congiuntamente a svantaggio degli afro-americani.
Vi sono, tuttavia, diverse ragioni per sperare. Innanzitutto, la nostra comprensione della discriminazione è cresciuta. All’epoca, l’economista premio Nobel Gary Becker poteva scrivere che in un mercato competitivo la discriminazione era impossibile; il mercato farebbe aumentare il salario di chiunque fosse sottopagato. Oggi, comprendiamo che il mercato è pieno di imperfezioni – comprese quelle relative alle informazioni e alla concorrenza – le quali offrono ampie opportunità di discriminazione e di sfruttamento.
Inoltre, ora riconosciamo che gli Stati Uniti stanno pagando un prezzo elevato per la disuguaglianza e un prezzo particolarmente alto per la sua disuguaglianza razziale. Una società contrassegnata da tali divisioni non sarà un faro per il mondo e la sua economia non prospererà. La vera forza degli Stati Uniti non è il suo potere militare ma la sua capacità di persuadere senza coercizioni (soft power), che è stata gravemente erosa non solo da Trump, ma anche da una persistente discriminazione razziale. Ognuno di noi pagherà un prezzo se non la si attua.
Il segno più promettente si esprime mediante l’attivismo [politico], soprattutto da parte dei giovani, che si rendono conto che è giunto il momento che gli Stati Uniti siano all’altezza dei propri ideali, così nobilmente espressi nella sua Dichiarazione di Indipendenza. Ovverosia, che tutti gli uomini siano creati uguali. Un secolo e mezzo dopo l’abolizione della schiavitù, l’eredità di quel sistema permane. Ci è voluto un secolo per attuare una legislazione che garantisca la parità di diritti; ma ora i repubblicani controllano il sistema giudiziario e quello politico e spesso si sottraggono a onorare quell’impegno
Così conclusi il mio capitolo, “Un mondo alternativo è possibile. Ma 50 anni di lotta ci hanno mostrato quanto sia difficile raggiungere quella visione alternativa. ” Ulteriori progressi richiederanno determinazione, sostenuti dalla fede espressa nelle parole immortali di quel canto che divenne l’inno del movimento per i diritti civili: “Noi vinceremo”.
Joseph E. Stiglitz, a Nobel laureate in economics and University Professor at Columbia University, is the author, most recently, of People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent.