E’ ritornato Barack Obama. Con le sue oltre 23 milioni di visualizzazioni su FB ha promosso la candidatura di Joe Biden, l’ex Vice-President che di fatto resta l’unico candidato Democrats sfidante Donald Trump. Noi avremmo preferito che avesse agguantato la nomination Bernie Sanders o Elizabeth Warren mettendo sotto il torchio colui che i progressisti americani lo definiscono come “un narcisista patologico, mentitore seriale”.
Tuttavia, è prevalsa l’idea tra gli elettori Democrats, nel corso delle primarie (Super Tuesday), che un candidato con proposte più radicali non avrebbe convinto la parte più moderata del paese, favorendo così la rielezione dell’attuale odiato Presidente. Questo timore, maturato nel tempo, ha giocato a favore del vecchio Joe, la cui partenza non ci sembrò proprio scoppiettante.
Così come molti di noi ricordano (speriamo dopo questa pandemia) il clima di grande entusiasmo e di passione (after Vietnam) che si creò intorno alla candidatura Democrats di George McGovern nel 72 nei confronti di Richard Nixon, della cui vittoria quest’ultimo godette ampiamente da lasciare al suo competitore l’amara consolazione d’aver prevalso in un unico Stato, il suo (South Dakota), allo stesso modo questa volta il partito – in particolare un Obama ormai libero dalla morsa dei The Clintons’ – e forse anche con un certo dispiacere ha optato per una soluzione, meno corrosiva ma più pragmatica e accomodante.
Si, siamo convinti che l’élite Democrats abbia tentennato ad appoggiare l’anziano ex Vice President a causa di una sua partenza non confortante, ma quando si rese conto che Sanders doppiava la preferita Warren a sinistra, l’ordine fu drastico: “Go for Joe”.
Sanders e la Warren hanno perso la loro battaglia elettorale, ma hanno vinto quella politica: insieme sono riusciti a caricare il peso della bilancia valoriale del partito a sinistra e far rifiorire quelle iniziali speranze “obamiane” che nel corso dei due mandati di Barack si erano lentamente spente.
“…Joe era tra i candidati il migliore per aver guidato la sfida delle primarie e dei caucus, parallelamente al più impressionante schieramento democratico di sempre. Ognuno dei nostri candidati era talentuoso e bravo con un percorso di risultati da record, d’idee intelligenti e una seria visione del futuro. E questo è certamente vero per il candidato che andò più lontano di qualsiasi altro, Bernie Sanders. Bernie è un autentico americano, un uomo che ha dedicato la sua vita a dare voce ai lavoratori, speranze, sogni e frustrazioni. Lui e io non siamo d’accordo su tutto, ma abbiamo sempre condiviso la convinzione che dobbiamo rendere l’America una società più imparziale, più giusta ed equa. ”
“Sappiamo entrambi che nulla è più potente di milioni di voci che chiedono un cambiamento. E Bernie Sanders si è battuto per questa idea; l’energia e l’entusiasmo che ha ispirato, soprattutto nei giovani, saranno fondamentali per muovere l’America verso una direzione di progresso e di speranza. Perché per la seconda volta in dodici anni, avremo l’incredibile compito di ricostruire la nostra economia. E nel prepararci per questo evento, il partito Democratico dovrà [dimostrare] di essere coraggioso.
Solo una piaggeria consolatoria nei confronti di Bernie? Non solo, c’è molto di più.
“…Non potrei altro che essere orgoglioso degli incredibili progressi che abbiamo fatto insieme durante la mia presidenza. Ma se oggi fossi candidato, non avrei corso la stessa gara, né avrei avuto la stessa piattaforma, come feci nel 2008. Il mondo è diverso; ci sono troppe cose da completare da parte nostra, basterebbe solo voltarsi indietro. Dobbiamo guardare al futuro. Bernie lo capisce. E Joe lo capisce. È uno dei motivi per cui Joe già propone quella che è la piattaforma più progressista di tutti i principali candidati [Democrats] della storia. Perché anche prima che la pandemia sconvolgesse il mondo, era già chiaro che avevamo bisogno di un cambiamento strutturale.”
E già, caro Obama, “Structural Change” (cambiamento strutturale) le parole simbolo, guarda caso, della campagna di Elizabeth Warren. Ma c’è ancora qualcosa di più insolito nella sua perorazione per Joe Biden, brillante ed empatica. Un passaggio che farebbe torcere le budella ai nostri presunti “liberal” dalle babbucce soffici e colorate:
“…In altre parole, la questione elettorale. In questo momento abbiamo bisogno che gli americani di buona volontà si uniscano in un grande risveglio contro una politica che troppo spesso è stata caratterizzata da corruzione, disattenzione, vantaggio di posizione, disinformazione, ignoranza e pura meschinità. E per cambiarla, abbiamo bisogno che gli americani di ogni orientamento politico siano coinvolti nella nostra politica, nella nostra vita pubblica, come mai prima d’ora. Per coloro che come noi, i quali credono nella costruzione di un’America più giusta, più generosa e più democratica in cui tutti hanno una buona occasione e una giusta opportunità, per coloro che credono in un governo che si prenda cura dei molti, non solo dei pochi, per coloro come noi, i quali amano questo paese e sono disposti a fare la nostra parte per assicurarci che sia all’altezza dei suoi più alti ideali, ora è il momento di lottare per ciò in cui crediamo.”
Per un istante sobbalzammo dalla sedia a risentire il motto “for the many not for the few”, sicché siamo andati a controllare se avesse copiato il discorso di Jeremy Corbyn che fece alla Liverpool Conference nel 18. Scansione letterale diversa, ma senso ed enfasi uguale. Ci eravamo già abituati alla conversione linguista e retorica della sinistra americana coniata dal Labour di Jeremy Corbyn (l’uso del “noi”, “we” soggetto, “us” complemento), ma non avremmo mai potuto immaginare che Obama prendesse a prestito lo slogan dell’ex segretario del Labour britannico.
Infine, il nostro ringraziamento va a Bernie Sanders: un uomo politico, non solo “original” come afferma Obama, ma intellettualmente onesto, che ha deciso di mettere al di sopra delle sue ambizioni personali ciò che Robert Reich chiama “The Common Cause”, la comune causa.
Beh, tra noi a sinistra non è proprio così. Siamo ancora nello stato di natura hobbesiano “homo homini lupus”. Cambieremo?….Forse. Nel frattempo, sentiamoci Obama: